Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26525 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. III, 20/11/2020, (ud. 28/09/2020, dep. 20/11/2020), n.26525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16156-2018 proposto da:

INVITALIA PARTECIPAZIONI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI PORTA PINCIANA N 6, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

CRISOSTOMO SCIACCA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RANDSTAD ITALIA SPA, rappresentata e difesa, congiuntamente e

disgiuntamente, dagli AVVOCATI FRANCESCO ROTONDI e ANGELO QUARTO ed

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE N. 8,

presso lo studio dell’AVVOCATO MARCO MARAZZA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4909/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/09/2020 dal Consigliere Dott. SESTINI DANILO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO uditi gli Avvocati delle parti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Sviluppo Italia Campania s.p.a. in liquidazione convenne in giudizio la Randstad Italia s.p.a. -che aveva somministrato all’attrice lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, per sentirla condannare al risarcimento dei danni dalla stessa patiti in conseguenza della stipulazione di due contratti di lavoro a tempo determinato con tale R.R., contratti che il Tribunale di Napoli aveva successivamente dichiarato irregolari, accertando la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e dispondendo, a carico dell’attrice, gli oneri economici conseguenti a far data dall’instaurazione del rapporto.

Dedusse la Sviluppo Italia che la convenuta doveva rispondere, a titolo contrattuale, per violazione dei doveri di buona fede e correttezza che imponevano alla somministratrice di informare l’utilizzatrice che le causali del contratto andavano specificate con maggior grado di dettaglio; aggiunse che la Randstad doveva rispondere anche in via extracontrattuale per avere determinato, con la propria inerzia, un danno all’attrice; sostenne che, sebbene le ragioni giustificanti la somministrazione fossero state indicate dalla Sviluppo Italia, la Randstad si era limitata a recepirle nel contratto di cui era parte, senza avvisare la richiedente che tali ragioni erano insufficienti, come invece avrebbe dovuto in considerazione della propria specifica professionalità.

Il Tribunale di Milano rigettò la domanda.

La Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado, affermando che la pretesa dell’attrice doveva inquadrarsi nell’ambito della responsabilità contrattuale, in quanto i due contratti di somministrazione di cui il Tribunale di Napoli aveva dichiarato l’irregolarità costituivano esecuzione del contratto quadro stipulato in precedenza tra le parti in causa; che “il D.Lgs. n. 276 del 2003, pone inequivocabilmente in capo al solo utilizzatore l’obbligo di indicare le ragioni che giustificano la somministrazione a tempo determinato il D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 20, avendo il somministratore il solo obbligo di riportare nel contratto le ragioni che gli vengono indicate dall’utilizzatore”; che “il legislatore non ha previsto, quindi, il dovere della società di somministrazione di verificare la correttezza delle causali ad essa comunicate dall’utilizzatore e non potrebbe essere diversamente, trattandosi di motivazioni che presuppongono la diretta conoscenza di dati interni alla società utilizzatrice e di sua esclusiva competenza”; che neppure “si ravvisano, nel caso di specie, obblighi informativi ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla legge o dal contratto in quanto gli obblighi informativi che eventualmente possono discendere dall’applicazione della clausola generale di buona fede riguardano soltanto le informazioni che la controparte non possa acquisire aliunde, tenendo una condotta mediamente diligente”; che “pertanto, avendo la società utilizzatrice il dovere di conoscere e rispettare le norme di legge che regolano la somministrazione di lavoro e il dovere della puntuale specificazione dei motivi per i quali ricorre alla somministrazione, le conseguenze della somministrazione irregolare non possono ricadere, neppure indirettamente, sulla società di somministrazione che non può dirsi tenuta a risarcire (…) gli eventuali danni conseguenti alla dichiarazione di irregolarità del contratto di somministrazione”.

