Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26520 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. III, 20/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 20/11/2020), n.26520

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – rel. Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29377-2018 proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA C. FRACASSINI 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

NERI, rappresentato e difeso dall’Avvocato MARCO PROIETTO;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT LEASING SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MARIANNA DIONIGI, 43, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO

CATAVELLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè contro

(OMISSIS) SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1223/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 20/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/09/2020 dal Consigliere Dott. SESTINI DANILO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

la Banca Antonveneta s.p.a. (poi Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.), creditrice della (OMISSIS) s.p.a. (già S.M. s.p.a.), convenne in giudizio la Locat s.p.a. (poi Unicredit Leasing s.p.a.) e la predetta (OMISSIS) per sentir dichiarare la nullità (in relazione agli artt. 2744,1344,1343 e 1418 c.c.) dell’operazione di “sale and lease back” realizzata tramite la vendita alla Locat di un immobile della S.M. e la contestuale locazione finanziaria dello stesso immobile in favore della venditrice; in subordine, chiese che venisse dichiarata l’inefficacia del lease back ai sensi dell’art. 2901 c.c.;

l’Unicredit Leasing si costituì in giudizio, resistendo alle domande avversarie; propose intervento volontario il fallimento della (OMISSIS), che chiese l’accoglimento delle medesime conclusioni rassegnate dall’attrice;

il Tribunale di Chieti accolse la domanda principale e dichiarò la nullità del contratto di compravendita, ritenendo che la sua causa concreta rivelasse lo schema illecito del patto commissorio accedente a finanziamento;

proposto appello dalla Unicredit Leasing, la Curatela del Fallimento (OMISSIS) chiese l’integrale conferma della sentenza di primo grado, senza reiterare la domanda subordinata di revocatoria ordinaria dell’atto di disposizione patrimoniale; si costituì anche la MPS Gestione Crediti s.p.a., chiedendo la conferma della sentenza impugnata e, in subordine, l’accoglimento della domanda formulata ai sensi dell’art. 2901 c.c.;

la Corte di Appello di L’Aquila ha accolto il gravame della Unicredit Leasing, respingendo la domanda di nullità dell’operazione di sale and lease back, e ha dichiarato l’inammissibilità della domanda di revoca proposta dalla banca;

più precisamente, la Corte ha osservato che:

“la giurisprudenza di legittimità (…) ha affermato la validità, in astratto dello schema contrattuale del lease back quale contratto d’impresa socialmente tipico, rilevando però la necessità di verificare, caso per caso, l’assenza di elementi sintomatici di un contratto di finanziamento assistito da una vendita con funzione di garanzia, caratterizzato cioè dallo scopo di aggirare, con intento fraudolento, il divieto di patto commissorio previsto e pertanto sanzionabile per l’illiceità della causa, con la nullità, ai sensi dell’art. 1344 c.c., in relazione all’art. 1418 c.c., comma 2”;

“gli elementi della frode alla legge sono stati costantemente e condivisibilmente individuati dalla Corte di Cassazione nella presenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria (concedente) e l’impresa venditrice utilizzatrice, preesistente o contestuale alla vendita; nelle difficoltà economiche dell’impresa venditrice, dalle quali si possa dedurre un approfittamento per la sua condizione di debolezza; nella sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo pagato dall’acquirente che confermi la validità del citato approfittamento (…). Soltanto sul concorso dei predetti elementi (…), si può fondare ragionevolmente la presunzione che il lease back (…) sia stato utilizzato nel caso concreto per eludere il divieto del patto commissorio”;

“nel caso in esame, si deve rilevare in primo luogo l’insussistenza o comunque la mancata dimostrazione di un rapporto di credito e debito tra le parti del contratto di vendita, preesistente o contestuale alla vendita, rilevandosi inoltre la mancanza della sproporzione tra il prezzo della vendita stessa e il valore del bene”; “non sussistono poi elementi per affermare che il corrispettivo sia stato così elevato (1.960.000,00 Euro rispetto alla valutazione di 1.095.300,00 Euro compiuta dal c.t.u.) per consentire l’estinzione del debito ipotecario e l’acquisizione, da parte della Società finanziaria, di un bene libero dalla relativa formalità pregiudizievole e quindi per desumere ugualmente la funzione di garanzia del trasferimento”;

“la mancanza degli elementi sopra indicati, dei quali è necessaria la coesistenza, induce ad escludere che in questo caso l’operazione negoziale sia caratterizzata dall’illiceità per la violazione del patto commissorio”;

“la domanda di revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c., proposta dalla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. è divenuta inammissibile per effetto del fallimento della Società (OMISSIS) s.p.a. e del suo intervento nel relativo giudizio. Poi, il Fallimento della società debitrice, quale unico soggetto legittimato all’azione revocatoria ordinaria, non l’ha riproposta nel giudizio di appello, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 346 c.p.c.”;

“pertanto la domanda di cui all’art. 2901 c.c., non può essere esaminata nel merito per l’inammissibilità derivante dalla sua proposizione da parte della Banca e dall’intervenuta rinuncia da parte del Fallimento”;

ha proposto ricorso per cassazione la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., affidandosi a sei motivi; ha resistito, con controricorso, UniCredit Leasing s.p.a., mentre il Fallimento (OMISSIS) s.p.a. non ha svolto attività difensiva; la controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

con i primi due motivi, la ricorrente denuncia la “violazione o falsa applicazione della L.Fall., artt. 43,51,52 e 66, in relazione all’art. 2901 c.c.”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (primo motivo), e “error in procedendo per violazione degli artt. 81,99,100 e 112 c.p.c.”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (secondo motivo);

la Banca censura la sentenza impugnata “per aver erroneamente dichiarato l’inammissibilità (rectius improcedibilità) della domanda di revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c., proposta dalla banca (…) per effetto del fallimento della Società e dell’intervento in surroga del curatore nel giudizio di primo grado, il quale non ha tuttavia curato la riproposizione di siffatta domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c., nel successivo giudizio di appello”;

assume che “la legittimazione e l’interesse ad agire della Banca persiste con riguardo alla domanda di inefficacia ex art. 2901 c.c., anche all’esito del fallimento della Società debitrice e dell’intervento in surroga della curatela del fallimento” (al riguardo richiamando Cass. n. 11763/2006 e Cass. n. 5272/2008), atteso che “il singolo creditore ha un interesse giuridico che gli attribuisce la legittimazione a proseguire le azioni intraprese sostenendo l’accoglimento delle proprie domande, fatte proprie dallo stesso fallimento”;

aggiunge che, peraltro, “nel caso di specie la legittimazione attiva della Banca sussisterebbe proprio in conseguenza del fatto che, come ritenuto dal giudice a quo, la curatela fallimentare non avrebbe inteso coltivare l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. (omettendo di riproporla in appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c.)”;

richiamando Cass., S.U. n. 29421/2008 (secondo cui, in caso di azione revocatoria proposta dal singolo creditore, “il mancato subingresso, nella medesima azione, in grado di appello, del curatore del sopravvenuto fallimento del predetto debitore non comporta il venir meno della legittimazione del creditore individuale a proseguire nell’azione da lui legittimamente intrapresa “quoad tempus””), assume che “deve riconoscersi analoga legittimazione processuale al creditore, qualora il curatore abbandoni l’azione esercitata in via surrogatoria mediante subentro”;

aggiunge che, “per questa via, la sentenza impugnata viola anche il combinato disposto degli artt. 81,99,100 e 112 c.p.c., avendo erroneamente negato l’interesse ad agire della banca e la sua legittimazione attiva, omettendo quindi qualsiasi statuizione sulla domanda di revoca ex art. 2901 c.c., formulata in via subordinata”;

conclude che la legittimazione attiva della Banca sussiste “proprio in conseguenza del fatto che la curatela fallimentare non ha inteso coltivare l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. (omettendo di riproporla in giudizio ai sensi dell’art. 346 c.p.c.), avendo tale circostanza conclamato l’interesse della Banca affinchè fosse accolta (nei suoi soli confronti) la domanda subordinata di revoca ai sensi dell’art. 2901 c.c.”;

il terzo motivo deduce “violazione o falsa applicazione degli artt. 2744,1344 e 1343 c.c., anche in relazione all’art. 1418 c.c., comma 2”: premesso che la Corte di merito ha rilevato l’insussistenza, nel caso concreto, degli indici rivelatori della frode alla legge per elusione del divieto stabilito dall’art. 2744 c.c., la ricorrente censura la sentenza per avere “(erroneamente) predicato la necessaria coesistenza” degli elementi sintomatici della finalità elusiva (del divieto di patto commissorio) dell’operazione di sale and lease back; assume, infatti, che “la Corte ha (…) surrettiziamente escluso la sussistenza della situazione di difficoltà economica in cui versava il venditore utilizzatore, quale indice rivelatore della finalità elusiva del divieto del patto commissorio in concreto perseguito dagli stipulanti, erroneamente valorizzando l’insussistenza di una preesistente situazione debitoria tra le parti contraenti ed omettendo di considerare, quale indice rivelatore, la sussistenza di una situazione di difficoltà economica del venditore utilizzatore, comprovata da una serie di elementi fattuali”;

col quarto motivo, la ricorrente lamenta – ex art. 360 c.p.c., n. 5, – la “omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa”, “costituito dalla situazione di difficoltà economica della Società venditrice-utilizzatrice, quale indice rivelatore della finalità elusiva del divieto di patto commissorio in concreto perseguita dagli stipulanti”; fatto emergente dall’istruttoria compiuta e la cui valutazione “avrebbe certamente determinato un risultato diverso”;

