Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26564 del 12/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 12/12/2011), n.26564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 12622-2010 proposto da:

C.D. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’Avvocato

IACOBELLI GIANNI EMILIO, che la rappresenta e difende per procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo studio dell’Avvocato FIORILLO

LUIGI, che la rappresenta e difende per procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

nonchè

sul ricorso proposto da POSTE ITALIANE SPA (c.f. (OMISSIS)), come

sopra domiciliata, rappresentata e difesa;

– ricorrente incidentale –

contro

C.D. (c.f. (OMISSIS)), come sopra elettivamente

domiciliata, rappresentata e difesa;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1967/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata in data 11/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI MAMMONE;

udito l’Avvocato IACOBELLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- C.D. chiedeva che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo 2.6-30.09.99.

2.- Rigettata la domanda, la predetta proponeva appello e la Corte d’appello di Roma, con sentenza pubblicata in data 11.11.09, rigettava l’impugnazione.

Considerato che il contratto era cessato il 30.09.99 e che la richiesta di nullità del termine era stata proposta dopo più di sei anni, la Corte riteneva che la lavoratrice avesse prestato adesione alla risoluzione del contratto e che, quindi, non vantasse un interesse al suo ripristino.

3.- Avverso questa sentenza C. proponeva ricorso per cassazione cui rispondeva Poste Italiane con controricorso e ricorso incidentale, a sua volta contrastato con controricorso da C..

4.- Il Consigliere relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., depositava relazione che era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti, assieme all’avviso di fissazione dell’adunanza.

5.- I motivi di ricorso proposti da C. possono essere riassunti come segue:

5.1.- violazione degli artt. 100, 101, 112 e 418 c.p.c., in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. in quanto il giudice di merito avrebbe dovuto dichiarare di ufficio l’avvenuta decadenza di Poste Italiane dalla domanda di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, atteso che la società non aveva chiesto la fissazione di una nuova udienza ai sensi dell’art. 418 c.p.c..

5.2. violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 416 e 418, 434, 436 e 437 c.p.c., dato che il giudice, in mancanza di domanda ritualmente proposta in via riconvenzionale (o di appello incidentale), è andato extra petitum pronunziando sull’eccezione di risoluzione del rapporto.

5.3. violazione degli artt. 1421 e 1422 c.c., degli artt. 2697 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c, atteso che l’azione di nullità è imprescrittibile e che il mero decorso del tempo tra la scadenza del contratto e la proposizione dell’azione di per sè non costituisce elemento idoneo ad esprimere in maniera inequivocabile la volontà della parte di risolvere il rapporto. In ogni caso, le circostanze risultanti agli atti non avrebbero dovuto condurre il giudice a ritenere esistente il mutuo consenso.

5.4. violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c. per omesso esame della domanda di nullità del contratto a termine dedotto in giudizio.

6.- Con il ricorso incidentale Poste Italiane deduce l’omesso esame dell’eccezione con cui aveva dedotto l’inammissibilità dell’appello perchè diretto contro l’avvenuta dichiarazione di carenza di interesse dell’attrice per intervenuta risoluzione del contratto per mutuo consenso, in realtà mai adottata dal primo giudice.

7.- Preliminarmente debbono essere riuniti i due ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

8.- Procedendo per ragioni di consequenzialità logica alla valutandone prioritaria del ricorso incidentale, deve rilevarsi che dall’esame degli atti del giudizio di merito – consentito in ragione del vizio dedotto – emerge che l’eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso delle parti stipulanti non fu esaminata dal primo giudice e che ciò nonostante la C. propose un motivo di appello (il primo) al riguardo.

Il giudice di appello, in un pur conciso passaggio della motivazione, ha rilevato l’incongruenza del motivo (“la censura non centra la motivazione della sentenza impugnata”) e, tuttavia, ha ritenuto di dover affrontare la questione della risoluzione per mutuo consenso perchè riproposta dall’appellata (“la censura … essendo stata riproposta dall’appellata, deve essere per prima comunque esaminata assorbendo l’intero gravame”).

In ogni caso, l’appello di C. proponeva anche le questioni ulteriori della nullità del termine per violazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, dell’erronea interpretazione del contratto collettivo (art. 8 del ccnl 26.11.94, come integrato dall’accordo sindacale 25.09.97) e della carenza di motivazione (motivi secondo e terzo), che colpivano direttamente la statuizione del primo giudice in punto di legittima apposizione del termine.

