Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26567 del 23/11/2020

Cassazione civile sez. I, 23/11/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 23/11/2020), n.26567

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10049/2017 proposto da:

Eredità Giacente R.S., in persona del curatore avv.

C.G., elettivamente domiciliata in Roma, Via Gino Funaioli n.

54/56, presso lo studio dell’avvocato Muratori Franco, rappresentata

e difesa dallo stesso avvocato C.G., giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Concordato Preventivo n. (OMISSIS) Tribunale di Vicenza – Ditta

Individuale GI.RO.VI. di R.S.;

– intimato –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di VICENZA, depositata il

20/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

NARDECCHIA Giovanni Battista, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Contardi Riccardo, in

sostituzione avv. C., con delega scritta, che si riporta.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con provvedimento del 20/02/2017, il Tribunale di Vicenza ha rigettato il reclamo L. Fall., ex art. 26, proposto dall’avv. G.G. – quale curatore dell’eredità giacente di R.S., deceduto il (OMISSIS) – avverso il Decreto 10 agosto 2016, con cui il giudice delegato aveva rigettato l’istanza da egli presentata in data 25/02/2016 per ottenere “l’estinzione della procedura di concordato preventivo” dell’impresa individuale “Gi.Ro.Vi. di R.S.” (n. (OMISSIS)) “e la messa a disposizione dei beni della procedura al fine di poter redigere l’inventario stante la sua prevalenza di tale procedura sul concordato preventivo ante riforma”.

1.1. Avverso il suddetto provvedimento del tribunale il curatore dell’eredità giacente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, notificato a mezzo pec in data 12/04/2017 alla procedura di Concordato preventivo n. (OMISSIS), al Commissario giudiziale Dott. S.F. e alla chiamata all’eredità R.M. (presso il di lei “procuratore e domiciliatario” avv. Paola Mai).

1.2. Gli intimati non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con l’unico motivo – rubricato “Violazione e falsa applicazione della L. Fall. e delle norme del codice civile in materia di eredità giacente ex art. 360, comma 1, n. 3” – il ricorrente, premesso che “l’istituto dell’eredità giacente ha lo scopo di evitare che, tra il momento dell’apertura della successine e l’accettazione, i beni ereditari restino privi di tutela” e richiamata la propria legittimazione attiva e passiva ex art. 529 c.c., al fine di assicurare che “quanto lasciato da R.S. fosse conservato nell’interesse dei chiamati all’eredità”, deduce la “impossibilità giuridica del commissario giudiziale e liquidatore del Concordato Gi.Ro.Vi di R.S. di continuare a compiere operazioni di liquidazione dopo che sia trascorso un anno dalla morte del R.S.” (essendo “emerso un notevole attivo oltre che la presenza di un contenzioso con un istituto bancario”, posto che “tutti i beni conferiti per la procedura di concordato erano stati realizzati”), poichè, trattandosi di “concordato con cessione di beni ante riforma” (segnatamente, ammesso con provvedimento del 9 ottobre 1997 e omologato con sentenza definitiva del 15 settembre 2009), “non sarebbe giuridicamente possibile applicare le sanzioni di cui alla L. Fall., artt. 137 e 138”, ossia la dichiarazione di fallimento conseguente alla risoluzione o all’annullamento del concordato, per essere il debitore deceduto da oltre un anno, per cui “l’unica conseguenza sarebbe quella di consegnare i beni facenti parte della massa attiva del concordato” al curatore dell’eredità giacente.

3. Va preliminarmente delibata la questione dell’ammissibilità del ricorso, dovendosi verificare se il provvedimento impugnato sia dotato dei caratteri di decisorietà e definitività, propri dei “provvedimenti giurisdizionali destinati a produrre effetti di diritto sostanziale con efficacia di giudicato e ad incidere in modo definitivo sui diritti soggettivi delle parti”, necessari ai fini della ricorribilità per Cassazione a norma dell’art. 111 Cost. (cfr. ex multis Cass. Sez. U., 24068/2019 in tema di piano di riparto parziale e Cass. 11524/2020 in tema di autorizzazione L. Fall., ex art. 169-bis).

