Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26573 del 23/11/2020

Cassazione civile sez. I, 23/11/2020, (ud. 09/10/2020, dep. 23/11/2020), n.26573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8739/2019 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in Roma Via Augusto Riboty, 23,

presso lo studio dell’avvocato Gerace Valeria, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 2507/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

06/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/10/2020 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO e DIRITTO

Ritenuto che:

Il Tribunale di Roma con decreto del 6.2.2019, rigettava il ricorso presentato da G.G., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il primo giudice escludeva la sussistenza dei presupposti per la protezione internazionale in tutte le sue tre forme, ritenendo inverosimile il racconto del richiedente asilo, che non ricorreva alcuna ipotesi considerata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e che il richiedente non rientrava fra le categorie di soggetti vulnerabili ai sensi del T.U. n. 286 del 1998, art. 19.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso G.G. prospettando tre motivi di doglianza.

L’amministrazione intimata si è costituita solo formalmente.

Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra del 28.7.1951 nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

In particolare si lamenta che il Tribunale, pur non mettendo in discussione la provenienza del ricorrente dal Senegal, avrebbe dovuto approfondire la situazione generale del Paese anche nel caso di rilevata non credibilità della storia di “persecuzione personale” nell’ottica di valutare l’esistenza di quel sistema di violenza generalizzato richiesto dalla norma.

Con un secondo motivo si denuncia l’omesso esame della storia del ricorrente in relazione alla condizione degli omosessuali in Senegal.

Si contesta infatti la decisione nella parte in cui non si sarebbe soffermata su elementi anche soggettivi esistenti nella specie fondando il suo convincimento unicamente sulla situazione generale del Senegal senza tenere nel debito conto la storia del ricorrente e la situazione di omofobia e dei gravi atti discriminatori del Paese denunciati dai mezzi di informazione, dai siti internazionali e dalle organizzazioni non governative.

Da ultimo si denuncia la violazione e falsa applicazione della Direttiva Europea 2004/83/CE del Consiglio del 29.4.20004 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’onere probatorio.

Si lamenta infatti che il Giudice di primo grado avrebbe effettuato un’esame superficiale della situazione fondando la motivazione sulla questione Casamance in tal modo” sviando l’esame non solo della reale situazione in Senegal come riportata da Amnesty International”.

Si duole inoltre che nel rito specificamente applicabile al caso di specie caratterizzato da un’istruttoria informale e dall’assenza di preclusioni e da maggiori poteri istruttori, il giudice sarebbe chiamato a cooperare nell’accertamento dei fatti che possono condurre al riconoscimento alo straniero del diritto alla protezione internazionale.

I tre motivi, da trattare congiuntamente per la stretta connessione logico-giuridica che li avvince, sono privi di fondamento.

Va, anzitutto, sottolineato che il giudice di merito ha espresso un plausibile giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, basato sulla confusione e sulla contraddittorietà – proprio con riguardo alla omosessualità – della narrazione resa innanzi alla competente Commissione Territoriale, alla quale ha riferito di aver scoperto della sua omosessualità dopo 5 anni dall’avvio della frequentazione di un gruppo di ragazzi che lo avrebbero indotto a cambiare orientamento;di essere rimasto per diversi mesi nella casa paterna dopo essere stato scoperto; di aver sposato una donna senegalese nel 2006 mentre lui si trovava in Italia e di aver divorziato dopo 4 anni rispetto a quella resa al giudice, cui ha dichiarato di essere stato cacciato di casa e di essere rimasto a Dakar cinque anni senza far cenno al matrimonio per procura in Senegal e riferisce di una relazione omosessuale vissuta a Dakar per circa due anni.

Dalla riferita valutazione di non credibilità della narrazione del ricorrente non è derivata la omissione da parte del Tribunale dell’esame della situazione della giustizia in Senegal, Paese del quale è stata descritta la condizione generale, basata sull’esame delle fonti ufficiali di informazione, compiutamente citate: descrizione che ha riguardato non solo la mancanza di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, ma altresì il rilancio delle istituzioni democratiche e del sistema giudiziario, pur nella presenza di alcune ombre nella sola regione di Casamance – diversa da quella del G.G. ove comunque la Croce Rossa svolge un’attività di verifica delle condizioni dei detenuti e di sensibilizzazione del governo centrale.

Nel caso di specie il Giudice territoriale, con motivazione adeguata e con indicazione delle fonti di conoscenza aggiornate al maggio 2017, ha analizzato la situazione politica del Paese ed ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente, sicchè non ricorrono i vizi denunziati.

Va poi ricordato che ai fini del riconoscimento

della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, il ricorrente ha l’onere di (quantomeno) allegare gli specifici fatti costitutivi del suo diritto, in difetto non potendo attivarsi i poteri istruttori officiosi (Cass. 8908/2019, 3016/2019, 17069/2018).

Giova altresì rilevare che in tema di protezione internazionale, il ricorrente per cassazione che intenda denunciare in sede di legittimità la violazione del dovere di cooperazione istruttoria da parte del giudice di merito non deve limitarsi a dedurre l’astratta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ma ha l’onere di allegare l’esistenza e di indicare gli estremi delle COI che, secondo la sua prospettazione, ove fossero state esaminate dal giudice di merito avrebbero dovuto ragionevolmente condurre ad un diverso esito del giudizio. La mancanza di tale allegazione come nella specie impedisce alla Corte di valutare la rilevanza e decisività della censura, rendendola inammissibile.

Il ricorrente infatti si limita a contrapporre alla valutazione del tribunale un generico riferimento ad un rapporto di Amnesty International che invece è stato preso in esame dal primo Giudice che lo ha posto a base del suo convincimento.

Il ricorso va pertanto dichiarato rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese per la mancata costituzione dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese;

dà atto,ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 13, comma quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

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