Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26572 del 21/12/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. VI, 21/12/2016, (ud. 25/10/2016, dep.21/12/2016),  n. 26572

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26097-2015 proposto da:

B.R., B.L., elettivamente domiciliati in ROMA

PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato CLELIA SCIOSCIA giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANNELLA

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE PISTONI giusta procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURO TAFURI,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.F., SC.CA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2259/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

3/04/2015, depositata il 20/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO DELL’UTRI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. è stata depositata la seguente relazione:

“1. B.R. e B.L. hanno convenuto C.A., P.M., Sc.Ca. e S.F. dinanzi al Tribunale di Napoli per sentir dichiarare l’inopponibilità nei propri confronti (ai sensi dell’art. 2901 c.c.) di taluni atti di compravendita stipulati tra i convenuti in pregiudizio delle ragioni creditorie degli attori.

2. Il Tribunale di Napoli, ritenuta la mancata acquisizione di prove sufficienti a ritenere integrati i presupposti delle azioni revocatoria esercitate, ha rigettato le domande degli attori.

3. La Corte d’appello di Napoli – per quel che rileva in questa sede – ha rigettato l’appello principale proposto da B.R. e B.L., confermando sul punto la sentenza di primo grado.

4. Avverso la sentenza d’appello, hanno proposto ricorso per cassazione B.R. e B.L. sulla base di un unico motivo d’impugnazione.

5. Hanno depositato controricorso C.A. e P.M., concludendo entrambi per la dichiarazione di inammissibilità, ovvero per il rigetto del ricorso.

6. Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa sede.

7. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., in quanto appare destinato ad essere dichiarato inammissibile.

8. Con l’unico motivo di ricorso, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione di legge e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, avendo la corte territoriale erroneamente ritenuto che non fosse stata raggiunta la prova della scientia fraudis in capo ai diversi acquirenti degli immobili oggetto di revocatoria, con particolare riguardo alla ritenuta assenza di prova di alcun legame di parentela tra il venditore e i successivi acquirenti degli immobili, nonchè circa l’incongruità del prezzo corrisposto, senza soffermarsi sugli altri elementi dedotti a fondamento della domanda.

8.1. Il ricorso è inammissibile.

Sul punto, osserva il relatore come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quale risultante dalla formulazione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (e tanto in forza della disciplina transitoria, di cui al medesimo art. 54, comma 3).

Ciò posto, mentre, da un lato, il sindacato sulla motivazione deve ritenersi ormai limitato ai casi di inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro lato, il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5 concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia): l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881).

In breve, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – vale ribadire – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

A seguito della richiamata novella legislativa deve dunque ritenersi confermato e rafforzato il principio, già del tutto consolidato (per tutte: Cass. 27 ottobre 2015, n. 21776; Cass. Sez. Un., 12 ottobre 2015, n. 20412; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass. sez. un., 21 dicembre 2009, n. 26825; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 18 maggio 2006, n. 11670; Cass. 17 novembre 2005, n. 23286), secondo cui deve recisamente escludersi il potere della corte di legittimità di riesaminare il merito della causa, essendo ad essa consentito, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile): sicchè sarebbe inammissibile (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, non potendo darsi corso ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità (cfr. Cass., Sez. 3, 15 gennaio 2016, n. 9239).

Nella specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge o dell’omessa motivazione circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, l’ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve individuarsi nella negata congruità del complessivo risultato della valutazione operata da entrambi i giudici di merito con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il Tribunale e la Corte d’appello – dopo aver proceduto all’accurata disamina di tutte le emergenze probatorie acquisite (con il conseguente riconoscimento dell’insussistenza di alcun rapporto di parentela tra le parti contrattuali e di alcuna prova circa l’incongruità del prezzo convenuto per l’acquisto) – risultano aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica rilevanti in questa sede di legittimità.

9. Si ritiene, pertanto, che il ricorso vada trattato in camera di consiglio per essere dichiarato inammissibile”;

2. I ricorrenti hanno presentato memoria ex art. 380-bis c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione trascritta e di doverne fare proprie le conclusioni, tenuto altresì conto della totale inidoneità delle considerazioni critiche illustrate nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. a incidere sulla relativa correttezza nonchè sull’integrale condivisibilità degli apprezzamenti in essa contenuti.

4. Il ricorso dev’essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso favore di C.A. e P.M., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.300,00, di cui Euro 200,00, per spese, oltre agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 25 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA