Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26562 del 21/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 21/12/2016, (ud. 20/10/2016, dep.21/12/2016),  n. 26562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22656/2014 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

BUFALOTTA 174, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA BARLETTELLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GERARDO VASSALLO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SICILAE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI,

EMANUELE DE ROSE, SCIPLINO ADA, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO,

GIUSEPPE MATANO, giusta delega in calce al ricorso notificato;

– resistente –

avverso la sentenza n. 384/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO del

12/03/2014, depositata il 25/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito l’Avvocato Gerardo Vassello difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Ester Ada Sciplino difensore del resistente che si

riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il giudice del Lavoro del Tribunale di Salerno, in parziale accoglimento della domanda di G.S. intesa all’accertamento della illegittimità del provvedimento dell’INPS di disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato intercorso tra la azienda agricola M. e la ricorrente, quale bracciante agricola, ha ordinato all’INPS di reiscrivere la G. negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli del Comune di residenza in relazione agli anni 2000, 2001, 2002 e 2003, con esclusione dell’anno 1998.

La Corte di appello di Salerno, in accoglimento dell’appello incidentale dell’INPS, ha respinto integralmente la originaria domanda. Premesso che era onere della ricorrente provare la effettività degli clementi fondanti il rapporto assicurativo, la Corte di merito ha rilevato che tale prova non era stata offerta; in particolare il giudice di appello ha escluso la attendibilità delle due testi escusse in primo gradi in quanto, per il rapporto di colleganza con la G., interessate a sostenere l’effettività dei rapporti di lavoro agricolo facenti capo all’azienda M.G., quantomeno quali potenziali destinatane di analogo disconoscimento del rapporto per effetto delle risultanze ispettive allegate dall’INPS; ha inoltre evidenziato che l’appellante principale non aveva minimamente contestato quanto ribadito – con ampio riscontro documentale – dall’INPS relativo alla circostanza che la Guardia di Finanza aveva rinvenuto presso la azienda documentazione extracontabile attestante la fittizietà dei rapporti di bracciantato, come riconosciuto dallo stesso titolare dell’azienda, “laddove il principio di non contestazione informa il sistema processuale civile ed è applicabile anche nella fase introduttiva del giudizio di appello nella quale, ferma la non modificabilità della domanda, la leale collaborazione tra le parti, manifestata con la previa presa di posizione sui fatti dedotti, è funzionale all’operatività del principio di economia processuale (cfr., di recente, Cass. Sez. Lav. Sentenza n. 23142 del 2.11.2009; Cass. Sez. Lav. 8.4.2010, n. 8335)”; la Guardia di Finanza, oltre a raccogliere la dichiarazione del titolare dell’azienda in merito alla fittizietà dei rapporti di bracciantato, aveva successivamente rilevato che gran parte dei contratti di affitto fondi erano falsi e che gran parte dei terreni sui quali si svolgeva la attività agricola erano nella disponibilità di terzi che, sentiti, avevano dichiarato apocrife le proprie firme, talora non riconoscendo come proprie le particelle indicate; infine, la G. risultava nella documentazione relativa ai falsi braccianti e risultava coinvolta nelle indagini, restando irrilevante ai fini dell’accertamento demandato la circostanza che il provedimento penale era sfociato in una richiesta di archiviazione. In base a tali considerazioni la domanda della G. doveva essere respinta.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.S. sulla base di sei motivi L’INPS ha depositato procura. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Nella relazione depositata ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., il Consigliere relatore ha concluso per l’accoglimento del primo motivo con effetto di assorbimento del secondo e rigetto degli altri.

Il Collegio condivide tale valutazione, non inficiata dalla deduzioni svolte dalla parte ricorrente nella memoria depositata.

Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la decisione impugnata omesso di pronunziare sul motivo di gravame con il quale l’appellante principale aveva eccepito, con riferimento all’anno 1998, la prescrizione e decadenza del potere dell’INPS dalla facoltà di disconoscere il rapporto di lavoro.

Con il secondo motivo viene dedotto che la disciplina di riferimento ed in particolare il D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 8, ove interpretata nel senso della insussistenza di un limite temporale per l’esercizio del potere di disconoscimento da parte dell’INPS, si pone in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 97 Cost..

Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione di norma di diritto in relazione all’art. 115 c.p.c., censurandosi la decisione per avere, in sintesi, la Corte di merito, ritenuto) insufficiente alla prova del rapporto di lavoro la documentazione prodotta dalla ricorrente. Viene inoltre evidenziato che non poteva costituire prova valutabile il processo verbale della Guardia di Finanza, posto che il procedimento penale a carico del datore di lavoro e della stessa G. era stato archiviato.

Con il quarto motivo di ricorso è, dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., censurandosi la decisione con riferimento al mancato riconoscimento del valore probatorio delle dichiarazioni resa dai testi in prime cure.

Con il quinto motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 437 c.p.c., censurandosi la decisione in quanto fondata su verbale di contestazione della Guardia di finanza redatto nel corso del procedimento penale, documento ammesso ed acquisito solo nel giudizio di appello laddove, in considerazione dell’epoca della sua redazione, lo stesso ben avrebbe potuto essere prodotto tempestivamente dall’INPS.

