Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26523 del 19/10/2018

Cassazione civile sez. II, 19/10/2018, (ud. 19/04/2018, dep. 19/10/2018), n.26523

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24613/2015 proposto da:

M.A., ex art.86 cpu, G.D.,

D.G.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TIMAVO 12, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRA MOCCUI, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

ASPERIENCE SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 8,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI IERANCESCO BIASIOTTI

MOGLIAZZA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

SISTEMA NETWORK DI GI.FL. & C SAS;

– intimato –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

22/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2018 dal Consigliere ANTONINO SCALISI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio, che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto

del ricorso;

udito l’Avvocato M.A., difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

il Presidente del Tribunale di Roma ha determinato in Euro 80.000,00, oltre IVA, CPA e spese di segreteria, il compenso complessivamente spettante all’avv. M.A., all’avv. G.D. e al dott. D.G.G. quali componenti del collegio arbitrale chiamato a dirimere la controversia insorta tra la Data Management s.p.a. e la Sistema Network s.a.s. di Gi.Fi. & C., definita con l’emissione del lodo in data 13 luglio 2011;

Sul reclamo proposto dagli avvocati M.A. e G.D. e dal dott. D.G.G., la Corte d’Appello di Roma, con ordinanza con n. Rep. Cronologico 5384 del 2015, respingeva l’impugnazione. Secondo la Corte distrettuale, la somma liquidata dal Presidente del Tribunale pari ad Euro 80.000,00 oltre accessori, appariva rispondente ai criteri di equità e conforme alla dignità delle professioni svolte dagli arbitri, inoltre non applicandosi le tariffe forensi, non potevano esser riconosciute le cd. spese generali.

La cassazione di questa ordinanza è stata chiesta dagli avvocati M.A. e G.D. e dal dott. D.G.G. sulla base di sei motivi illustrati con memoria. La società Asperience S.r.l. ha resistito con controricorso.

All’udienza del 13 gennaio 2017 questa Corte con ordinanza n. 7724/17 ha rinviato la causa alla Pubblica Udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- In via preliminare il Collegio dichiara ammissibile il ricorso giusta Cass. Sez. Unite n. 25045 del 2016 secondo cui: alla luce della compiuta giurisdizionalizzazione dell’arbitrato operata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, deve ritenersi ammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso l’ordinanza resa dalla Corte di Appello, in sede di reclamo, contro il provvedimento del Presidente del Tribunale di determinazione del compenso degli arbitri ex art. 814 c.p.c., come riformato dal D.Lgs. citato, atteso che quell’ordinanza ha natura giurisdizionale a tutti gli effetti, ed è caratterizzata dai requisiti di decisorietà e definitività, incidendo sul diritto soggettivo al compenso con efficacia di giudicato, senza che ne sia possibile la modifica o revoca attraverso l’esperimento di alcun altro rimedio giurisdizionale.

2.- Con il primo motivo di ricorso M.A., G.D., D.G.G. denunciano la nullità dell’ordinanza per violazione degli artt. 132,156e 161 c.p.c., in combinato disposto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte distrettuale abbia ritenuto la questione sottoposta all’esame del Collegio arbitrale fosse di facile risoluzione, non tenendo conto che la causa per la sua soluzione ha richiesto l’escussione di dieci testi su quaranta capitoli in prova e controprova e l’acquisizione documentale e che prospettava questioni di diritto civile obiettivamente difficoltose. L’ordinanza, pertanto, avrebbe rigettato, sempre secondo i ricorrenti, la domanda di liquidazione del compenso, senza alcuna motivazione in merito, risultando di fatto apparente e, comunque, intimamente contraddittoria, risolvendosi in una radicale assenza di motivazione sul punto decisivo.

1.1.0 Il motivo è infondato.

Come insegnano le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 22232 del 03/11/2016) la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.

Ora, nel caso in esame, appare del tutto evidente, anche con una semplice lettura, che la motivazione del provvedimento impugnato si pone ben al di sopra dello standard costituzionale. Come afferma la Corte distrettuale l’arbitrato di cui si dice “(….) pur dovendosi dare atto dell’entità rilevante delle domande risarcitorie (Euro 3.000.000 da parte di Sistema Network ed Euro 3.516.686 da pare di Data Management…) non presentava difficoltà risolutive, nè rendeva necessaria un’istruttoria di rilevante laboriosità (furono sentiti dieci testi, diluiti in plurime udienze ed acquisita documentazione) (…..) che trattandosi pacificamente di arbitrato irrituale non era a stretto rigore necessaria la stesura della motivazione (….)”.

1.2.- Questo Collegio ritiene, altresì, che la valutazione effettuata dalla Corte distrettuale, non presentando alcun vizio logico e/o giuridico, ed essendo razionalmente condivisibile, non sia soggetta ad un sindacato di legittimità. In verità, i ricorrenti non hanno tenuto conto che il sindacato di legittimità è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella ordinanza impugnata, mentre l’attività di valutare e apprezzare i fatti e le risultanze probatorie costituisce prerogativa del giudice del merito, insindacabile nel giudizio di legittimità, salvo che il ragionamento del Giudice non si presenti illogico e/o oggettivamente inaccettabile.