3.1. In materia di concordato preventivo questa Corte ha costantemente affermato l’inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7, avverso provvedimenti resi dal tribunale in sede di reclamo contro decisioni di natura meramente ordinatoria, in quanto incidenti sull’esercizio di poteri gestori, esecutivi, di sorveglianza o controllo sull’adempimento del programma concordatario “secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione”, perciò privi dei connotati della decisorietà e della definitività, sottolineando che “una volta esauritasi, con la sentenza di omologazione, la procedura di concordato preventivo, tutte le questioni che hanno ad oggetto diritti pretesi da singoli creditori o dal debitore, e che attengono all’esecuzione del concordato, danno luogo a controversie che sono sottratte al potere decisionale del giudice delegato e costituiscono materia di un ordinario giudizio di cognizione, da promuoversi, da parte del creditore o di ogni altro interessato, dinanzi al giudice competente” (v. Cass. 33345/2018, 22771/2018, 12265/2016, 16598/2008, 23271/2006; cfr., per la fase esecutiva del concordato fallimentare, Cass. 6643/2013, 24438/2010, 3291/2009; in generale per le procedure concorsuali v. anche Cass. 17835/2019, 5447/2019, 11217/2018, 11711/2018, 1240/2013, 8870/2012, 24019/2010).

3.2. In particolare è stato più volte osservato che, stante la mancanza della fase di accertamento del passivo, il provvedimento di omologazione del concordato preventivo “determina un vincolo definitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, ma non comporta la formazione di un giudicato sull’esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) di questi ultimi, nè sugli altri diritti implicati nella procedura stessa, presupponendone un accertamento non giurisdizionale ma meramente amministrativo, di carattere delibativo e volto al solo scopo di consentire il calcolo delle maggioranze richieste ai fini dell’approvazione della proposta, sicchè non esclude la possibilità di far accertare in via ordinaria, nei confronti dell’impresa in concordato, il proprio credito ed il privilegio che lo assiste”, sul quale applicare la cd. falcidia concordataria (Cass. 15495/2018, 20298/2014, 27489/2006, 2104/2002, 2780/2002).

3.3. Nondimeno, è altrettanto pacifico che anche nella fase esecutiva del concordato preventivo possano essere emessi provvedimenti ricorribili per Cassazione ex art. 111 Cost., ad esempio quando essi: i) siano “abnormi”, in quanto viziati da carenza assoluta di potestà decisionale (Cass. 19858/2010); ii) non abbiano natura meramente ordinatoria, ma siano idonei a pregiudicare in modo definitivo e con carattere decisorio i diritti soggettivi delle parti, “in contrasto con i dettami della sentenza di omologazione del concordato e le relative modalità di liquidazione”, sì da poter essere inquadrati nel novero dei cd. “atti di giurisdizione esecutiva” (Cass. 5993/2011, con riguardo al “decreto del giudice delegato che aveva autorizzato la vendita a trattativa privata di un complesso industriale, prevedendo che una parte del relativo prezzo fosse pagata con la compensazione del credito, privilegiato e chirografo ed in realtà oggetto di contestazione giudiziale, vantato verso il debitore concordatario dall’acquirente”), o comunque assimilati all’opposizione ex art. 615 c.p.c. (Cass. 8966/2014, con riguardo al rigetto di una “azione proposta dal debitore che, opponendosi alla prosecuzione della liquidazione, abbia chiesto la sospensione del concordato preventivo e la restituzione dei beni residui dopo il soddisfacimento dei creditori nella percentuale a suo avviso asseritamente liberatoria dagli obblighi concordatari”); iii) risultino incompatibili con diritti di terzi medio tempore maturati (Cass. 17835/2019; cfr. Cass. 5447/2019).

3.4. Nel caso di specie, il ricorrente agita un diritto asseritamente incompatibile con la prosecuzione della liquidazione concordataria maturato medio tempore, in seguito alla morte del debitore concordatario – chiedendo, nella veste di curatore dell’eredità giacente del debitore concordatario, la consegna dei beni costituenti la massa attiva del concordato, al fine di scongiurare “un vincolo perpetuo dei beni del Concordato con evidente danno per l’eredità giacente che potrebbe vedersi privata di una fetta dell’attivo a fronte di pagamenti indebiti”.

