Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26549 del 23/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 23/11/2020), n.26549

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6865/2013 R.G. proposto da:

S.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Eugenio Romanelli

Grimaldi, con domicilio eletto presso l’Avv. Nicola Bultrini in Roma

via Germanico n. 107, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 17/48/12, depositata in data 20 gennaio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 settembre

2020 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

 

Fatto

RILEVATO

che:

A seguito di verifica fiscale operata dalla Guardia di Finanza nei confronti della F.C. Turris Srl, l’Agenzia delle entrate notificava avviso di rettifica ai fini Iva per l’anno 1997 alla società, al relativo amministratore pro-tempore, sig. A.V., nonchè al sig. S.G., individuato quale amministratore di fatto della società stessa ed autore delle violazioni.

S.G. proponeva ricorso, con cui deduceva il difetto della qualità contestata, la carenza di motivazione dell’avviso e l’illegittimità delle verifiche bancarie operate. L’impugnazione, accolta dalla CTP di Napoli, era rigettata dal giudice d’appello.

Il contribuente propone ricorso per cassazione con quattro motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 14 e 29 e la nullità della sentenza per mancata integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c. nei confronti della società e i soci amministratori destinatari di parallelo avviso di accertamento.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. La nozione di litisconsorzio necessario derivabile dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, postula che l’oggetto del ricorso riguardi “inscindibilmente più soggetti”, sicchè richiede, ai fini della sua applicazione, il presupposto processuale dell’inscindibilità della controversia, che da individuarsi nell’atto o rapporto oggetto della valutazione giudiziale.

La Corte, in particolare, ha individuato alcune, limitate, ipotesi di litisconsorzio necessario e, in ispecie, in tema di accertamento in rettifica delle dichiarazioni dei redditi di società di persone e associazioni, atteso che, in tale evenienza, “l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società… e dei soci (…) riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci” poichè la controversia “non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato” (v. in particolare Sez. U, n. 14815 del 04/06/2008).

Un tale meccanismo, invece, è pacificamente assente per quanto riguarda l’Iva (v. ex multis, Cass. n. 21713 del 22/10/2010; da ultimo Cass. n. 6531 del 16/03/2018).

Ed infatti l’Iva è un’imposta di origine unionale che si applica, in misura proporzionale, alle operazioni aventi ad oggetto il trasferimento o lo scambio di beni o servizi ed è riscossa in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione, a prescindere dal numero di operazioni effettuate, il cui peso – da cui il carattere di neutralità dell’imposta – grava definitivamente sul consumatore ultimo.

Gli operatori economici, dunque, sono i soggetti passivi Iva (Direttiva 2006/112/CE, art. 9, secondo cui “si considera “soggetto passivo” chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività”) che sono destinatari, ciascuno per la sua posizione, di obblighi formali e sostanziali, ancorchè non siano (tendenzialmente) incisi dal tributo a differenza dei consumatori finali.

Ove poi sia ipotizzabile l’esistenza di una pluralità di soggetti parimenti responsabili si pone una questione di solidarietà passiva, che esclude la configurabilità del litisconsorzio necessario. Del resto già le Sezioni Unite (Sez. U, n. 1052 del 18/01/2007) occupandosi ex professo dell’istituto del litisconsorzio necessario nel processo tributario, aveva affermato che la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, si muove in una prospettiva diversa da quella nella quale si collocano le regole relative all’obbligazione solidale, obbligazione la cui (eventuale) sussistenza “non realizza un presupposto per l’applicazione della nonna in questione”; ed aveva aggiunto che la solidarietà sembra piuttosto “porre problemi relativi al rapporto tra giudicati (ed eventualmente legittimare un intervento nel processo ai sensi del cit. art. 14, comma 3)”.

Neppure rileva dunque che, in taluni casi, possa essere configurabile un interesse alla chiamata nel giudizio ovvero ad effettuare un intervento adesivo autonomo nella controversia, che può fondare una ipotesi di litisconsorzio facoltativo ed, eventualmente, di litisconsorzio processuale (v. ad es. con riferimento alla cessione di un credito Iva anteriormente all’instaurazione del giudizio relativo al suo rimborso Cass. n. 11468 del 25/05/2011), ma non anche di litisconsorzio necessario originario per inscindibilità delle posizioni.

2. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 5, 6, 7 e 10 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per illogicità, irrazionalità, erronea valutazione dei presupposti di fatto e diritto, motivazione carente illogica e contraddittoria, per aver la CTR recepito acriticamente la ricostruzione dell’ufficio, senza far riferimento alle norme giuridiche applicate.

2.1. Il motivo è infondato ed ai limiti dell’inammissibile.

2.2. Va rilevato, in primo luogo, che la complessiva censura, pur formulata come diretta a far valere error in iudicando ed error in procedendo, è, in realtà, univocamente diretta a lamentare la sufficienza e adeguatezza della motivazione.

