Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26547 del 23/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 23/11/2020), n.26547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Teresa Liliana Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 364-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IMMOBILI E PARTECIPAZIONI SRL, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA GONDAR 22, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLI MARIA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DOMINICI REMO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 120/2013 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 14/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. BALSAMO MILENA.

 

Fatto

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate notificava alla società Immobili e Partecipazioni srl l’avviso di rettifica del valore dichiarato di Euro 1.600.000 nell’atto di trasferimento immobiliare del 18 gennaio 2007, sul presupposto che il giorno successivo la sottoscrizione dell’atto, l’acquirente Investor srl alienava il cespite al prezzo di Euro 4.200.000 e che, comunque, l’alienante aveva acquistato i cespiti con separati atti risalenti agli anni 2003, 2004 e 2006 al prezzo di Euro 4.779.160.

La contribuente impugnava l’avviso sul rilievo – secondo quanto dedotto nel controricorso e non evincibile nè dalla sentenza impugnata nè dal ricorso per cassazione – che non tutti i cespiti acquistati al complessivo prezzo di Euro 4.779.000 erano stati alienati alla società Investor.

La CTP di Genova respingeva parzialmente il ricorso, riducendo il valore accertato ad Euro 3.700.000, somma pari all’importo richiesto dalla società Ivestor a tiolo di mutuo per l’acquisto avvenuto il 19 gennaio 2007.

La contribuente impugnava la decisione di primo grado. La Commissione Tributaria Regionale della Liguria, nell’accogliere l’appello, affermava la congruità del valore dichiarato nel rogito alla stregua dei valori OMI e di quelli risultanti dalla comparazione con atti di compravendita di immobili aventi le medesime caratteristiche strutturali e allocative nonchè dall’accertamento del consulente di ufficio che aveva accertato la sinonimia tra prezzo dichiarato e valore di mercato dell’immobile. Ritenendo l’irrilevanza del prezzo di vendita del medesimo cespite disposto il giorno successivo dall’acquirente, trattandosi al più di un dato indiziario non confortato dagli elementi indicati.

L’amministrazione finanziaria, ricorre sulla base di un unico motivo per la cassazione della sentenza n. 120/2013 depositata il 14.11.2013, cui resiste con controricorso la società contribuente.

Diritto

ESPOSIZIONE DELLA RAGIONI DI DIRITTO

2.Con un unico motivo, l’Agenzia prospetta la nullità della sentenza impugnata per inosservanza del D.Lgs. n. 546 del 1982, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere i giudici regionali omesso di esporre anche in forma concisa i fatti di causa, trascurando di individuare i motivi di opposizione, il dictum del primo giudice (che è parzialmente trascritto e pure in modo errato), le doglianze di appello; impedendo in tal modo di individuare il thema decidendum. Si deduce altresì l’apparenza della motivazione nella parte in cui il decidente, facendo generico riferimento ai valori OMi ed alla stampa specializzata, non espressamente indicati, relativi ad immobili con analoghe caratteristiche, afferma la corrispondenza tra valore dichiarato e valore di mercato del compendio immobiliare. Ritenendo avvalorata questa circostanza dalla consulenza di ufficio che avrebbe accertato la congruità del valore dichiarato rispetto al valore di mercato dell’immobile, nonostante il perito nominato dalla Commissione avesse determinato in Euro 1900.000 il valore di mercato del cespito a fronte del prezzo dichiarato pari ad Euro 1600.000. Il tutto senza motivare sulle ragioni per le quali venivano disattese le eccezioni di inattendibilità della consulenza (espresse dall’Agenzia nella memoria dell’8.03.2023).

Argomenta, di poi, in ordine agli elementi probatori indicati nell’avviso e prodotti in giudizio, corrispondenti ai parametri di cui all’art. 51 TUIR, comma 3, per confermare la legittimità dell’avviso di rettifica.

3.La censura merita accoglimento.

Al riguardo va ricordato che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato itixta alligata et probata; l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti” (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 3 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonchè la giurisprudenza ivi richiamata).

Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 9 1257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

Va altresì ricordato che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830; (Cass. n. 13977/2019).

Nella presente fattispecie, i giudici di appello hanno omesso non solo la concisa esposizione dei fatti – limitandosi ad affermare che si versava in ipotesi di impugnazione di un avviso di rettifica relativa ad una vendita e che la sentenza di primo grado aveva valorizzato il trasferimento immobiliare avvenuto il giorno successivo ad un corrispettivo di gran lunga superiore al prezzo dichiarato nel rogito ma hanno altresì omesso di sviluppare le considerazioni/affermazioni idonee ad estrinsecare il percorso argomentativo che li ha indotti al convincimento che il prezzo dichiarato corrispondesse al valore di commercio dell’immobile.

Manca nella motivazione della decisione impugnata il riferimento agli elementi adottati dall’ente finanziario quale parametro di raffronto per la rideterminazione del valore in comune commercio del compendio (vale a dire gli atti di acquisto del medesimo compendio conclusi nel triennio precedente e l’atto di trasferimento stipulato dall’acquirente il giorno successivo la vendita oggetto di rettifica).

Inoltre, il decidente opera, a fondamento del suo convincimento, un generico riferimento sia ai valori OMI – benchè non siano stati adottati dall’ufficio per fondare la rettifica – sia agli atti di compravendita (che avrebbero le medesime caratteristiche di quelli oggetto della rettifica) i cui dati identificativi, tuttavia, non solo non emergono dalla sentenza, ma neppure da altre fonti. Per corroborare detto assunto, la CTR richiama le conclusioni della disposta c.t.u. – che avrebbe accertato la congruità del prezzo – senza tuttavia operare alcun riferimento ai criteri adottati dal perito per pervenire a detta convinzione e senza svolgere alcun vaglio critico in ordine alle censure mosse dall’Agenzia e richiamate nelle memorie dell’8.03.2013; critiche sollevate contro l’operato del consulente e trascritte, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, a pagina 10 del ricorso, assolvendo così all’onere di precisare nel ricorso il contenuto specifico di dette critiche (Cass. n. 7716/2000; n. 16368/2014). Il richiamo alle conclusioni raggiunte dal consulente tecnico d’ufficio, senza illustrare nè le ragioni nè l'”iter” logico seguito per pervenire, partendo da esse, al risultato enunciato in sentenza integra una sostanziale inosservanza dell’obbligo imposto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione. (Principio enunciato da sentenza n. 4448/2014). Difatti, solo quando il consulente tecnico abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, il giudice di merito, aderendo alle conclusioni della c.t.u., esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo, convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili (Cass. n. 1815/2015). Mentre ove siano state sollevate, come nella fattispecie, censure dettagliate e non generiche alla ctu, il giudice di merito ha l’obbligo di fornire una precisa risposta argomentativa correlata alle specifiche critiche sollevate, corredando con una più puntuale motivazione la propria scelta di aderire alle conclusioni del consulente d’ufficio (Cass. n. 12703/2015)

La motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali, dunque, concretizzando un chiaro esempio di “motivazione apparente”, ponendosi sicuramente al di sotto del “minimo costituzionale”.

5. In conclusione, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata e rinvio alla CTR della Liguria in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte:

– Accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR della Liguria in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione tributaria della Corte di Cassazione, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

 

 

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