3.5. Si tratta di una prospettazione meramente ipotetica – in quanto derivante dal caso, nemmeno prospettatosi in concreto, di annullamento o risoluzione del concordato – e peraltro infondata, poichè, in quell’evenienza, l’asserita impossibilità di dichiarare il fallimento per decorso dell’anno dalla morte del debitore L. Fall., ex art. 11, non comporterebbe affatto quel paventato “vincolo perpetuo” sulla massa attiva concordataria, potendosi semmai immaginare, per il venir meno degli effetti obbligatori vincolanti di cui alla L. Fall., art. 184, la riespansione degli originari diritti dei creditori, da esercitare nei confronti del soggetto legittimato passivo (nel caso di specie il curatore dell’eredità giacente del debitore concordatario).

3.6. Nella fattispecie concreta va quindi escluso che il provvedimento impugnato, al di là del fatto di non rivestire la forma di sentenza (essendo pacifico che l’art. 111 Cost., comma 7, pur contemplando formalmente il ricorso per cassazione avverso le “sentenze”, debba essere interpretato in senso sostanziale, prevedendo un rimedio applicabile ad ogni provvedimento giurisdizionale, anche se emesso in forma di ordinanza o decreto), inciderebbe irrevocabilmente ed irreparabilmente, se sottratto al ricorso straordinario per cassazione, sul diritto soggettivo vantato (cfr. ex multis Cass. Sez. U., 3073/2003; Cass. 9151/1995).

3.7. Con esso, infatti, il tribunale ha semplicemente respinto l’istanza di estinzione di una procedura concordataria – nella quale, per allegazione dello stesso ricorrente, tutti i beni sono stati già liquidati, residuando un contenzioso giudiziale in corso con una banca – osservando che, a prescindere dall’applicabilità o meno della L. Fall., art. 12, il vincolo concordatario deve essere rispettato anche dal curatore dell’eredità giacente, la chiusura della procedura potendo verificarsi “solo per effetto dell’adempimento del concordato, per risoluzione oppure per annullamento”.

3.8. Si tratta dunque di un provvedimento che non riveste, prima ancora del carattere della decisorietà (cfr. Cass. 19318/2015, con riferimento a decreto della Corte d’appello di rigetto del reclamo avverso il decreto del Tribunale reiettivo di un’istanza di chiusura della procedura fallimentare), quello della definitività, che va escluso non solo quando il soccombente disponga di ulteriori rimedi impugnatori specifici per riformare il provvedimento ritenuto lesivo, ma anche quando esso può essere revocato o modificato su istanza della parte interessata (Cass. Sez. U., 17636/2003; Cass. 13760/2009, 3491/1993, 10428/1992) ovvero quest’ultima può liberamente riproporre la domanda giudiziale (Cass. 17836/2019).

4. Tuttavia, vista l’assenza di precedenti sulla questione dell’applicabilità o meno della L. Fall., art. 12, alla procedura di concordato preventivo, il Collegio ritiene che, ferma restando l’inammissibilità del ricorso, la questione posta meriti una pronuncia ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3.

5. Ai fini dell’individuazione della normativa applicabile alla fattispecie in esame occorre innanzitutto considerare che, per quanto prospettato, il concordato preventivo “Gi.Ro.Vi. di R.S.” è una procedura concordataria con cessione dei beni aperta nel 1997 ed omologata nel 2009.

5.1. Secondo quanto stabilito nei commi 2 e 2-bis (aggiunto dalla legge di conversione) del D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2 (in vigore dal 17 marzo 2005), convertito nella L. 14 maggio 2005, n. 80 (in vigore dal 15 maggio 2005), le disposizioni ivi riformate di cui alla L. Fall., artt. 160,161,163,177,180 e 181, si applicavano anche ai procedimenti di concordato preventivo pendenti e non ancora omologati alla data del 17 marzo 2005 (come quello per cui è causa). Invece, la modifica della L. Fall., art. 186, operata dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 69, art. 17, si applica solo alle procedure di concordato aperte successivamente alla data del 1 gennaio 2008 (art. 22 D.Lgs. cit.), così come le modifiche apportate alla L. Fall., art. 185, dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132, si applicano solo ai concordati preventivi introdotti successivamente al 21 agosto 2015.

