Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26543 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. I, 17/10/2019, (ud. 12/07/2019, dep. 17/10/2019), n.26543

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24191/2018 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in Roma Via G. Marcora, 18/20

presso lo studio dell’avvocato Faggiani Guido che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Dalla Bona Roberto;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che

lo rappresenta e difende;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 08/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/07/2019 dal Dott. SOLAINI LUCA.

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso proposto da A.A. cittadino del Senegal, avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale che aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Contro il decreto del predetto Tribunale è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione del tribunale: (i) sotto un primo profilo, per violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 99 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione formale e sostanziale dei mezzi d’impugnazione che dovevano seguire la forma e l’iter dell’azione ordinaria di cognizione, per quanto riguarda la richiesta di protezione umanitaria, mentre, dovevano seguire il rito speciale camerale per le diverse forme di protezione internazionale, nel caso di specie, il tribunale, che doveva occuparsi della sola protezione umanitaria (per la quale era stato investito), lo aveva fatto con il rito speciale camerale, ed inoltre, aveva adottato decisioni sulla protezione internazionale, pur non essendo stato formalmente opposto, il provvedimento amministrativo di rigetto; (vedi fogli 10 e 11 del ricorso); (ii) sotto un secondo profilo, in primo luogo, per nullità del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto, in sede di opposizione, il ricorrente aveva solo fatto richiesta del riconoscimento dei presupposti della protezione umanitaria (decisa con rito camerale, ma soggetta al regime ordinario di cognizione), mentre, il tribunale aveva deciso anche sulla protezione internazionale, istituti sui quali il Tribunale avrebbe potuto pronunciarsi solo se con esito favorevole al ricorrente, in secondo luogo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 comma 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, oltre che della Direttiva 2004/83/CE (recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, erroneamente, il primo giudice aveva pronunciato sulla non credibilità “intrinseca” del richiedente asilo a motivo delle dichiarazioni contraddittorie e sfornite di prova (p. 7 del decreto), senza dar corso al dovere d’indagine e complessiva valutazione della reale e attuale situazione del paese d’origine; (iii) sotto un terzo profilo, per nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e per violazione di legge, in particolare, dell’art. 111 Cost., dell’art. 6 Cedu e dell’art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, il tribunale aveva acquisito autonomamente le fonti informative, senza sottoporle al contraddittorio preventivo con le parti, non avendo tutte lo stesso grado di attendibilità con conseguente ampio margine d’interpretazione da parte di chi le utilizza; (iv) sotto un quarto profilo, per nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e per violazione di legge, in particolare, per violazione dell’art. 5, comma 6 del T.U. Imm., dell’art. 2 Cost. e dell’art. 8 Cedu, in quanto, erroneamente, il Tribunale, ha ritenuto l’insussistenza dei presupposti della protezione umanitaria, sulla base degli stessi motivi di diniego della protezione internazionale (v. penultima pagina del ricorso), senza un’autonoma valutazione delle situazioni di vulnerabilità, alla luce di una valutazione comparativa, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani “al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale”.

Il primo motivo di ricorso e il profilo processuale dedotto, relativo al secondo motivo, sono inammissibili, in via preliminare, perchè non è chiaro quale sia l’interesse concretamente leso, e la decisività, ai fini della decisione della causa, delle illegittimità denunciate; inoltre, il ricorrente non riporta neppure, in ricorso, i motivi dell’opposizione, di talchè non si comprende se l’opposizione avesse ad oggetto la sola protezione umanitaria (come sembrerebbe desumersi a metà del foglio 11 del ricorso), ovvero avesse ad oggetto anche la protezione sussidiaria (come appare dalla lettura del foglio 16 del ricorso).

Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. ord., n. 16925/18).

Nel caso di specie, il giudice del merito ha accertato che il racconto del ricorrente, vagliato secondo i canoni della credibilità intrinseca era rimasto del tutto sfornito di prova (anche per l’incertezza sulle generalità e sulla esatta provenienza) e “non raggiunge un sufficiente grado di attendibilità perchè generico, poco circostanziato e a tratti contraddittorio” (v. p. 7 della sentenza).

Il terzo motivo è infondato, in quanto, in tema di protezione internazionale, la ricerca delle fonti informative aggiornate è un obbligo officioso del giudice, che deve svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, inoltre, tali fonti d’informazione non appartenendo alla scienza privata del giudice posso considerarsi “fatti notori” che erano a disposizione di chiunque e, quindi, anche delle parti private.

Il quarto motivo è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sentenza CEDU 8/4/2008 Ric. 21878 del 2006 Caso Nyianzi c. Regno Unito), così Cass. 17072/2018.

Nel caso di specie, il giudice del merito ha accertato l’assenza di situazioni di vulnerabilità in capo al richiedente, perchè dotato di autonomia e capacità di apprendimento (v. attestati scolastici e professionali), mentre, nel paese di provenienza vive tutta la sua numerosa famiglia.

La mancata predisposizione di difese scritte da parte dell’amministrazione statale, esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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