Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26565 del 21/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 21/12/2016, (ud. 20/10/2016, dep.21/12/2016),  n. 26565

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14880-2015 proposto da:

M.T.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

V. ADALBERTO 6 SC B, presso lo studio dell’avvocato GENNARO ORLANDO,

che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI, EMANUELA

CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto N. R.G. 26876/2013 del TRIBUNALE di NAPOLI del

5/12/2014, depositato il 10/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito l’Avvocato Antonella Patteri (delega avvocato Mauro Ricci)

difensore del controricorrente che si riporta ai motivi scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con decreto in data 10.12.2014 il giudice del Lavoro del Tribunale di Napoli ha omologato, con decorrenza dall’11.6.2013, l’accertamento positivo del requisito sanitario richiesto ai fini dell’assegno di assistenza e, sul rilievo dello “spostamento della decorrenza”, ha compensato per metà le spese di lite; ha posto a carico dell’INPS la residua metà, liquidata in Euro 600,00, oltre accessori.

Per la cassazione della statuizione sulle spese ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi, M.M.A.T.; l’INPS ha resistito con tempestivo controricorso.

Con il primo motivo ha dedotto violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., censurando la decisione per avere disposto la compensazione delle spese di lite, pur in assenza di soccombenza reciproca. Premesso di essere titolare di assegno di assistenza, revocatole in esito a verifica del 10.4.2013 e che l’accertamento sanitario omologato stabiliva la sussistenza di un’invalidità del 75% con decorrenza dall’11.6.2013, ha sostenuto che essa ricorrente doveva considerarsi parte interamente vittoriosa, conseguendone la insussistenza del presupposto per farsi luogo alla compensazione.

Con il secondo motivo ha dedotto violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., censurando la decisione per avere disposto la parziale compensazione delle spese di lite, pur in assenza del presupposto rappresentato dalla sussistenza dei giusti motivi.

Con il terzo motivo (per evidente errore indicato in ricorso come “4”) ha dedotto violazione dell’art. 91 c.p.c. censurando la decisione per avere il giudice dell’omologa omesso di considerare che l’attore era stato costretto all’azione giudiziale dal comportamento omissivo della pubblica amministrazione, con aggravio di spese giudiziali comportanti la diminuzione patrimoniale della invalida.

Preliminarmente deve essere affermata la ammissibilità del ricorso per cassazione (da qualificarsi come straordinario ex art. 111 Cost.), sulla scorta di quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema in fattispecie analoga (cfr. Cass. n. 6084/14, cui si rinvia in parte qua), perchè, là dove il decreto di omologa condanna l’I.N.P.S. alle spese, costituisce un provvedimento definitivo, di carattere decisorio, che incide indubbiamente sui diritti patrimoniali e che è non soggetto ad impugnazione in altre sedi.

Occorre ancora premettere, al fine della corretta identificazione delle ragioni alla base della statuizione di parziale compensazione delle spese del procedimento per ATP ex art. 445 bis c.p.c. che, avendo il giudice dell’omologa fatto riferimento allo spostamento di decorrenza del requisito sanitario, ha evidentemente inteso porre a fondamento della statuizione sulle spese la parziale soccombenza della ricorrente e non anche ragioni di carattere equitativo collegate alla esistenza di “giusti motivi”.

Alla luce di quanto ora rilevato il secondo motivo di ricorso risulta quindi inammissibile in quanto non pertinente alle effettive ragioni del decisum.

Il primo ed il terzo motivo, esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono manifestamente infondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte la nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale delle spese processuali, sottende – anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorchè essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo. (Cass. n. 21684 del 2013, n. 22381 del 2009).

A quest’ultima situazione è riconducibile la fattispecie in esame connotata dal fatto che il requisito sanitario è stato riconosciuto, con decorrenza successiva (sia pure di solo due mesi) rispetto alla richiesta della odierna ricorrente. In ragione di tale circostanza del tutto destituito di fondamento risulta l’assunto della odierna ricorrente circa la situazione di totale soccombenza dell’INPS Deve quindi ritenersi realizzata quella situazione di soccombenza reciproca idonea a giustificare la compensazione – parziale o totale – delle spese di lite.

In merito alla censurabilità, in sede di legittimità, della statuizione con la quale, in ipotesi di soccombenza reciproca, il giudice di appello abbia ritenuto di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di regolamento delle spese processuali, e con riferimento alla loro compensazione, poichè il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi. (v., tra le altre, Cass. n. 15217 del 2013, n. 17457 del 2006).

E’ stato in particolare precisato che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente. (Cass. n. 2149 del 2014).

A tanto consegue, in conformità della proposta formulata nella relazione depositata ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., l’integrale rigetto del ricorso.

Le spese del presente giudizio sono regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida in complessivi Euro 1.500,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%,oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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