Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26556 del 27/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 26556 Anno 2013
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 15567-2011 proposto da:
PALMISANO ANTONELLA, domiciliata in Roma presso la
Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’Avv.
Oscar Lojodice per procura rilasciata in calce al ricorso;

– ricorrente contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE —
INPS (c.f. 80078750587), in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Della
Frezza n. 17, presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e
difeso dagli Avv.ti Antonietta Coretti, Emanuele De Rose, Vincenzo
Triolo e Vincenzo Stumpo per procura in calce al controricorso;

– controricorrente avverso la sentenza n. 726/2011 della Corte d’appello di Bari,
depositata in data 8.03.11;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
27.09.13 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;
udito l’Avv. Coretti;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Marcello
Matera.
Ritenuto in fatto e diritto

Data pubblicazione: 27/11/2013

6. Palmisano Antonella c. INPS (r.g. 15567/11)

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1.- Palmisano Antonella nel 1997 otteneva dal Pretore del lavoro
di Bari sentenza di condanna dell’INPS a corrisponderle la differenza
tra quanto percepito a titolo di disoccupazione agricola relativa
all’anno 1984 e quanto dovutole in misura rivalutata per lo stesso
titolo.
2. L’assicurata, tanto premesso, si rivolse al giudice del lavoro di
Bari per la condanna dell’Istituto al pagamento di quanto spettante in
forza di detta sentenza, oltre gli ulteriori interessi maturati. Il Tribunale
del lavoro rigettava, tuttavia, la richiesta ritenendo che la prima
sentenza costituisse già titolo esecutivo e che, quindi, l’assicurata era in
grado di ottenerne l’esecuzione.
3.- Proposto appello da Palmisano, la Corte d’appello di Bari
con sentenza depositata in data 8.03.11, rigettava l’impugnazione„
ritenendo che, pur non avendo la sentenza del Pretore un grado di
specificità sufficiente a consentirne l’esecuzione, tuttavia, non esisteva
certezza che l’assicurata avesse percepito l’indennità di disoccupazione,
di modo che non era provato il titolo per ottenere la rivalutazione.
4. Proponeva ricorso per cassazione l’assicurata con due motivi:
4.1.- 4.1) violazione degli artt. 2697 e 2909 c.c., nonché degli artt. 112,
115, 116, 324 e 432 c.p.c. e carenza di motivazione, in quanto la Corte
d’appello pur affermando che la sentenza del Pretore aveva accertato
l’an della domanda ha poi ritenuto ancora indimostrato il fatto
costitutivo del diritto (ovvero la percezione dell’indennità) assegnando
valore alla contestazione mossa dall’INPS solo nel secondo giudizio,
così disattendendo il giudicato ormai formatosi sul punto ed
impedendo la quantificazione del credito mediante consulenza tecnica
di ufficio, secondo la richiesta istruttoria da lei formulata; 4.2)
violazione dell’art. 1283 c.c. e degli artt. 100 e 112 c.p.c. e carenza di
motivazione, censurando la sentenza per non aver preso in esame la
richiesta, ribadita in appello di pagamento degli interessi anatocistici ai
sensi dell’art. 1283 c.c., o quantomeno di condanna generica al loro
pagamento. L’INPS si difendeva con controricorso.
5.- Il consigliere relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis
c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore generale e notificata ai
difensori costituiti con l’avviso di convocazione dell’adunanza della
camera di consiglio.
6.- La controversia ha per oggetto la quantificazione del credito
da rivalutazione, secondo i coefficienti ISTAT, dell’indennità di
disoccupazione che si assume pagata dall’INPS nell’anno 1984 nella
misura fissa giornaliera di £ 800, a seguito della declaratoria di
illegittimità, pronunziata dalla sentenza n. 497/88 della Corte
costituzionale, dell’art. 13 della legge n. 114 del 1974, nella parte in cui

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non prevedeva un meccanismo di perequazione automatica di detta
indennità che la preservasse dalla svalutazione monetaria. Afferma la
Corte d’appello che la quantificazione di tale credito richiede la prova
del fatto costitutivo del diritto, e cioè la avvenuta percezione da parte
della lavoratrice dell’indennità di cui si chiede la rivalutazione.
7.- Quanto alle censure mosse sub 4.1, deve rilevarsi che dallo
stralcio della sentenza del Pretore riportato nel ricorso emerge che la
pronunzia originaria affermava che l’INPS aveva riconosciuto il diritto
alla prestazione e che “la prova dei giorni di disoccupazione ordinaria
da indennizzare al ricorrente è offerta dalla documentazione prodotta
in giudizio”, senza che tuttavia venisse indicato l’importo della
prestazione goduta e non rivalutata. L’assicurata, che contro questa
statuizione non mosse alcuna censura (al punto da consentire la
formazione del giudicato), nel momento in cui chiede il pagamento
della rivalutazione è tuttora astretta dall’onere di provare il quantum su
cui parametrare la rivalutazione, attesa la persistente negatoria
dell’INPS, che ancora sostiene che nell’anno in questione l’istante non
aveva subito alcuna giornata di disoccupazione. Quest’onere parte
ricorrente non ha assolto neppure nel secondo giudizio, atteso che con
il ricorso introduttivo si è limitata a chiedere il pagamento della
“somma di danaro che dalla disponenda consulenza tecnica contabile
emergerà dovutale, in esecuzione della sentenza nr. 3213/97 del
Pretore di Bari”, limitandosi a chiedere un mezzo istruttorio di
carattere esplorativo, correttamente ritenuto inammissibile dalla Corte
d’appello. Il primo motivo di ricorso è, quindi, infondato.
8.- La correttezza della sentenza di appello ed il rigetto del
primo motivo, comportano l’assorbimento del secondo mezzo di
impugnazione, a proposito della richiesta degli interessi anatocisfici,
atteso che questi ultimi, in mancanza del definitivo accertamento del
quantum spettante, mai potranno essere quantificati.
9.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Avendo reso nel ricorso per cassazione dichiarazione ai sensi
dell’art. 42, c. 11, del d.l. 30.09.03 n. 269, conv. dalla 1. 24.11.03 n. 326,
l’assicurata non va condannata al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità.
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso, nulla disponendo circa le spese del
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 27 settembre 2013
DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Il Presidente

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