Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26555 del 23/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 23/11/2020), n.26555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13426-2017 proposto da:

COMUNE DI MONTECORVINO PUGLIANO, in persona del Sindaco pro tempore,

con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONIETTA GLIELMI, PASQUALE GENOVESE;

– ricorrente –

contro

AMES SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 9757/2016 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

SALERNO, depositata il 08/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. MONDINI ANTONIO.

 

Fatto

PREMESSO

che:

1.il Comune di Montecorvino Pugliano ha presentato ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la commissione tributaria regionale della Campania ha dichiarato illegittimo il rifiuto opposto da esso ricorrente alla istanza, avanzata dalla spa AMES, di rimborso della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani pagata, in relazione allo smaltimento di rifiuti speciali (scarti di lavorazione del legno), negli anni 2005-2010. La commissione ha richiamato la sentenza n. 10362 resa da questa Corte il 7 maggio 2007 (“In tema di tassa per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione, si formano, di regola, rifiuti speciali, per tali dovendosi intendere, del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, ex art. 2, fra l’altro, quelli “derivanti da lavorazioni industriali”. Su tale disciplina deve ritenersi che non abbia inciso la L. 22 febbraio 1994, n. 146, art. 39, il quale ha assimilato i rifiuti “speciali” a quelli urbani, e, pertanto, i luoghi specifici di lavorazione industriale, cioè le zone dello stabilimento sulle quali insiste il vero e proprio opificio industriale, vanno considerate estranee alla superficie da computare per il calcolo della tassa in questione”), ha affermato, in primo luogo, che, così come dedotto dalla società AMES, “dalla lettura del regolamento del Comune si rileva chiaramente che l’Ente ha escluso dall’assimilazione (ai rifiuti urbani) i rifiuti provenienti dalla attività industriali in quanto le stesse sono ricomprese nella previsione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7, comma 3, lett. c)”, in secondo luogo, che la “società aveva dimostrato di avere raccolto e quindi smaltito i rifiuti tramite aziende specializzate (ed) essendo le zone dello stabilimento nella quali si svolgono lavorazioni industriali, in ogni caso, non tassabili, nessuna dichiarazione doveva essere presentata dalla socetà al fine di ottenere il riconoscrimento di esclusione”;

2.la società AMES non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso il Comune lamenta “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19” deducendo che “in tema di rimborso, sulla istanza di autotutela, promossa dal contribuente al fine di ottenere l’annullamento di atti impositivi al medesimo notificati, non può formarsi il silenzio rifiuto laddove l’amministrazione sia rimasta inerte con la conseguenza che il contribuente non è ammesso a dedurre tale fatto giuridico di fronte al giudice tributario”;

2. il motivo è inammissibile perchè non ha attinenza con la fattispecie concreta nè con sentenza impugnata. La fattispecie concreta e la sentenza impugnata attengono infatti non ad una ipotesi di silenzio rifiuto su un’istanza di annullamento in autotutela di un atto impositivo definitivo ma ad una ipotesi di silenzio su istanza di rimborso di imposte che la contribuente assume di avere pagato per errore (ipotesi in cui il ricorso, stante il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. g, è indiscutibilmente ammissibile);

3.con il secondo motivo di ricorso, il Comune lamenta “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 75” deducendo che la contribuente sarebbe decaduta dalla pretesa di rimborso per non avere presentato la relativa richiesta nei termini previsti da tale articolo. Il Comune, con riferimento implicitamente ma chiaramante limitato alla annualità di imposta 2005, sostiene che il diritto al rimborso avrebbe dovuto essere esercitato entro il termine di decadenza biennale di cui al predetto art. 75, comma 3, abrogato per effetto della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 172, a far data dal 1 gennaio 2007, e sostituito dal comma 164 dello stesso art. 1 con la previsione di un termine di decadenza quinquennale, e tuttavia ancora applicabile al rapporto di imposta 2005 trattandosi, a dire del Comune, di rapporto “esaurito” ossia non più pendente al 1 gennaio 2007;