5.2. Ne discende, per quanto rileva in questa sede, che alla procedura concordataria di R.S. si applicano gli artt. 182, 185 e 186 (in combinato disposto con gli artt. 137 e 138) della L. Fall. ante-riforma, con la conseguenza che: i) la sua esecuzione deve essere stata affidata ad un liquidatore nominato dal tribunale, sotto la sorveglianza del commissario giudiziale; ii) il concordato potrebbe essere risolto – su segnalazione del commissario, entro “un anno dalla scadenza dell’ultimo pagamento stabilito nel concordato” (ma non “se nella liquidazione dei beni si sia ricavata una percentuale inferiore a quaranta per cento”) ovvero annullato – su istanza dello stesso commissario o di qualunque creditore, da proporre entro sei mesi dalla scoperta del dolo e in ogni caso non oltre due anni dalla medesima scadenza suddetta – dal tribunale, con sentenza che contestualmente dichiara il fallimento del debitore concordatario.

6. Come visto, la doglianza del ricorrente si fonda sull’assunto che l’esecuzione del concordato preventivo omologato dovrebbe arrestarsi – con riconsegna della massa attiva al curatore dell’eredità giacente – poichè, essendo trascorso un anno dalla morte del debitore concordatario, non sarebbe ormai più possibile dichiararne il fallimento, quale conseguenza “sanzionatoria” della risoluzione o dell’annullamento del concordato L. Fall., ex artt. 137 e 138; e ciò creerebbe (anche se non è dato comprendere perchè) “un vincolo perpetuo” sui beni del concordato, in danno dell’eredità giacente, che, in caso di supposti “pagamenti indebiti”, potrebbe (altrettanto immotivatamente) vedersi “privata di una fetta dell’attivo”.

6.1. L’assunto è destituito di fondamento.

6.2. Va innanzitutto sgombrato il campo dall’asserita impossibilità giuridica di dichiarare il fallimento del debitore concordatario a distanza di oltre un anno dal suo decesso, ai sensi della L. Fall., art. 11, avendo questa Corte avuto modo di chiarire, anche nel regime vigente anteriormente alle riforme del 2005-2006, che “il principio di unitarietà delle procedure concorsuali – fondato sul rilievo che presupposto comune delle stesse è l’insolvenza, anche quando, come nell’amministrazione controllata, essa si traduca in una temporanea difficoltà che solo “ex post” risulti corrispondente ad un vero e proprio stato di decozione – attribuendo alla sentenza dichiarativa di fallimento la natura di atto terminale del procedimento, in alternativa al naturale sviluppo delle procedure minori, comporta che, ai fini della verifica in ordine al decorso del termine annuale di cui alla L. Fall., artt. 10 ed 11, nel caso in cui la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore defunto o cessato faccia seguito alla mancata omologazione o alla risoluzione o all’annullamento del concordato preventivo, cui l’imprenditore sia stato ammesso, deve tenersi conto della data di ammissione alla procedura minore” (Cass. 21326/2005, che applica invece una diversa regola in caso di fallimento di una società ammessa al concordato preventivo, i cui effetti non si estendono ai soci illimitatamente responsabili medio tempore receduti, deceduti o esclusi dalla compagine sociale, per i quali il decorso del termine annuale va ordinariamente valutato rispetto al momento in cui ne viene dichiarato in via eccezionale il fallimento, non già in quanto imprenditori bensì in ripercussione dell’insolvenza della società, in tal caso non potendo “operare il principio di consecuzione che ne giustifica il coinvolgimento “ab imis” nella procedura concorsuale”; conf. Cass. 14069/2018; cfr. Cass. 8439/2012, 18437/2010, 16415/2002).

6.3. Del resto, in tutti i casi di inammissibilità, mancata approvazione, revoca e diniego di omologa del concordato preventivo, gli attuali L. Fall., art. 162, comma 2, L. Fall., art. 173, comma 2, L. Fall., art. 179, comma 1 e L. Fall., art. 180, u.c., prevedono che il tribunale possa dichiarare il fallimento, su istanza dei creditori o su richiesta del P.M., se accerta i presupposti di cui alla L. Fall., artt. 1 e 5, senza alcun richiamo al termine di cui alla L. Fall., artt. 10 e 11.

6.4. In secondo luogo, le ipotesi della risoluzione o dell’annullamento del concordato – con la conseguente “sanzione” del fallimento – non ricorrono in concreto nel caso di specie, ma, come già rilevato, vengono prospettate dal ricorrente in via meramente ipotetica, a supporto della (non condivisa) impossibilità di dichiarazione del fallimento a distanza di oltre un anno dalla morte del debitore concordatario. Inoltre, non vi sono norme che dispongono l’interruzione della procedura concorsuale per morte del debitore, dal momento che la procedura concordataria può cessare solo per la “completa esecuzione del concordato” (cfr. L. Fall., art. 136) ovvero per la dichiarazione giudiziale di risoluzione o annullamento (ex artt. 137 e 138, richiamati dalla L. Fall., art. 186).

