Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26558 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. I, 17/10/2019, (ud. 25/09/2018, dep. 17/10/2019), n.26558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23946/2018 R.G. proposto da:

N.B., rappresentato e difeso dall’Avv. Chiara

Costagliola, con domicilio eletto in Roma, via M. Menghini, n. 21,

presso lo studio dello Avv. Pasquale Porfilio;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Campobasso depositato il 13

luglio 2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 settembre

2019 dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che N.B., cittadino della Nigeria, ha proposto ricorso per cassazione, per cinque motivi, avverso il decreto del 13 luglio 2018, con cui il Tribunale di Campobasso ha rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lui proposta;

che il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g), art. 3, comma 3, lett. a) e c) e art. 14, comma 1, lett. c), nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato per aver ritenuto che la sua vicenda personale non giustificasse il riconoscimento della protezione sussidiaria, senza tener conto dei rischi cui egli sarebbe rimasto esposto in caso di rimpatrio e delle informazioni fornite da fonti internazionali, da cui risulta la situazione di conflitto armato in atto nel suo Paese di origine;

che il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato, avendo il decreto impugnato escluso motivatamente da un lato la credibilità della vicenda personale narrata dal ricorrente, e quindi l’esposizione dello stesso ad un rischio particolare o individuale, ricollegabile alle minacce subìte ad opera di un gruppo politico denominato OPC, dall’altro l’esistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da un conflitto armato in atto nella regione di provenienza del ricorrente (Edo State);

che, nel ritenere inattendibile la vicenda personale allegata a sostegno della domanda, il decreto impugnato ne ha evidenziato il carattere generico e stereotipato, ponendo altresì in risalto la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal ricorrente e l’assenza di riferimenti temporali e di una concatenazione logica e plausibile degli eventi;

che il predetto giudizio, correttamente improntato ai criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito, ed è pertanto censurabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., Sez. I, 7/08/2019, n. 21142; 12/06/2019, n. 15794; 5/02/2019, n. 3340);

che, nel contestare la valutazione compiuta dal Tribunale, il ricorrente non è in grado d’indicare circostanze di fatto trascurate dal decreto impugnato nè lacune argomentative o carenze logiche del ragionamento dallo stesso seguito, ma si limita ad insistere sulla propria versione dei fatti, in tal modo dimostrando di voler sollecitare un nuovo apprezzamento della vicenda, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella decisione impugnata, nonchè la coerenza logica delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie possono ancora essere fatte valere con il ricorso per cassazione, a seguito della modificazione dell’art. 360 cit., ad opera del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), (cfr. Cass., Sez. VI, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547);

che, nell’insistere sulla minaccia derivante dalla situazione di violenza indiscriminata esistente in Nigeria, il ricorrente invoca una nuova valutazione del materiale probatorio, anch’essa non consentita in questa sede, contrapponendo alle informazioni utilizzate dal decreto impugnato, provenienti dall’UNHCR, quelle fornite da altre autorevoli fonti internazionali, da lui ritenute maggiormente rappresentative del conflitto armato in atto nel Paese, senza neppure considerare che, come risulta dalle stesse, gli scontri tra le forze governative ed i gruppi terroristici ivi menzionati non si estendono all’area meridionale, della quale fa parte la sua regione di provenienza;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, osservando che, nell’escludere la sussistenza di motivi di carattere personale tali da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria, il Tribunale non ha tenuto conto della grave minaccia derivante dalla situazione d’instabilità socio-politica e di violenza indiscriminata esistente in Nigeria e della sua esposizione al rischio di vendetta personale, nonchè della sua integrazione nel tessuto sociale italiano;

che il motivo è inammissibile, risolvendosi nella generica insistenza sulla situazione generale d’instabilità politico-sociale della Nigeria, la cui valutazione, in assenza di uno specifico collegamento con la situazione personale del richiedente anteriore all’abbandono del Paese di origine, non potrebbe in alcun caso assumere portata determinante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, risultando di per sè inidonea ad evidenziare una condizione di vulnerabilità soggettiva;

che infatti, come ripetutamente affermato da questa Corte, l’accertamento della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria dev’essere ancorato ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata non già alla situazione generale del Paese di origine, ma a quella personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (cfr. Cass., Sez. VI, 3/04/2019, n. 9304; 7/02/2019, n. 3681);

che con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, ribadendo che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, il decreto impugnato ha omesso di valutare la documentazione prodotta, da cui emergeva la sua integrazione nel tessuto sociale italiano;

che il motivo è inammissibile, in quanto, oltre a risolversi nella mera sollecitazione di un riesame della documentazione prodotta a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, non consentito in questa sede, non attinge la ratio decidendi del decreto impugnato, il quale ha ritenuto che la prova dell’integrazione del richiedente nel tessuto sociale e lavorativo italiano non fosse sufficiente ai fini dell’applicazione della predetta misura, in assenza dell’allegazione e della dimostrazione di una specifica situazione di vulnerabilità;

che con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 74, comma 2 e del D.Lgs. 28 gennaio 2005, n. 2008, art. 28-bis censurando il decreto impugnato per aver revocato l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sulla base di una superficiale valutazione della manifesta infondatezza della domanda, in contrasto con le norme costituzionali, internazionali e sovranazionali che, riconoscendo il diritto di asilo, postulano necessariamente l’effettività della relativa tutela giurisdizionale, e con la lettera dell’art. 74 cit., che si riferisce ai soli casi in cui risulti ictu oculi l’inammissibilità della domanda o l’infondatezza della pretesa;

che con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 e degli artt. 3,10,24,35 e 113 Cost., osservando che, nel ritenere la domanda manifestamente infondata, il decreto impugnato non ha tenuto conto della continua e variegata evoluzione della giurisprudenza in materia di protezione internazionale e della complessità della valutazione richiesta ai fini del riconoscimento della stessa, nonchè dell’assenza di mala fede o colpa grave di esso ricorrente;

che i due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, sono inammissibili, dal momento che la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con il provvedimento che definisce il giudizio di merito, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 non comporta mutamenti nel regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione prevista dall’art. 170 del medesimo D.P.R., dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con il predetto provvedimento, sia per ciò solo impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113, D.P.R. citato (cfr. Cass., Sez. I, 11/12/2018, n. 32028; Cass., Sez. III, 8/02/2018, n. 3028; Cass., Sez. II 6/12/2017, n. 29228);

che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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