Con il sesto motivo di ricorso viene dedotto omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussone tra le parti, rappresentato dalla omessa considerazione da parte della sentenza impugnata, dell’avvenuta contestazione da parte dell’appellante, delle circostanze dedotte dall’INPS.

Il primo motivo di ricorso è, manifestamente fondato, con effetto di assorbimento del secondo motivo. La sentenza impugnata ha infatti omesso di pronunziare sull’appello principale con il quale, in relazione all’anno 1998, era stata dedotta la prescrizione del diritto dell’INPS di procedere al disconoscimento del rapporto di bracciantato per decorso del termine di dieci anni. Nè l’esame di tale motivo svolto con l’appello principale, della cui proposizione dà espressamente atto la sentenza impugnata, può ritenersi assorbito dalla pronunzia sull’appello incidentale dell’INPS, atteso che il gravame dell’istituto previdenziale investiva le annualità diverse dall’anno 1998.

Il quinto motivo di ricorso, che per ragioni di ordine logico -giuridico viene esaminato con priorità rispetto ai motivi, terzo e quarto, risulta inammissibile per un duplice profilo In primo luogo esso non risulta pertinente alle effettive ragioni del decisum, ravvisabili nel mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla originaria ricorrente, stante la “totale inattendibilità” della prova offerta dalla parte attrice. In tale contesto motivazionale, il riferimento agli accertamenti prodotti dall’INPS, costituisce argomento utilizzato in funzione confermativa e rafforzativa del convincimento del giudice già tratto aliunde, circa il carattere fittizio del rapporto di bracciantato. In secondo luogo, come già osservato nella relazione ex artt. 375 e 380 bis c.p.c., le censure sono articolate con modalità non conformi al disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 3. Invero la deduzione relativa alla preclusione all’acquisizione del verbale della Guardia di finanza da parte del giudice d’appello, non è supportata dall’adeguata esposizione dei fatti di causa ed in particolare della puntuale indicazione delle deduzioni svolte dalle parti nei rispettivi atti difensivi e delle ragioni indicate nell’ordinanze della Corte di merito con la quale è stata stabilita l’acquisizione del detto verbale, risultando impedita al giudice di legittimità la verifica demandata con il motivo in esame circa l’ammissibilità di tale produzione documentale. Nè le rilevate carenze possono essere integrate con le allegazioni formulate nella memoria dell’odierna ricorrente (v., in particolare pag. 2) posto che come chiarito da questa Corte i vizi di genericità o indeterminatezza dei motivi del ricorso per cassazione non possono essere sanati da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c., la cui funzione è quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi già debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrare quelli originariamente inammissibili. (cfr. tra le altre, Cass. n. 3780 del 2015).

Il terzo ed il quarto motivo di ricorso, incentrati sulla valutazione del materiale probatorio, sono inammissibili. Si premette che con tali motivi, pur deducendosi formalmente violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, si denunzia in realtà il vizio di motivazione della sentenza impugnata, in quanto, come chiarito da questa Corte, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (v. tra le altre, Cass. n. 14267 del 2006).

Con riferimento alla nuova configurazione del motivo di ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame in ragione della data di deposito – ilo 3 giugno 2014 – della decisione impugnata, le Sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. (Cass. ss.uu. n. 8053 del 2014).

In particolare è stato precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360 c.p.c., concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso.

Parte ricorrente non ha sviluppato i motivi in esame in termini coerenti con tali prescrizioni.

Premesso, infatti, che alla luce della nuova formulazione dell’art. art. 360 c.p.c., n. 5, non possono trovare ingresso censure attinenti alla insufficienza e contraddittorietà di motivazione, si rileva che le censure dell’odierna ricorrente risultano esclusivamente incentrate sulla valutazione del materiale ed in particolare della prova orale e documentale.

Parte ricorrente tende a sollecitare un diverso e più favorevole apprezzamento delle risultanze probatorie, attività preclusa al giudice di legittimità, in quanto secondo l’insegnamento costante di questa Corte, la denuncia del vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio bensì soltanto quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e concludenza nonchè scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra le altre, v. Cass. n. 18119 del 2008, n. 5489 del 2007, n. 20455 del 2006, n. 20322 del 2005, n. 2537 del 2004). In conseguenza, il vizio di motivazione deve emergere dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito quale risulta dalla sentenza impugnata e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato diversi che, agli stessi elementi siano attribuiti dal ricorrente ed in genere dalle parti (v., per tutte Cass. S.U. n. 10345 del 1997). In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata in quanto siffatta revisione si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto riservato al giudice del merito e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.

Il sesto motivo di ricorso risulta anch’esso inammissibile sia in quanto l’omissione rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, secondo quanto chiarito dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte (Cass. ss.uu. n. 8053 del 2014), deve attenere ad un fatto storico, naturalisticamente inteso, connotato non ravvisabile nella dedotta contestazione da parte della G. delle circostanze allegate dall’INPS, sia perchè la deduzione non è corredata dalla puntuale indicazione, con riferimento agli atti difensivi delle parti, del contenuto delle allegazioni formulate dall’INPS e del contenuto delle deduzioni difensive finalizzate, in tesi, alla contestazioni delle circostanze allegate dall’istituto previdenziale.

In base alle considerazioni che precedono, il primo motivo di ricorso deve essere accolto, assorbito il secondo, respinti gli altri e la sentenza cassata in parte qua con rinvio, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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