Ha proposto ricorso per cassazione -basato su un unico motivo illustrato da memoria – la Invitalia Partecipazioni s.p.a., succeduta – a seguito di acquisizione dell’azienda- in tutte le posizioni attive e passive della Sviluppo Italia Campania s.p.a.; la Randstad Italia ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1175,1176 e 1375 c.c., nonchè del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, commi 3 e 4: premesso che l’art. 1175 c.c., stabilisce che il debitore ed il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza nello svolgimento del rapporto obbligatorio, in applicazione del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e che la buona fede “impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere, senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte”, la ricorrente assume che “risulta lesivo dei suddetti principi che il Giudice di primo grado e di appello non abbiano ravvisato alcuna responsabilità in capo alla Randstad per avere violato gli obblighi di comportamento derivanti dall’Accordo Quadro ed in generale dai principi su richiamati”; evidenzia che l’irregolarità dei contratti di somministrazione rilevata dal Tribunale di Napoli era stata di carattere formale e non sostanziale e sostiene che, con riferimento alla causale del contratto, mentre “l’utilizzatore è tenuto a indicare motivi di ricorso alla somministrazione che abbiano il carattere della corrispondenza al vero, il somministratore è tenuto a vigilare sulla regolarità degli stessi, con la diligenza professionale che si richiede a soggetti a tale specifico fine abilitati”; aggiunge che il fatto che la legge faccia discendere conseguenze negative sull’utilizzatore, mediante la costituzione forzosa del rapporto di lavoro, non implica affatto l’esclusione di una responsabilità del somministratore, tant’è vero che D.Lgs n. 276 del 2003, art. 18, prevede sanzioni amministrative a carico di somministratore e utilizzatore in caso di violazioni degli obblighi di cui all’art. 20, commi, 1, 3, 4 e 5, e che, in ipotesi di somministrazione fraudolenta (effettuata “con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto”), è prevista un’ammenda per somministratore ed utilizzatore; sottolinea che, “se una società svolge una specifica attività (quella di somministrazione di lavoro appunto) avrà conoscenze più specifiche della materia rispetto a chi invece si rivolge alla stessa, per esigenze contingenti, richiedendo i lavoratori somministrati”; conclude che la Randstad era “tenuta non solo ad eseguire ciò che era contrattualmente previsto ed, in via integrativa, i comportamenti imposti dalla legge, dagli usi e dall’equità ma anche ad assumere quelle condotte solidali (…) che risultavano rispettose degli interessi di Invitalia Partecipazioni, come ad esempio quella di informarla che le causali indicate nel contratto non fossero sufficienti” e a collaborare “alla corretta esplicitazione delle predette ragioni per stipulare dei contratti rispondenti al dettato normativo”.

2. E’ pacifico che gli obblighi di correttezza e buona fede, che permeano la vita del contratto (ai sensi degli artt. 1175,1337 e 1375 c.c.), impongono a ciascuna parte di “agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicchè dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sè, un danno risarcibile” (Cass., S.U. n. 28056/2008; conformi Cass. n. 23273/2006, Cass. n. 21250/2008, Cass. n. 1618/2009 e Cass. n. 22819/2010).

Tali obblighi, valutati alla luce della diligenza generica o qualificata richiesta al debitore (ai sensi -rispettivamente- del 1 e dell’art. 1176 c.c., comma 2), comportano anche la necessità che ciascun contraente svolga un’attività di informazione e di “protezione” nei confronti della controparte che valga a non esporla a rischi o conseguenze pregiudizievoli di cui la stessa non possa avere contezza e che rientrano, viceversa, nella conoscenza o -comunque- nella sfera di conoscibilità dell’altra parte; in tal modo realizzandosi la finalità dichiarata dalla Relazione ministeriale al codice civile – di richiamare “nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore”.