Può, dunque, concludersi per il rigetto del motivo di ricorso incidentale, essendo risultato smentito il presupposto dell’omessa considerazione della incongruenza di parte dell’appello e dovendosi, in ogni caso, rilevare l’idoneità della rimanente parte del gravame a contestare la sentenza di primo grado.

9.- I primi due motivi del ricorso principale, da esaminare in unico contesto in ragione del collegamento tra loro esistente, sono infondati.

Poste Italiane all’atto della costituzione in giudizio aveva eccepito che la lavoratrice aveva accettato la risoluzione del rapporto a titolo definitivo e che, pertanto, non aveva interesse a dedurre la nullità del termine. L’eccezione in questione aveva introdotto nel giudizio una richiesta che, rimanendo nell’ambito della difesa, aveva ampliato il tema della controversia senza tendere ad altro fine che quello della reiezione della domanda, opponendo al diritto fatto valere dall’attore la sussistenza di una circostanza di fatto idonea a paralizzare il diritto stesso. Tale circostanza parte convenuta poneva all’attenzione del giudice perchè ne derivassero considerazioni di diritto idonee a procurare il giudizio di inammissibilità.

Non si trattava, pertanto, della richiesta di un provvedimento giudiziale favorevole che attribuisse al datore beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti con la domanda principale, nel qual caso solamente, per pacifica giurisprudenza avrebbe dovuto ritenersi necessaria la proposizione di una domanda riconvenzionale (v. per tutte Cass. 22.12.08 n. 29936).

Si trattava, invece, di eccezione in senso stretto, validamente proposta dalla convenuta all’atto della costituzione, che avrebbe dovuto essere esaminata dal primo giudice ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e che, in ogni caso, ha legittimamente trovato ingresso nel processo ad opera del giudice di appello, con le modalità illustrate al punto 7. che precede.

10.- E’, invece, fondato il terzo motivo del ricorso principale.

La giurisprudenza della Corte di cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554) ritiene che nel giudizio instaurato per il riconoscimento di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell1 illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto) è configurabile la risoluzione del rapporto per mutuo consenso ove sia accertata – per il tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto, nonchè, per le modalità di tale conclusione, per il comportamento tenuto dalla parti e per altre eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà di porre fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata di tali elementi compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.

11.- Nel caso di specie il giudice di merito ha fatto applicazione meramente formale di questo principio, atteso che ha desunto l’esistenza della comune volontà di porre fine al rapporto lavorativo sulla base di una sola circostanza oggettiva, quale la durata del lasso temporale intercorso tra cessazione del contratto e proposizione della domanda in sede giudiziaria, che ha ritenuto sovradimensionata rispetto alle esigenze di ponderazione e riflessione che l’azione giudiziaria impone, anche per la mancanza di prova di iniziative prodromiche all’azione giudiziaria.

Tale motivazione è da considerare insufficiente in quanto non idonea a qualificare il fatto – di per sè giuridicamente non rilevante – del mero trascorrere del tempo come chiara volontà delle parti di considerare definitivamente chiuso il rapporto lavorativo. Non viene, infatti, individuata alcuna ulteriore significativa circostanza di fatto, nè viene svolta ulteriore considerazione che non sia meramente formale a sostegno della tesi della realizzazione del mutuo consenso.

Giova al riguardo rammentare, invece, che la giurisprudenza di questa Corte ha osservato che, ai fini dell’esaustività della motivazione, la formulazione del giudizio di carenza di interesse alla continuazione del rapporto trova nella lunghezza del tempo trascorso tra cessazione del termine e promovimento dell’azione solo uno dei necessari riferimenti argomentativi. Deve, infatti, essere tenuto in adeguato conto anche il comportamento ulteriore tenuto dalla parti e debbono essere indicate eventuali ulteriori circostanze significative (Cass. 10.11.08 n. 26935 e 28.9.07 n. 20390), la cui prova è onere della parte che abbia dedotto la risoluzione (Cass. 1.2.10 n. 2279).

L’accoglimento del terzo motivo comporta l’assorbimento del quarto, che ripropone le questioni attinenti la nullità del termine.

12.- In conclusione, esaminato per primo e rigettato il ricorso incidentale, deve essere accolto il ricorso principale.

La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo per un nuovo esame che tenga conto dei principi sopra indicati. Il giudice del rinvio procederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, così provvede:

1.- rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, accogliendo il terzo e dichiarando assorbito il quarto;

2.- rigetta il ricorso incidentale;

3.- cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2011

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