4. il motivo è infondato nella parte in cui invoca erroneamente una norma in realtà inapplicabile (art. 75 citato) e inammissibile nella parte in cui non fornisce elementi per valutare se sussistessero gli estremi per ritenere il contribuente decaduto dal diritto al rimborso ai sensi della norma applicabile (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 164). L’infondatezza consegue al fatto che il rapporto relativo al 2005, al contrario di quanto sostiene il comune, non era esaurito al 1 gennaio 2007 posto che, a quella data, era ancora pendente il termine biennale sancito per la richiesta di rimborso ai sensi dell’art. 75 e che, come questa Corte ha già precisato, solo con la scadenza del termine per richiedere il rimborso si determina il consolidamento dei rapporti di dare ed avere tra contribuente ed erario e così l’esaurimento dello stess,r4pporto tributario (Cass. n. 9223 del 21/4/2011). L’inammissibilità consegue nell’efficacia della memoria commettente all’applicabile al fatto che la questione della decadenza della contribuente dal diritto al rimborso, ancorchè rilevabile pure d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, non può essere eccepita per la prima volta i Cassazione qualora, come nel caso di specie, dalla sentenza impugnata non risulti la data del versamento, non essendo consentita, in sede di legittimità, la proposizione di nuove questioni di diritto che presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto (Cass. 25014/2016);

5. con il terzo motivo, il Comune lamenta “falsa applicazione della tabella A) del regolamento comunale sulla TARSU”. Premette che “con l’entrata in vigore del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 era stato restituito ai comuni il potere di assimilare ai rifiuti urbani alcune categorie di rifiuti speciali” e deduce che, al contrario di quanto affermato dalla commissione, secondo il proprio regolamento, i rifiuti prodotti dalla contribuente sono assimilati ai rifiuti urbani;

6. il motivo è inammissibile. Va premesso che la giurispudenza richiamata dalla commissione (v. punto 1 della superiore premessa), peraltro non univoca (v. in senso difforme, tra altre, Cass. 13851//2004 secondo cui “in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la L. n. 146 del 1994, art. 39, della L. 22 febbraio 1994, n. 146, nell’abrogare il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 60, aveva stabilito l’assimilazione “ope legis” di tutti i rifiuti speciali ai rifiuti urbani, fatta eccezione soltanto per quelli ospedalieri, tossici e nocivi, eliminando la discrezionalità del Comune in ordine alla assimilabilità o meno dei rifiuti speciali a quelli urbani e riservando l’autosmaltimento, anche in regime di convenzione, esclusivamente alle ultime tre categorie di rifiuti sopra indicate, con conseguente legittimità dell’imposizione della succitata tassa – sino all’abrogazione della citata L. n. 146 del 1994, art. 39, da parte della L. n. 128 del 1998, art. 17, comma 3 – in riferimento ai rifiuti da lavorazioni industriali, attività commerciali e di servizi”) ha riferimento ad una normativa pregressa rispetto a quella applicabile al caso di specie. Quest’ultima è data del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 7, comma 2, lett. c) e art. 21, comma 2, lett. g) (v. Cass.18988/2019: “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, per effetto della L. n. 128 del 1998, art. 17, comma 3, abrogativo della L. n. 146 del 1994, art. 39, venendo meno l’assimilazione “ope legis” ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purchè aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, secondo i dettagli tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984,. risulta pienamente operativo il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g), attributivo ai Comuni della facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche, sicchè, a partire dall’annualità d’imposta 1997, assumono decisivo rilievo le indicazioni proprie dei regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari”). Quanto sopra premesso, si osserva che, qualora con il ricorso per cassazione siano dedotti vizi relativi a regolamenti comunali, il ricorso in tanto rispetta il requisito di autosufficienza imposto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., in quanto rechi la integrale trascrizione delle norme del regolamento evocate o abbia il testo delle norme in allegato. Per i regolamenti comunali, trattandosi di norme secondarie, non vale il principio “iura novit curia” (Cass. 5298/2019; 19360/2018; 18661/2006 e Cass.n. 12786/2006). Nel caso di specie, il motivo di ricorso in esame non contiene la integrale trascrizione delle norme del regolamento evocate nè richiama ad un allegato del ricorso recante quelle norme. Dacchè l’inammissibilità;

7. in ragione di quanto precede il ricorso deve essere rigettato;

8. non vi è luogo a pronuncia sulle spese stante la mancata costituzione della parte intimata;

9. al rigetto del ricorso consegue, ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), l’obbligo, a carico del ricorrente, di pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

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