Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2656 del 04/02/2010

Cassazione civile sez. II, 04/02/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 04/02/2010), n.2656

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SERPIPA COSTRUZIONI DI STRUZZIERO SERGIO & C SNC (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA LABICANA 43, presso

lo studio dell’avvocato TESORIO ARMANDO, rappresentato e difeso

dall’avvocato CECERE ANTONIO;

– ricorrente –

contro

N.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato SASSO CARMINE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3305/2003 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 21/11/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

21/01/2010 dal Consigliere Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

N.C. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal presidente del tribunale di Avellino con il quale gli era stato intimato di pagare alla s.n.c. SER.PI.PA. Costruzioni L. 44.030.000 a titolo di compenso per lavori relativi alla costruzione di un fabbricato in (OMISSIS). L’opponente deduceva di non aver avuto alcun rapporto con la societa’ opposta in quanto i lavori del fabbricato in questione erano stati eseguiti dall’impresa di D.C.C..

La s.n.c. SER.PI.PA. si costituiva e chiedeva il rigetto dell’opposizione sostenendone l’infondatezza.

Il tribunale di Avellino, con sentenza 27/3/2001, accoglieva l’opposizione rilevando in particolare: che l’assegno di L. 15 milioni, posto a base della richiesta monitoria, era stato emesso dal N. ed incassato dalla Serpipa con riferimento a lavori relativi ad altra costruzione di proprieta’ degli eredi N. e non a quello di proprieta’ dell’opponente; che non era stato provato un accordo tra le parti con riferimento a tale ultima costruzione.

Avverso la detta sentenza la societa’ opposta proponeva appello al quale resisteva il N. che spiegava appello incidentale in relazione al governo delle spese.

Con sentenza 21/11/2003 la corte di appello di Napoli rigettava l’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale e in parziale riforma della decisione impugnata, condannava la societa’ Serpica al pagamento in favore del N. delle spese del giudizio di primo grado. Osservava la corte di merito: che l’assegno di L. 15 milioni era relativo a lavori eseguiti ad un fabbricato diverso da quello in questione come risultava dalle risultanze probatorie non smentite dai “documenti” ai quali aveva fatto riferimento l’appellante senza neanche indicarli; che l’esame della prova testimoniale non confermava quanto asserito dalla Serpipa; che il contrasto tra le opposte versioni fornite dai testi escussi era insuperabile non offrendo nessuna delle due maggiore attendibilita’ dell’altra; che la prova testimoniale chiesta dall’appellante in sede di gravame era inammissibile in quanto riguardante fatti che avevano formato oggetto delle deposizioni rese dai testi escussi in primo grado; che era fondato l’appello incidentale del N. in quanto il tribunale aveva compensato le spese del giudizio di primo grado senza fornire alcun valido motivo a sostegno di detta decisione; che non sussistevano ragioni tali da giustificare il superamento del principio della soccombenza.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Napoli e’ stata chiesta dalla s.n.c. SER.PI.PA. Costruzioni con ricorso affidato a quattro motivi. N.C. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la s.n.c. SER.PI.PA Costruzioni denuncia vizi di motivazione sostenendo che la corte di appello non ha colto l’esatta percezione dei fatti e delle emergenze processuali nel loro assieme pervenendo quindi all’erronea conclusione che l’assegno di L. 15 milioni si riferiva a lavori eseguiti in un fabbricato diverso da quello in questione. Dai documenti prodotti da essa societa’ – non esaminati dalla corte di merito – risulta che i lavori relativi al fabbricato di via Colonna degli eredi N. sono stati eseguiti da D.C.C. e non da essa Serpica.

Con il secondo motivo la societa’ ricorrente denuncia l’errata e/o l’omessa valutazione delle prove testimoniali e documentali pervenendo sbrigativamente all’affermazione che i testi si escludevano l’un l’altro mettendo sullo stesso piano i testi addotti dalle contrapposte parti in lite pur essendo i testi del N. compiacenti in quanto dipendenti o parenti del D.C. interessato all’esito della controversia. La corte di appello ha inoltre prestato poca attenzione ai documenti prodotti.

La Corte rileva l’infondatezza delle dette censure che possono essere e-saminate congiuntamente per la loro stretta connessione e che si risolvono essenzialmente, pur se titolate come vizi di motivazione, essenzialmente nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa nonche’ in una critica dell’apprezzamento delle prove operato dal giudice del merito (omesso o errato esame di risultanze istruttorie) incensurabile in questa sede di legittimita’ perche’ sorretto da motivazione adeguata, logica ed immune da errori di diritto: il sindacato di legittimita’ sul punto e’ limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nell’impugnata sentenza.

Inammissibilmente il ricorrente prospetta una diversa lettura del quadro probatorio dimenticando che l’interpretazione e la valutazione delle risultanze probatorie sono affidate al giudice del merito e costituiscono insindacabile accertamento di fatto: la sentenza impugnata non e’ suscettibile di cassazione per il solo fatto che gli elementi considerati dal giudice del merito siano, secondo l’opinione di parte ricorrente, tali da consentire una diversa valutazione conforme alla tesi da essa sostenuta.

Spetta infatti solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento ed apprezzare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Ne’ per ottemperare all’obbligo di motivazione il giudice di merito e’ tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie ed a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi – come nella specie gli elementi sui quali fonda il suo convincimento dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata.

Nel caso in esame non sono ravvisabili ne’ il lamentato difetto di motivazione, ne’ le asserite violazione di legge: la sentenza impugnata e’ del tutto corretta e si sottrae alle critiche di cui e’ stata oggetto.