In tale prospettiva, questa Corte ha avuto modo di affermare che, “in materia di contratto di assicurazione, l’assicuratore (come il proprio intermediario o promotore) ha il dovere primario – ai sensi degli artt. 1175,1337 e 1375 c.c., – di fornire al contraente una informazione esaustiva, chiara e completa sul contenuto del contratto, oltre quello di proporgli polizze assicurative realmente utili alle sue esigenze, integrando la violazione di tali doveri una condotta negligente ex art. 1176 c.c., comma 2” (Cass. n. 8412/2015); che “nel contratto di sponsorizzazione, in quanto rapporto caratterizzato da un rilevante carattere fiduciario, assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede, di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., contribuendo essi ad individuare obblighi, ulteriori o integrativi di quelli tipici del rapporto stesso, il cui inadempimento è patrimonialmente valutabile, ai sensi dell’art. 1174 c.c., e tale da giustificare una richiesta di risarcimento danni” (Cass. n. 8153/2014); che i reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta l’art. 2 Cost., artt. 1175 e 1375 c.c., prescrivono “un autonomo obbligo di condotta che si aggiunge e concorre con l’adempimento dell’obbligazione principale, in quanto diretto alla protezione di interessi ulteriori della parte contraente, estranei all’oggetto della prestazione contrattuale, ma comunque coinvolti dalla realizzazione del risultato negoziale programmato” (Cass. n. 24071/2017).

3. La giurisprudenza di questa Corte ha tuttavia escluso che ricorra violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, con relativi riflessi risarcitori, nell’ipotesi in cui non sussista un deficit informativo di una delle parti, ossia laddove anche il contraente che abbia subito pregiudizio dall’adempimento del contratto conoscesse o si trovasse nella condizione di poter conoscere la circostanza che da cui è derivato il danno.

La questione è stata specificamente affrontata in materia di responsabilità professionale, laddove si è affermato che “non sussiste la responsabilità professionale del notaio che abbia omesso di indicare la presenza di iscrizioni ipotecarie su immobili trasferiti mediante atto da lui rogato quando sia provato che il contraente interessato a tale informazione conosceva l’esistenza di quelle formalità” (Cass. n. 17010/2018) e che “non sussiste la responsabilità professionale del notaio che abbia omesso di indicare la presenza di vincoli limitativi della proprietà su immobili trasferiti mediante atto da lui rogato quando sia provato che il contraente interessato a tale informazione conosceva certamente dell’esistenza di quei vincoli (nella specie per averli costituiti), non ravvisandosi in tale ipotesi nè la violazione del dovere di diligenza qualificata previsto dall’art. 1176 c.c., da doversi comunque interpretare alla stregua del canone generale di buona fede, nè il nesso di causalità tra l’omessa informazione e la stipulazione dell’atto traslativo” (Cass. n. 25111/2017).

4. Applicati tali principi al caso in esame, deve ritenersi che non appaia configurabile la dedotta violazione degli obblighi di correttezza, buona fede e diligenza, alla luce del contenuto del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 20 e segg. (abrogati dal D.Lgs. n. 81 del 2015, ma applicabili ratione temporis), in quanto:

l’art. 20, comma 3 individua i casi in cui può essere concluso il contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, mentre il comma 4 stabilisce che “la somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”;

il successivo art. 21 disciplina la “forma del contratto di somministrazione” stabilendo che lo stesso debba essere stipulato in forma scritta e debba contenere, fra l’altro, “i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 20”;

l’art. 27 (“somministrazione irregolare”) stabilisce, al comma 1, che “quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui all’art. 20 e art. 21, comma 1, lett. a), b), c), d) ed e), il lavoratore può chiedere” giudizialmente “la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze” del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, con decorrenza dall’inizio della somministrazione; il comma 3 dispone che, “ai fini della valutazione delle ragioni di cui l’art. 20, commi 3 e 4, che consentono la somministrazione di lavoro, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento dell’esistenza delle ragioni che la giustificano e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all’utilizzatore”;

da siffatto contesto normativo emerge che le condizioni che consentono l’accesso alla somministrazione di lavoro e il contenuto del relativo contratto (a tempo indeterminato o determinato) sono puntualmente stabiliti dalla legge e risultano pertanto egualmente conoscibili sia al somministratore che all’utilizzatore; rispetto a quest’ultimo non appare pertanto ipotizzabile un deficit informativo che richieda di essere colmato dal somministratore alla luce dei principi di correttezza, buona fede e diligenza;