2.- Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per motivazione apparente in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale avrebbe errato nel dichiarare inapplicabili le tabelle di cui al D.M. n. 127 del 2004, trattandosi di collegio arbitrale misto e nel ritenere, al contrario, applicabile il criterio equitativo. E, comunque, sempre secondo i ricorrenti, anche nel liquidare il compenso secondo il criterio equitativo, la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto della complessa attività che il collegio arbitrale avrebbe svolto: esame di atti di parte, di istanze, documenti, intere giornate di riunioni in camera di consiglio e udienze arbitrali, emissione di dieci ordinanze interlocutorie, esame di questioni giurisprudenziali e legislative del tutto nuove come quella relativa alla valutazione del procedimento arbitrale dell’allora recente normativa sulla media-conciliazione.

2.1.- Il motivo è infondato.

Il Collegio ritiene di condividere e di ribadire in questa sede quanto è stato detto da questa Corte in altra occasione (Cass. n. 53 del 2003) e cioè che: in tema di arbitrato, a partire dall’1 aprile 1995, l’onorario spettante agli arbitri, che siano anche avvocati, deve essere liquidato in base alla tariffa professionale, senza possibilità per il presidente del Tribunale, che procede alla sua liquidazione, di fare ricorso a criteri equitativi, atteso che il D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 – con il quale è stata approvata la delibera del Consiglio nazionale forense in data 12 giugno 1993, che stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati, a partire dall’1 aprile 1995, per le prestazioni giudiziali, in materia civile e penale, e stragiudiziali – prevede al punto 9) della tabella relativa alla attività stragiudiziale gli onorari spettanti al collegio composto da avvocati, indicandone il minimo e il massimo secondo il valore della controversia. Tuttavia, tale disposizione, contenuta nella disciplina dei compensi per l’attività forense anche stragiudiziale e pertinente, quindi, ai soli soggetti iscritti al relativo albo e solo nei loro confronti vincolante, non può trovare applicazione con riguardo ai collegi arbitrali a composizione mista, nei quali gli avvocati non rappresentino la totalità del collegio, rimanendo, in siffatta ipotesi, applicabile il disposto dell’art. 814 c.p.c., comma 2, in base al quale il Presidente del Tribunale, non vincolato ad alcun parametro normativo nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali “in subiecta materia”, è libero di scegliere, secondo il suo prudente apprezzamento, i criteri equitativi di valutazione che ritenga più adeguati all’oggetto ed al valore della controversia, nonchè alla natura ed all’importanza dei compiti attribuiti agli arbitri, anche attraverso il ricorso, ma solo come utile parametro di riferimento, alle tariffe di alcune categorie professionali.

Pertanto, correttamente la Corte distrettuale ha ritenuto di applicare, nel caso in esame, il criterio equitativo.

2.2.- A sua volta, corrette è, anche, il quantum della liquidazione effettuata dalla Corte distrettuale tenuto conto, come affermano le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 25045 del 2016) che nell’ipotesi in cui la determinazione del compenso agli arbitri, in ragione della composizione mista del collegio arbitrale, avvenga in via equitativa utilizzandosi i parametri di cui al D.M. n. 127 del 2004 (applicabile “ratione temporis”), anche il valore della controversia deve essere determinato alla stregua dei criteri generali previsti dall’art. 6 del D.M. citato, e cioè sulla base non di quanto richiesto dalla parte vincitrice ma di quanto liquidatole con la decisione, non essendo in tal caso applicabile l’art. 12 c.p.c., atteso che le tabelle di liquidazione sono strettamente collegate ai criteri generali di liquidazione dalle stesse previste, onde non è possibile applicare in via equitativa le une, prescindendo dagli altri.

3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano omesso esame di un fatto decisivo per la decisione oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale, nel determinare il quantum del compenso di cui si dice, non avrebbe esaminato il lodo arbitrale e la dichiarazione di dissenso, che dimostravano l’oggettiva difficoltà della questione giuridica all’esame del Collegio arbitrale, tanto da aver creato un contrasto interno di natura esclusivamente tecnico giuridica, contrasto che non vi sarebbe stato se la questione fosse stata di facile soluzione. Trattasi di elementi di fatto, sempre secondo i ricorrenti, che la Corte distrettuale avrebbe dovuto tener presente o, comunque, indicare nel procedimento motivazionale che ha portato al rigetto della domanda degli arbitri e che se presi in considerazione certamente non avrebbero mai potuto portare a dichiarare congrua la somma liquidata in Euro 80.000,00.

3.1.- Anche questo motivo è infondato ed essenzialmente perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati considerati e valutati dalla Corte distrettuale non proponibile nel giudizio di cassazione se, come nel caso in esame, la valutazione effettuata dalla Corte distrettuale non presenta vizi logici e/o giuridici ed in sè considerata è razionalmente condivisibile.