Come riportato nella parte narrativa che precede la corte di appello ha proceduto alla disamina delle risultanze istruttorie e, sulla base di fatti qualificanti, ha coerentemente confermato la decisione del primo giudice in ordine alla mancanza di valida e convincente prova del raggiunto accordo tra le parti per l’esecuzione dei lavori di costruzione del fabbricato di proprieta’ del N..

La corte territoriale e’ pervenuta a tale conclusione attraverso un iter logico ineccepibile sorretto da complete ed appaganti argomentazioni frutto di un’indagine accurata e puntuale delle risultanze di causa menzionate nella decisione di cui si chiede l’annullamento.

Alle dette valutazioni la ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilita’ di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non e’ certo consentito in questa sede di legittimita’, cio’ comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non puo’ avere ingresso nel giudizio di cassazione.

In definitiva, poiche’ resta istituzionalmente preclusa in sede di legittimita’ ogni possibilita’ di rivalutazione delle risultanze istruttorie, non puo’ la ricorrente pretendere il riesame del merito sol perche’ la valutazione delle accertate circostanze di fatto come operata dal giudice di secondo grado non collima con le sue aspettative e confutazioni.

Sono pertanto insussistenti gli asseriti vizi di motivazione che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito.

Per quanto poi riguarda le doglianze relative alla valutazione delle risultanze istruttorie (deposizioni dei testi escussi, documenti prodotti dalla ricorrente) deve affermarsi che le stesse non sono meritevoli di accoglimento anche per la loro genericita’, oltre che per la loro incidenza in ambito di apprezzamenti riservati al giudice del merito.

Nel giudizio di legittimita’ il ricorrente che deduce l’omessa o l’erronea valutazione delle risultanze probatorie ha l’onere (in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione) di specificare il contenuto delle prove mal (o non) esaminate, indicando le ragioni del carattere decisivo del lamentato errore di valutazione: solo cosi’ e’ consentito alla corte di cassazione accertare – sulla base esclusivamente delle deduzioni esposte in ricorso e senza la necessita’ di indagini integrative – l’incidenza causale del difetto di motivazione (in quanto omessa, insufficiente o contraddittoria) e la decisivita’ delle prove erroneamente valutate perche’ relative a circostanze tali da poter indurre ad una soluzione della controversia diversa da quella adottata. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non o mal esaminate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento si e’ formato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base.

Al riguardo va ribadito che per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia e’ necessario un rapporto di causalita’ logica tra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla vertenza, si’ da far ritenere che quella circostanza se fosse stata considerata avrebbe portato ad una decisione diversa.

Nella specie le censure mosse dalla Serpipa sono carenti sotto l’indicato aspetto in quanto non riportano il contenuto specifico e completo delle prove testimoniali e documentali genericamente indicate in ricorso e non forniscono alcun dato valido per ricostruire, sia pur approssimativamente, il senso complessivo di dette prove. Tale omissione non consente di verificare l’incidenza causale e la decisivita’ dei rilievi al riguardo mossi dalla ricorrente.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 345 c.p.c. e vizi di motivazione lamentando l’errore commesso dalla corte di appello nel non ammettere la prova testimoniale chiesta da essa Serpica in secondo grado e che, al contrario di quanto affermato nella sentenza impugnata, non riguardava fatti che avevano formato oggetto delle deposizioni dei testi escussi in primo grado.

La censura non e’ meritevole di accoglimento atteso che, come e’ pacifico nella giurisprudenza di legittimita’, e’ inammissibile in appello – tenuto conto del principio di infrazionabilita’ delle prove – la prova testimoniale preordinata a contrastare, completare o confortare le risultanze di quella dedotta e assunta in primo grado, e cioe’ a determinare, attraverso nuove modalita’ e circostanze una diversa valutazione dei fatti che sono stati oggetto dello stesso mezzo istruttorio nelle precedenti fasi del processo. In particolare si ha “novita’” della prova orale in grado di appello solo quando essa sia diretta a dimostrare circostanze che non siano ne in contrapposizione ne’ in completamento di quelle gia’ oggetto della prova in primo grado, per cui non e’ ammissibile in sede di gravame una prova orale riflettente fatti di prova contraria rivolti anche in via indiretta a neutralizzare le risultanze delle prove orali gia’ acquisite in primo grado. 11 relativo apprezzamento del giudice del merito e’ incensurabile in Cassazione se (come appunto nella specie) sorretto da motivazione esente da vizi logico – giuridici.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 92 c.p.c. deducendo che la decisione della corte di appello di riformare la decisione del tribunale di compensare tra le parti le spese del giudizio di primo grado urta contro il costante principio giurisprudenziale secondo cui il giudice non e’ tenuto a giustificare i motivi della compensazione delle spese tenuto anche conto dei contrasti delle dubbie risultanze istruttorie che imponevano nella specie la detta compensazione.

Anche questo motivo, al pari degli altri, e’ manifestamente infondato ponendosi contro il principio affermato da questa Corte secondo cui l’art. 92 c.p.c., nel testo antecedente alla modifica operata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, deve essere interpretato nel senso che il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi deve trovare nella sentenza un adeguato supporto motivazionale per cui integra gli estremi della violazione di legge (art. 92 c.p.c., comma 2), denunciabile e sindacabile anche in sede di legittimita’, la decisione di compensazione delle spese del giudizio giustificata da generici “motivi di opportunita’ e di equita’” quanto (come appunto nel caso in esame) le ragioni in base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge per esercitare il potere di compensazione delle spese non emergono ne’ da una motivazione esplicitamente specifica ne’, quanto meno, da quella complessivamente adottata a fondamento dell’intera pronuncia, cui la decisione di compensazione delle spese cui accede (tra le ultime, sentenza 27/4/2009 n. 9888).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con la conseguente condanna della societa’ ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 1.500,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2010

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