premesso che all’utilizzatore compete, quale parte direttamente interessata all’acquisizione della prestazione lavorativa, l’indicazione delle ragioni (la “causale”) che giustificano il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato (ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4), va escluso che il somministratore sia onerato della verifica della “sufficienza” di tale indicazione, giacchè l’utilizzatore si trova già nella condizione di conoscere direttamente e compiutamente -sulla base delle specifiche previsioni normative – sia gli elementi che debbono essere contenuti nel contratto di somministrazione che le conseguenze della “somministrazione irregolare” e, quindi, di valutare la ricorrenza delle condizioni legali e l’adeguatezza dell’indicazione effettuata;

nel caso in cui il contratto di somministrazione contenga tutti gli elementi prescritti, non è predicabile un obbligo del somministratore di verificare l’adeguatezza della “causale” indicata (col corollario di doverne rispondere in via risarcitoria), giacchè ciò determinerebbe un’ingiustificata traslazione dall’utilizzatore al somministratore dell’onere economico di un eventuale accertamento giudiziale di irregolarità della somministrazione e, quindi, del relativo “rischio”;

nè un siffatto obbligo potrebbe farsi discendere tout court dall’assunto di una maggiore “competenza” che deriverebbe al somministratore dall’essere operatore specializzato nella materia, giacchè l’esperienza operativa non consente, di per sè, di individuare con certezza l’adeguatezza della “causale”, che va rapportata ai singoli casi concreti; a diversa conclusione può pervenirsi soltanto nell’ipotesi in cui il somministratore abbia avuto esperienza di situazioni identiche sottoposte a vaglio giudiziale negativo, nel qual caso evidenti ragioni di correttezza impongono di informarne l’utilizzatore al fine di non esporlo ad un accertamento di irregolarità della somministrazione; lo stesso deve ritenersi per l’ipotesi – estrema – che il contratto non contenga alcuna indicazione che sia riconducibile ad una “causale”: in tal caso, infatti, ricorre l’esigenza che il somministratore, quale operatore qualificato, collabori con l’altro contraente -nell’ottica dei doveri di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., sottesi ai doveri di correttezza e buona fede contrattuali- per conseguire il risultato utile richiesto dall’utilizzatore;

deve affermarsi, in definitiva, che, in ambito di stipulazione di contratti di somministrazione di lavoro (ai sensi del D.Lgs n. 276 del 2003, artt. 20 e ss., applicabili ratione temporis), non sussiste un obbligo del somministratore di verificare la “sufficienza” della causale indicata dall’utilizzatore, cosicchè non è predicabile una responsabilità risarcitoria del somministratore in caso di successivo accertamento giudiziale di irregolarità della somministrazione e di costituzione, a carico dell’utilizzatore, di un rapporto di lavoro ai sensi del medesimo D.Lgs. art. 27, comma 1; la responsabilità risarcitoria è, viceversa, configurabile nel caso in cui il contratto di somministrazione sia carente di qualunque indicazione attinente alla causale della somministrazione (o questa sia manifestamente apparente) e nell’ipotesi in cui risulti che, al momento della stipulazione, il somministratore avesse conoscenza di accertamenti giudiziali di irregolarità di contratti di somministrazione aventi identiche causali;

5. Va esclusa rilevanza, in senso contrario, alla circostanza che il D.Lgs. n. 276 del 2003, artt., 18 e 28, prevedano sanzioni sia per l’utilizzatore che per il somministratore in caso di violazione degli obblighi e dei divieti di cui agli artt. 20 e 21 o di somministrazione fraudolenta: infatti, la scelta del Legislatore di sanzionare entrambi i contraenti attiene ad un ambito “pubblicistico” che nulla ha a che vedere con rapporto interno fra somministratore e utilizzatore, che rimane assoggettato esclusivamente alla disciplina contrattuale.

6. Il ricorso va pertanto rigettato.

7. Attesa la novità della questione, sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio.

8. Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

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