La decisione impugnata, peraltro, è corredata da motivazione congrua, adeguatamente argomentata sulla base degli elementi oggettivi acquisiti con il pvc in sede di verifica (“l’irregolare tenuta dei registri e libri sociali a causa di irregolarità ed omissioni gravi e ripetute nella registrazione dei fatti di gestione” “le indagini bancarie” “le movimentazioni bancarie, le dichiarazioni”, rese, tra l’altro, dallo stesso contribuente che “si è più volte presentato come dirigente della società ed ha dichiarato di intervenire a favore della stessa con proprie risorse personali”, le “mancate risposte ai dati richiesti”), nella quale si sottolinea altresì che il contribuente (le cui doglianze erano state compiutamente considerate) non aveva fornito giustificazioni nè controdeduzioni documentate, sicchè è evincibile, con chiarezza, il ragionamento giuridico e di fatto operato.

La generica doglianza formulata, dunque, si traduce, in sostanza, in una non condivisione della valutazione operata dal giudice di merito, in vista di un nuovo esame del merito, inammissibile in sede di legittimità.

3. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 4 del 1929 del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11, comma 1, nonchè illogicità, irrazionalità, erronea valutazione dei presupposti di fatto e diritto, motivazione carente illogica e contraddittoria per aver ritenuto legittime le sanzioni, irrogate unitamente all’atto di rettifica, in assenza di prove della imputabilità della condotta e della qualità di amministratore di fatto, attribuita sulla base di mere presunzioni, e ciò tanto più attesa l’archiviazione in sede penale della corrispondente contestazione.

3.1. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

3.2. Occorre sottolineare, in primo luogo, che “anche nel vigore della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 12 – abrogato, con effetto dal primo aprile 1998, dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 29, comma 1, lett. a), il cui art. 11 ha formalmente sancito la responsabilità degli amministratori, anche di fatto, delle società per le sanzioni pecuniarie connesse a violazioni tributarie riferibili all’ente quale soggetto passivo del rapporto tributario – detta responsabilità poteva comunque profilarsi, tenuto conto che la cit. L. n. 4 del 1929, art. 11 (anch’esso abrogato dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 29, comma 1, lett. a)) prevedeva che “se la violazione della norma delle leggi finanziarie, per la quale sia stabilita la pena pecuniaria o la soprattassa sia imputabile a più persone, queste sono tenute in solido al pagamento della pena pecuniaria o della soprattassa”: sicchè, una volta acclarata l’imputabilità anche all’amministratore delle violazioni finanziarie, quest’ultimo poteva bene essere chiamato a rispondere delle relative sanzioni, conseguenti alla sua condotta illecita” (Cass. n. 21757 del 09/11/2005; Cass. n. 1568 del 24/01/2007).

Orbene, nella vicenda in esame, non sussiste il lamentato errore in diritto avendo la CTR ritenuto, con accertamento in fatto congruamente motivato, da un lato che il contribuente rivestisse la qualità di amministratore di fatto della F.C. Turris Srl, e, dall’altro, che la maggior ripresa per le omesse registrazioni delle operazioni derivava dall’esame delle movimentazioni bancarie del medesimo, da cui la diretta imputabilità delle violazioni Iva al contribuente e la legittimità delle sanzioni irrogate (“tali rilievi sono scaturiti dalle indagini bancarie che sono state contestate ai sigg. A.V. e S.G….”; “la qualità di amministratore di fatto del sig. S. è stata dimostrata dalle dichiarazioni di quest’ultimo che si è presentato come dirigente della società ed ha dichiarato di intervenire a favore della stessa con proprie risorse personali”).

3.3. La censura, quanto al dedotto vizio di motivazione, è invece inammissibile, risolvendosi, come già sopra evidenziato, in una non condivisione della valutazione degli elementi di prova in giudizio apprezzati dal giudice di merito.

E’ parimenti inammissibile la dedotta avvenuta archiviazione in sede penale, non solo carente in punto di autosufficienza ma neppure utilmente deducibile per la prima volta in sede di legittimità.

4. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riguardo alla rilevanza delle risultanze bancarie.

4.1. Pure tale censura va dichiarata inammissibile, risolvendosi in una mera contestazione – tra l’altro in carenza di autosufficienza per l’omessa riproduzione di qualsiasi atto pertinente – degli esiti delle indagini bancarie e dell’esistenza in capo al contribuente dell’onere di provare l’estraneità dei movimenti ai maggiori ricavi (che, invero, discende dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2), in relazione all’asserita scarsità del tempo a disposizione per fornire le necessarie giustificazioni (peraltro non introdotte neppure nel corso dell’intero giudizio) e dell’esistenza di altri contitolari dei conti medesimi.

5. Il ricorso va pertanto rigettato e le spese regolate, come in dispositivo, per soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna S.G. al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessive Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

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