6.5. E’ ben vero che la legge fallimentare vigente non disciplina espressamente il caso di morte sopravvenuta dell’imprenditore in concordato; tuttavia, la migliore dottrina ha sempre ritenuto applicabile, in via analogica, la L. Fall., art. 12, dal momento che l’istituto del concordato preventivo, anche dopo la connotazione maggiormente privatistica impressagli a partire dalla novella del 2005, ha conservato quel carattere pubblicistico (v. per tutte Cass. Sez. U., 1521/2013) che lo rende alternativo ma assimilabile, nella suo nucleo funzionale essenziale, alla procedura fallimentare, sì da poter proseguire senza interruzioni – grazie alla presenza di organi nominati dal tribunale e regole consacrate in un provvedimento giudiziario definitivo – nonostante la morte del debitore che vi si è spontaneamente assoggettato. In altri termini, la ratio di tale applicazione risiederebbe negli interessi di carattere pubblicistico sottesi alla regolare prosecuzione del procedimento concorsuale, i quali non dovrebbero essere esposti al rischio di estinzione della procedura, tenuto conto che il concordato preventivo – al pari del fallimento – ha lo scopo di realizzare il pagamento concorsuale dei creditori dell’imprenditore in crisi; il che pare sufficiente a consentire il ricorso alla disciplina fallimentare per colmare le lacune di quella concordataria in tema di morte del debitore.

6.6. Tale tesi pare sostenibile quantomeno per il concordato di tipo liquidatorio o con cessione dei beni, come quello per cui è causa, ove la L. Fall., art. 182, comma 1, prevede di regola (“se il concordato non dispone diversamente”) che il tribunale nomini “uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione”, mentre il comma 2 (introdotto dal correttivo del 2007 ed applicabile alle procedure di concordato aperte dal 1 gennaio 2008) dispone che “si applicano ai liquidatori gli artt. 28, 29, 37, 38, 39 e 116 in quanto compatibili” (così generando peraltro il dubbio del conflitto di interessi nelle previgenti prassi di nominare liquidatore lo stesso debitore o il commissario giudiziale: cfr., sul secondo caso, Cass. 1237/2013 e Cass. 4458/2016).

6.7. Meriterebbe invece più articolate riflessioni la sua applicabilità al concordato con continuità aziendale, ora disciplinata dalla L. Fall., art. 182-bis, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (come successivamente modificato nel 2014 e nel 2019), tenuto conto che l’attività d’impresa – la quale, in caso di continuità cd. “diretta”, prosegue in capo allo stesso debitore in bonis, sia pure sotto il controllo degli organi concorsuali – è cosa ben diversa dall’attività liquidatoria (per quanto assimilabile all’ipotesi dell’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito).

6.8. Ebbene, la L. Fall., art. 12, prevede (tra l’altro) che, “se l’imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento, la procedura prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d’inventario” (comma 1) ed in particolare che, “nel caso previsto dall’art. 528 c.c., la procedura prosegue in confronto del curatore dell’eredità giacente” (comma 3). L’applicabilità delle superiori disposizioni al concordato preventivo consente dunque di ritenere che anche tale procedura concorsuale possa proseguire, in caso di morte del debitore, nei confronti degli eredi, se esistenti, o nei confronti del curatore all’eredità giacente o dell’amministratore dell’eredità sotto condizione sospensiva.

6.9. Vi è ancora da osservare che allo stato (e salvi i previsti interventi correttivi), la tesi qui divisata sembrerebbe recepita nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza di futura applicazione (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), che nel Capo III del Titolo III, dedicato in generale alle “Procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza” – oltre a sancire nell’art. 33, comma 4, l’inammissibilità della domanda di concordato preventivo presentata dall’imprenditore nell’anno successivo alla sua cancellazione dal registro delle imprese, L. Fall., ex art. 10 (conf. Cass. 21286/2015, 12045/2020; v. Corte Cost. 9/2017) – ha previsto espressamente, dell’art. 35, comma 1, che “se il debitore muore dopo l’apertura della procedura di liquidazione concorsuale” tale potendo ritenersi anche un concordato liquidatorio – “questa prosegue nei confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d’inventario”, aggiungendo nell’art. 36 che “nel caso previsto dall’art. 528 c.c., la procedura prosegue nei confronti del curatore dell’eredità giacente”.

