Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26562 del 12/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 12/12/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 12/12/2011), n.26562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 11136-2010 proposto da:

C.V. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in Roma, via Panama n. 74, presso lo studio dell’Avvocato

Iacobelli Gianni Emilio, che la rappresenta e difende per procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE Spa (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

Roma, V.le Mazzini n. 134, presso lo studio dell’Avvocato Fiorillo

Luigi, che la rappresenta e difende per procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9292/2008 della Corte d’appello di Roma,

depositata il 28/10/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2011 dal Consigliere Dott. Giovanni Mammone;

udito l’Avvocato Iacobelli;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Finocchi Ghersi Renato.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- C.V. chiedeva che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo 23.10.00-31.1.01..

2.- Rigettata la domanda, la predetta proponeva appello e la Corte d’appello di Roma, con sentenza pubblicata il 4.9.09, rigettava l’impugnazione. Il primo giudice, accogliendo l’eccezione preliminare proposta da Poste Italiane, aveva rigettato la domanda ritenendo il contratto risolto per mutuo consenso in conseguenza dell’inerzia della dipendente, che aveva atteso quattro anni prima di agire in sede giudiziale. L’appellante era, invece, partito dall’erroneo presupposto che lo stesso giudice avesse dato credito alla tesi di parte convenuta che l’assunzione fosse determinata dalla necessità di assumere personale precario ed aveva formulato motivi di appello che, in quanto diretti a contestare quell’assunto, erano del tutto inconferenti, così muovendo alla pronunzia censure inidonee a procurarne la riforma.

3.- Proponeva ricorso per cassazione P.. Rispondeva con controricorso Poste Italiane. Il Consigliere relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., depositava relazione che era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti, assieme all’avviso di fissazione dell’adunanza. C. ha depositato memoria.

4.- I motivi dedotti dalla ricorrente possono essere così sintetizzati:

4.1.- violazione degli artt. 100, 101, 112 e 418 c.p.c. in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., in quanto il giudice di appello, prima di rilevare che dovesse essere necessariamente impugnato il capo della prima sentenza che pronunziava in punto di risoluzione del contratto per mutuo consenso, avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la decadenza di Poste Italiane dall’eccezione al riguardo pronunziata, dato che la stessa era stata proposta con mera eccezione e non anche con domanda riconvenzionale ai sensi dell’art 418 c.p.c..

4.2.- violazione degli artt. 434 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 342 c.p.c, e dell’art. 112 c.p.c in relazione agli artt. 416, 418 e 434 e 437 c.p.c., in quanto entrambi i giudici di merito avrebbero pronunziato extra petitum per la mancata proposizione della riconvenzionale, atteso che avrebbe dovuto essere comunque accertata la previa conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato prima di procedere all’affermazione dell’avvenuta risoluzione del contratto.

4.3.- violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c., per l’omessa pronunzia sul capo della domanda relativo alla nullità del contratto a termine, che viene integralmente riproposta in via consequenziale all’accoglimento dei primi due motivi.

5.- Procedendo all’esame congiunto dei motivi sub 4.1 e 4.2, sulla base dell’esame degli atti del giudizio di merito (consentito in ragione dei vizi oggi denunziati), deve rilevarsi che il primo giudice aveva rigettato la domanda in accoglimento dell’eccezione – proposta da Poste Italiane all’atto della costituzione in giudizio – che la lavoratrice avesse accettato la risoluzione del rapporto a titolo definitivo. L’eccezione in questione aveva introdotto nel giudizio una richiesta che, rimanendo nell’ambito della difesa, aveva ampliato il tema della controversia senza tendere ad altro fine che quello della reiezione della domanda, opponendo al diritto fatto valere dall’attore la sussistenza di una circostanza di fatto idonea a paralizzare il diritto stesso. Tale circostanza parte convenuta poneva all’attenzione del giudice perchè ne derivassero considerazioni di diritto idonee a procurare il giudizio di inammissibilità.

Non si trattava, pertanto, della richiesta di un provvedimento giudiziale favorevole che attribuisse al datore beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti con la domanda principale, nel qual caso solamente, per pacifica giurisprudenza avrebbe dovuto ritenersi necessaria la proposizione di una domanda riconvenzionale (v. per tutte Cass. 22.12.08 n. 29936).

Si trattava, invece, di eccezione in senso stretto, validamente proposta dalla convenuta all’atto della costituzione, su cui il primo giudice era tenuto a pronunziarsi ai sensi dell’art. 112 c.p.c..

6.- Una volta accolta dal Tribunale l’eccezione, in ogni caso, il giudice di appello avrebbe dovuto porsi il problema della deducibilità o meno della questione con domanda riconvenzionale solo ove fosse stato dedotto in proposito un esplicito motivo di impugnazione, atteso che per i limiti posti dall’effetto devolutivo dell’appello, il giudice di secondo grado non può rilevare d’ufficio il vizio di ultra od extra petizione, ove non censurato con apposito motivo di gravame, in cui sia eventualmente incorso il giudice di primo grado pronunziando su domanda irritualmente proposta (Cass. 22.3.07 n. 6935).

7.- In conclusione, rigettati i primi due motivi ed assorbito il terzo, il ricorso deve essere rigettato.

8.- Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 30 (trenta) per esborsi ed in Euro 2.000 (duemila) per onorari, oltre spese generali, Iva Cpa.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2011

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