In verità, a fronte delle valutazioni della Corte distrettuale i ricorrenti contrappongono le proprie, ma, della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito, non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, nè possono i ricorrenti pretendere il riesame del merito, sol perchè la valutazione delle accertate circostanze di fatto, come operata dal giudice di secondo grado, non coincide con le proprie aspettative e convinzioni.

4.- Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1709 c.c., in combinato disposto con l’art. 2225 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che l’arbitrato irrituale non prevede l’obbligo per gli arbitri di redigere un lodo con la motivazione, non avrebbe tenuto conto che la prestazione era stata chiesta e resa effettivamente senza alcuna contestazione delle parti. Senza dire, sempre secondo i ricorrenti, che si non capirebbe perchè ai termini degli artt. 1709 e 2225 c.c., debba essere diversamente valutata dandole un valore in assoluto meno oneroso, utilizzando la circostanza come un parametro di giudizio.

4.1.- Anche questo motivo non coglie nel segno.

Va qui ribadito il costante indirizzo di questa Corte, formatosi a seguito della pronuncia resa a Sezioni Unite n. 527 del 2000, secondo il quale il discrimine concettuale tra arbitrato rituale ed irrituale va ridefinito nel senso che, avendo entrambi natura privata, la differenza tra l’uno e l’altro tipo di arbitrato non può imperniarsi sul rilievo che con il primo le parti abbiano demandato agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, ma va ravvisata nel fatto che, nell’arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nell’arbitrato irrituale le parti intendono affidare all’arbitro o agli arbitri la soluzione di controversie, insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici, soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà (in tal senso, tra le ultime, vedi le pronunce n. 21585 del 2009, n. 14972/2007, n. 24059 del 2006, n. 14223 del 2006).

Pertanto, non merita alcuna censura la sentenza impugnata, laddove, nel determinare il quantum della liquidazione dei compensi agli arbitri abbia considerato, in una valutazione complessiva, la specifica, circostanza che, nel caso, si trattava di un arbitrato irrituale e, dunque, di un arbitrato che, per la sua soluzione, richiedeva un minor impegno nella stesura del lodo.

5.- Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1349 c.c., in combinato disposto con l’art. 808 ter c.p.c., Secondo i ricorrenti la Corte distrettuale avrebbe “fato nel ritenere che nel caso di arbitrato irrituale il lodo non avrebbe necessità di motivazione perchè anche il lodo arbitrale irrituale deve prevedere in quanto tale, la motivazione e lo era in ogni caso per il lodo in questione laddove bastava che si leggesse la clausola compromissoria per giungere a diverse conclusioni.

5.1- Il motivo in parte rimane assorbito dal motivo precedente ed, in parte, è infondato, laddove censura la sentenza in merito all’effettiva rilevanza della clausola compromissoria per le ragioni di cui si dirà esaminando il motivo sesto, posto che tale censura viene ripresa e meglio precisata autonomamente.

6.- Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione della clausola compromissoria nonchè la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che nel caso in esame/trattandosi di arbitrato irrituale, non era necessaria la stesura della motivazione perchè non avrebbe considerato l’effettivo significato della clausola compromissoria, posto che la clausola compromissoria riporta specificatamente il riferimento al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 35 e 36, da applicare comunque. E il riferimento al D.Lgs. n. 5 del 2003, artt. 35 e 36, non può che essere letto nel senso di regolamentare le modalità di decisione della controversia e relativa impugnabilità del lodo, quindi, a maggior ragione, nel senso che la motivazione era obbligatoria.

6.1.- Anche questo motivo è infondato. Intanto, il tenore del provvedimento reclamato lascia ben intendere che il Giudicante ha esaminato il lodo e, di conseguenza, la clausola compromissoria. Così come mostra, con tutta evidenza, che il Giudicante ha interpretato la clausola compromissoria richiamata nel corpo del ricorso. Ora, premesso che l’interpretazione del contratto è attività tipica lasciata alla competenza esclusiva del Giudice del merito, il quale è tenuto semplicemente a rispettare i canoni interpretativi, il risultato cui è pervenuta la Corte distrettuale e posto a base della sua decisione non è soggette ad un sindacato di legittimità. E ciò, a maggior ragione, nel caso in esame in cui, come gli stessi ricorrenti indicano, la clausola compromissoria contiene esplicitamente e letteralmente il riferimento al lodo arbitrale: “(….) Il Collegio Arbitrale sede in Roma deciderà a maggioranza entro 90 giorni dalla costituzione, in modo irrevocabile, vincolante per le parti, come Arbitro irrituale con dispensa da ogni formalità di procedura ed, anche dall’obbligo del deposito del lodo. Il Collegio Arbitrale stabilirà anche a chi darà carico e le eventuali modalità di ripartizione del costo dell’arbitrato (…)”.

D’altra parte, va confermato, anche, in questa sede che – per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 14 novembre 2003, n. 17248).

In definitiva, il ricorso va rigettato, i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannati in solido, a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre maggiorazione per spese generali pari al 15 % dei compensi ed oltre accessori nella misura di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 19 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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