7. Appare comunque condivisibile la motivazione adottata dal giudice a quo, per cui, anche a prescindere dall’applicabilità della L. Fall., art. 12, si debba guardare alla natura “bifronte” del concordato preventivo, quale “procedura concorsuale ed al contempo accordo concluso dall’imprenditore con i propri creditori”, che determina la segregazione del patrimonio del debitore e la sua destinazione a soddisfare le ragioni dei creditori anteriori (da egli stesso indicati o individuati all’esito delle controversie intraprese in sede ordinaria nei suoi confronti), sulla base di una proposta approvata dalla maggioranza dei creditori e cristallizzata nella decisione omologatoria del tribunale, come tale vincolante per tutti i creditori (L. Fall., art. 184), che “deve essere rispettata anche dal curatore dell’eredità giacente, al pari di qualsiasi altro accordo o contratto concluso dal defunto prima della sua morte”. Di conseguenza, l’esecuzione del concordato preventivo con cessione dei beni può proseguire anche dopo la morte dell’imprenditore, poichè “i creditori anteriori continueranno a beneficiare della segregazione tipica dello strumento concorsuale”, e la procedura potrà regolarmente proseguire fino a completa esecuzione, poichè “della liquidazione si occuperà il commissario liquidatore, precedentemente nominato dal tribunale, il quale svolge il suo compito in favore dei creditori ed in rappresentanza degli eredi o del curatore dell’eredità giacente, senza che vi sia alcuna prevalenza dell’uno o dell’altro istituto”.

7.1. In effetti, l’istituto dell’eredità giacente ha il solo scopo di garantire la conservazione e l’amministrazione del patrimonio ereditario nel periodo intercorrente tra l’apertura della successione mortis causa (coincidente con la morte del de cuius) e l’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati – ove questi non abbiano ancora accettato l’eredità e non siano nel possesso dei beni ereditari (come nel caso di specie) ovvero non si abbia notizia dell’esistenza di eredi – volendosi così evitare che in quel frangente temporale di incertezza il patrimonio ereditario subisca pregiudizi in danno non solo degli eredi e legatari, ma anche dei creditori.

7.2. Del resto, che la compresenza dei due istituti in disamina quello concorsuale e quello ereditario – sia ben possibile, risulta testimoniato anche in alcuni precedenti specifici di questa Corte, resi in tema di distribuzione della legittimazione processuale, attiva e passiva, tra il liquidatore L. Fall., ex art. 182, ed il curatore dell’eredità giacente subentrato all’imprenditore ammesso a concordato preventivo con cessione dei beni (Cass. 3701/1987, che richiama Cass. 6263/1982; in generale sul tema cfr. Cass. 18823/2017, Cass. 14052/2015 e Cass. 17606/2015, per cui “in caso di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, il liquidatore ha legittimazione processuale nelle sole controversie relative a questioni liquidatorie e distributive, e non anche in quelle di accertamento delle ragioni di credito e pagamento dei relativi debiti, ancorchè influenti sul riparto che segue le operazioni di liquidazione, atteso che, in queste ultime può, ove esperite nei confronti del debitore cedente, spiegare intervento senza essere litisconsorte necessario”).

8. In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3: “In tema di concordato preventivo avente natura liquidatoria, ove nel corso dell’esecuzione della procedura sopravvenga la morte del debitore concordatario, è applicabile, in via analogica, la L. Fall., art. 12, con la conseguenza che la procedura prosegue nei confronti dei suoi eredi, anche se costoro hanno accettato con beneficio d’inventario ovvero, nel caso previsto dall’art. 528 c.c., nei confronti del curatore dell’eredità giacente”.

9. Alla declaratoria di inammissibilità non segue alcuna statuizione sulle spese, in assenza di difese degli intimati.

10. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019, 4315/2020).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso ed enuncia il principio di diritto ex art. 363 c.p.c., nei sensi di cui in motivazione (p. 8).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

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