Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26555 del 27/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 26555 Anno 2013
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

Data pubblicazione: 27/11/2013

ORDINANZA
sul ricorso 15514-2011 proposto da:
NEGLIA ROSA, domiciliata in Roma presso la Cancelleria della Corte
di cassazione, rappresentata e difesa dall’Avv. Oscar Lojodice per
procura rilasciata in calce al ricorso;

– ricorrente contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE —
INPS (c.f. 80078750587), in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via Della
Frezza n. 17, presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e
difeso dagli Avv.ti Antonietta Coretti, Emanuele De Rose, Vincenzo
Triolo e Vincenzo Stumpo per procura in calce al controricorso;

– controricorrente avverso la sentenza n. 1174/2011 della Corte d’appello di Bari,
depositata in data 21.03.11;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
27.09.13 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;
udito l’Avv. Coretti;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Marcello
Matera.
Ritenuto in fatto e diritto

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UI

5. Neglia Rosa c. INPS (r.g. 15514/11)

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1.- Neglia Rosa nel 1997 otteneva dal Pretore del lavoro di Bari
sentenza di condanna dell’INPS a corrisponderle la differenza tra
quanto percepito a titolo di disoccupazione agricola relativa all’anno
1984 e quanto dovutole in misura rivalutata per lo stesso titolo.
2. L’assicurata, tanto premesso, si rivolse al giudice del lavoro di
Bari per la condanna dell’Istituto al pagamento di quanto spettante in
forza di detta sentenza, oltre gli ulteriori interessi maturati. Il Tribunale
del lavoro rigettava, tuttavia, la richiesta ritenendo che la prima
sentenza costituisse già titolo esecutivo e che, quindi, l’assicurata era in
grado di ottenerne l’esecuzione.
3.- Proposto appello da Neglia, la Corte d’appello di Bari con
sentenza depositata in data 21.03.11, rigettava l’impugnazione.
Considerato che l’INPS aveva eccepito l’avvenuto pagamento della
prestazione nei termini indicati dalla sentenza del Pretore e che
l’assicurata non aveva contrapposto valide obiezioni, considerata la
situazione di incertezza al riguardo presente in atti, la Corte ammetteva
l’INPS a produrre ulteriore documentazione, dall’esame della quale
riteneva emergere la prova dell’adempimento credito nascente dalla
sentenza azionata. La Corte, accogliendo l’appello incidentale proposto
dall’INPS per la riforma della sentenza in punto di spese, condannava
l’assicurata alle spese del primo grado, oltre che a quelle del giudizio di
seconda istanza.
4. Proponeva ricorso per cassazione l’assicurata con due motivi:
4.1.- violazione degli artt. 88, 92, 100, 112, 115, 116, 324 e 437, c. 2-3,
c.p.c. e carenza di motivazione, in quanto: a) l’INPS nel costituirsi in
appello aveva depositato documentazione inconferente e la Corte
aveva dedotto la prova dell’avvenuto pagamento da documentazione
prodotta tardivamente nel giudizio di secondo grado, in violazione
della procedura di ammissione prevista dall’art. 437; b) l’assicurata
aveva tempestivamente contestato l’avvenuto pagamento dedotto
dall’INPS, chiedendo altresì consulenza tecnica per accertare l’effettiva
erogazione della prestazione e la data eventuale del suo adempimento;
4.2) violazione dell’art. 1283 c.c. e degli artt. 100 e 112 c.p.c. e carenza
di motivazione, censurando la sentenza per non aver preso in esame la
richiesta, ribadita in appello di pagamento degli interessi anatocistici ai
sensi dell’art. 1283 c.c., o quantomeno di condanna generica al loro
pagamento. L’INPS si difendeva con controricorso.
5.- Il consigliere relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis
c.p.c., che è stata comunicata al Procuratore generale e notificata ai
difensori costituiti con l’avviso di convocazione dell’adunanza della
camera di consiglio.

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5. Neglia Rosa c. INPS (r.g. 15514/11)

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6.- La controversia ha per oggetto la quantificazione del credito
da rivalutazione, secondo i coefficienti ISTAT, dell’indennità di
disoccupazione che si assume pagata dall’INPS nell’anno 1984 nella
misura fissa giornaliera di L 800, a seguito della declaratoria di
illegittimità, pronunziata dalla sentenza n. 497/88 della Corte
costituzionale, dell’art. 13 della legge n. 114 del 1974, nella parte in cui
non prevedeva un meccanismo di perequazione automatica di detta
indennità che la preservasse dalla svalutazione monetaria. Afferma la
Corte d’appello che la quantificazione di tale credito richiede la prova
del fatto costitutivo del diritto, e cioè la avvenuta percezione da parte
della lavoratrice dell’indennità di cui si chiede la rivalutazione.
7.- Quanto alle censure mosse sub 4.1, deve rilevarsi che la
Corte di merito si è valsa dei poteri di ufficio riconosciuti al giudice
d’appello dall’art. 437 c.p.c. al fine di risolvere una situazione di
incertezza determinatasi a seguito della deduzione del pagamento da
parte dell’INPS effettuata fin dal primo grado (a prescindere dalla
documentazione ivi prodotta) e dalle insufficienza delle difese spiegate
in risposta dall’assicurata. La valutazione di tale obiettiva situazione
processuale è stata effettuata dal giudice di appello in termini di
assoluta ragionevolezza e congruità, per cui appaiono esistenti i
presupposti per l’ammissione dei documenti dedotta in appello,
essendo rispettato il canone applicativo della norma affermato dalla
sentenza a S.u. 20.04.05 n. 8202, per la quale il sistema di preclusioni
desumibile dal combinato disposto degli artt. 414 e 437 c.p.c. “trova
un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della verità
materiale, cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, teso a
garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che
nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del
giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi del
citato art. 437, c. 2, c.p.c. ove essi siano indispensabili ai fini della
decisione della causa”.
Deve conseguentemente ritenersi che correttamente la Corte
d’appello abbia ritenuto adempiuta da parte dell’INPS l’obbligazione
nascente dalla originaria sentenza del Pretore di Bari.
8.- Quanto al secondo motivo (4.2), la Corte d’appello ha
rilevato che dagli atti non emerge il dato essenziale dell’entità della
sorte capitale (essendo l’importo indicato dall’INPS a riprova del
pagamento comprensivo di tutti gli accessori) e degli interessi maturati
e già scaduti. L’assicurata-attrice non ha adempiuto all’onere di indicare
questi dati, atteso che con il ricorso introduttivo ha solo chiesto il
pagamento della “somma di danaro che dalla disponenda consulenza
tecnica contabile emergerà dovutale, in esecuzione della sentenza nr.
3164/97 del Pretore di Bari”, limitandosi a chiedere un mezzo

Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso, nulla disponendo circa le spese del
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 27 settembre 2013
Il Presidente

istruttorio di carattere esplorativo, correttamente ritenuto
inammissibile dalla Corte d’appello. La domanda, pertanto, non è
uscita dalla assoluta genericità e come tale è inaccoglibile.
9.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Avendo reso nel ricorso per cassazione dichiarazione ai sensi
dell’art. 42, c. 11, del d.l. 30.09.03 n. 269, conv. dalla 1. 24.11.03 n. 326,
l’assicurata non va condannata al pagamento delle spese del giudizio di

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