Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26522 del 27/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 26522 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 3832-2008 proposto da:
PIZZERIA LA CUCCAGNA DI GENESTRETI IDA & C. S.N.C.
P.I. 01731430409, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ZARA 13, presso lo studio dell’avvocato GUARNACCI
GIULIO, che la rappresenta e difende unitamente
2013

all’avvocato CAMPISI ROBERTO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2804

contro

I.N.P.S.

SOCIALE,

C.F.

ISTITUTO NAZIONALE
80078750587,

in

DELLA
persona

PREVIDENZA
del

suo

Data pubblicazione: 27/11/2013

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA
17,

presso

l’Avvocatura

Centrale

dell’Istituto,

ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, MARITATO LELIO, giusta
delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 450/2007 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 22/10/2007 r.g.n. 137/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/10/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l’Avvocato GUARNACCI GIULIO;
udito l’Avvocato MARITATO LELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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rappresentati e difesi dagli avvocati CORETTI

FATTO
La Corte di appello di Bologna, con sentenza del 20 settembre 2007,
riformando la decisione del Tribunale di Forlì, rigettava l’opposizione
proposta dalla Pizzeria La Cuccagna di Genestreti Ida e C. s.n.c. avverso la
cartella esattoriale n. 045 2003 00255572 82 emessa dal Concessionario
Tributi Rimini e Forlì – Cesena per un importo di euro 19.336.09 relativo a
contributi non versati e somme aggiuntive afferenti al periodo maggio 2001 —
maggio 2002 richiesti dall’INPS sull’assunto che i rapporti di lavoro intercorsi

tra l’opponente e due suoi ex dipendenti — qualificati di associazione in
partecipazione nei contratti sottoscritti dalle parti — dovessero essere
considerati di lavoro subordinato.
Ad avviso della Corte le risultanze della espletata istruttoria avevano
dimostrato la fondatezza della pretesa dellistituto in quanto: la
compartecipazione prevista dai contratti stipulati dalla società appellata era
calcolata solo sui ricavi lordi, al netto degli sconti praticati, e non sugli utili;
non vi era stata alcuna forma di partecipazione dei due lavoratori alla
gestione dell’impresa non potendo questa ridursi solo al controllo dei ricavi
senza alcuna informazione circa le spese e, più in generale, sulla gestione
dell’impresa; l’attività dagli stessi svolta si inseriva nell’ambito della
organizzazione aziendale ed essi ripetevano dal titolare dell’impresa i poteri
di controllo e direzione del lavoro esercitati sugli altri addetti alla sala
ristorante-pizzeria.
Per la cassazione di tale pronuncia propone ricorso la societàÌaffidato a tre
motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..
Resistono con unico controricorso l’INPS e la S.C.C.I. s.p.a.
DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione
degli artt. 2549, 2554 e 2094 c.c. per avere la Corte di appello qualificato il
contratto di associazione in partecipazione come contratto di lavoro
subordinato sull’errato rilievo che la partecipazione solo ai ricavi e non anche
alle perdite era indice di assenza di rischio economico.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha correttamente applicato un principio più volte
affermato da questa Suprema Corte e ribadito di recente – che il Collegio
ritiene preferibile al diverso orientamento sostenuto in altre decisioni di
legittimità e richiamato nel motivo – secondo cui in tema di contratto di
associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte
1

dell’associato, l’elemento differenziale rispetto al contratto di lavoro
subordinato con retribuzione collegata agli utili d’impresa risiede nel contesto
regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione da parte
dell’associato, dovendosi verificare l’autenticità del rapporto di associazione,
che ha come elemento essenziale, connotante la causa, la partecipazione
dell’associato al rischio di impresa e alla distribuzione non solo degli utili, ma
anche delle perdite. Pertanto, laddove è resa una prestazione lavorativa
inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale, senza

partecipazione al rischio d’impresa e senza ingerenza ovvero controllo
dell’associato nella gestione dell’impresa stessa, si ricade nel rapporto di
lavoro subordinato in ragione di un generale “favor” accordato dall’art. 35
Cost., che tutela il lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni”. (Cass. n.
1817 del 28/01/2013; Cass. 22 novembre 2006, n. 24781; Cass. 19 dicembre
2003 n. 19475).
Correttamente, quindi, nella impugnata sentenza viene anche evidenziato
come gli associati oltre a non partecipare alle perdite, non fossero
minimamente informati circa le spese dell’impresa e della gestione della
stessa.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione
dell’art. 1362 c.c. per non aver la Corte di appello tenuto in adeguato conto
del nomen iuris attribuito dalle parti in sede di conclusione del contratto.
Il motivo è infondato in quanto nella impugnata sentenza sono evidenziati gli
elementi in base ai quali la autoqualificazione del rapporto operata dai
contraenti era in contrasto con le concrete modalità di svolgimento dello
stesso così come emerse dalla espletata istruttoria ( la pattuizione della
partecipazione solo ai ricavi, l’esclusione di qualsiasi effettivo coinvolgimento
nella gestione aziendale con un controllo limitato solo ai ricavi, l’inserimento
nella organizzazione aziendale).
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2967
c.c. non essendo stata fatta corretta applicazione della regola dell’onere
secondo era l’INPS a dover dimostrare la sussistenza di un rapporto di
lavoro subordinato.
Con il quarto mezzo viene dedotta omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio in quanto, con
motivazione apparente, il giudice del gravame avrebbe considerato di tipo
subordinato il rapporto di lavoro tra la ricorrente ed i due lavoratori senza
tenere in alcun conto di quanto da questi ultimi dichiarato.
2

Entrambi i motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, finiscono
con il censurare la valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte
di appello proponendo una diversa lettura delle stesse finalizzata a
sollecitare una inammissibile rivisitazione del merito della controversia
(Cass. n. 6288 del 18/03/2011; Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010,
Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n.
18885/2008, Cass. n. 6064/2008).

motivazione immune dai lamentati vizi, degli elementi che avevano portato a
ritenere presenti i tratti maggiormente tipici del rapporto di lavoro subordinato
piuttosto che dell’associazione in partecipazione.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, vengono
poste a carico del ricorrente e sono liquidate nella misura di cui al
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3.000,00
per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

Come già sopra esposto, infatti, l’impugnata sentenza dà conto, con una

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