il quinto motivo denuncia – ex art. 360 c.p.c., n. 4, – “error in procedendo. Violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione agli artt. 1417 e 2729 c.c.”: la ricorrente ribadisce che “la Corte distrettuale ha omesso qualsiasi valutazione circa la situazione di difficoltà economica della Società venditrice-utilizzatrice (…), quale indice rivelatore della finalità elusiva del divieto di patto commissorio in concreto perseguita dagli stipulanti, finanche propugnando (…) la necessaria compresenza di tutti gli indici sintomatici elaborati dalla giurisprudenza, la quale ha invece ammesso anche la contestualità della situazione credito-debitoria e l’alternatività di tali indici”;

il sesto motivo denuncia la “omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa” e censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rilevato “la mancanza di sproporzione tra il prezzo della vendita stessa e il valore del bene” (a fronte di una valutazione di 1.095.300,00 Euro e di un corrispettivo di vendita di 1.960.000,00 Euro) ed ha affermato che “non sussistono poi elementi per affermare che tale corrispettivo sia stato così elevato per consentire l’estinzione del debito ipotecario e l’acquisizione, da parte della Società finanziaria, di un bene libero dalla relativa formalità pregiudizievole e quindi di desumerne ugualmente la funzione di garanzia del trasferimento”; assume la ricorrente che “il valore effettivo del bene immobile è un dato che depone a sfavore del concedente, atteso che palesa che solo con il prezzo effettivamente convenuto (…) si potè estinguere l’ipoteca, a garanzia del credito fondiario, gravante sul bene” e aggiunge che “il valore della locazione finanziaria era parametrato al prezzo pattuito con opzione di acquisto finale pari al 18% del valore del contratto, il che concreta una operazione di finanziamento volta ad estinguere una pregressa esposizione debitoria e garantito illecitamente con un patto commissorio, non escluso dalla mera ed improbabile (stante la discrasia tra prezzo e valore) clausola di riversamento (a domanda) del valore eccedente del bene”.

Ritenuto che:

risulta logicamente preliminare l’esame degli ultimi quattro motivi, concernenti la questione della nullità dell’operazione sale and lease back, in quanto aventi portata potenzialmente assorbente dei primi due;

tutti i motivi – ancorchè variamente modulati in relazione ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, – investono il tema dell’accertamento e della valutazione della sussistenza di elementi sintomatici della elusione del divieto di patto commissorio e censurano la conclusione cui è pervenuta la Corte di merito, che ha escluso detta elusione, sostenendo che sussistono -al contrario- elementi rivelatori della finalità elusiva, da ravvisare segnatamente nella situazione di difficoltà economica in cui versava la società venditrice/utilizzatrice (che si assume “comprovata da una serie di elementi fattuali”) e nella discrasia fra il valore effettivo dell’immobile e il corrispettivo pattuito;

tutte le censure mirano pertanto a sollecitare una valutazione di merito opposta a quella compiuta dalla Corte territoriale, contrapponendo alla stessa un apprezzamento diverso di dati meramente fattuali, al fine di inferirne la sussistenza dell’accordo elusivo della previsione dell’art. 2744 c.c.;

un siffatto diverso apprezzamento risulta tuttavia inibito in sede di legittimità, alla luce del principio -consolidato- secondo cui “lo schema contrattuale del “sale and lease back” è, in linea di massima ed almeno in astratto, valido, in quanto contratto d’impresa socialmente tipico, ferma la necessità di verificare, caso per caso, l’assenza di elementi patologici, sintomatici di un contratto di finanziamento assistito da una vendita in funzione di garanzia, volto ad aggirare, con intento fraudolento, il divieto di patto commissorio e, pertanto, sanzionabile, per illiceità della causa, con la nullità, ex art. 1344 c.c., in relazione all’art. 1418 c.c., comma 2. L’accertamento del carattere fittizio di tale contratto, per la presenza di indizi sintomatici di un’anomalia nello schema causale socialmente tipico (quali l’esistenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice, le difficoltà economiche di quest’ultima, la sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente), costituisce un’indagine di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata” (Cass. n. 21042/2017; conformi Cass. n. 13305/2018; Cass. n. 8100/2020);

quanto ai primi due motivi -da esaminare congiuntamente in quanto entrambi attinenti alla legittimazione del creditore individuale a richiedere l’accoglimento della domanda di revocatoria in caso di mancata reiterazione della stessa da parte della curatela fallimentare-ritiene il Collegio che il ricorso meriti accoglimento;

deve considerarsi, infatti, che:

è noto che questa Corte (Cass., S.U. n. 29420/2008) ha affermato che “qualora sia stata proposta un’azione revocatoria ordinaria per fare dichiarare inopponibile ad un singolo creditore un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore e, in pendenza del relativo giudizio, a seguito del sopravvenuto fallimento del debitore, il curatore subentri nell’azione in forza della legittimazione accordatagli dalla L.Fall., art. 66, accettando la causa nello stato in cui si trova, la legittimazione e l’interesse ad agire dell’attore originario vengono meno, onde la domanda da lui individualmente proposta diviene improcedibile ed egli non ha altro titolo per partecipare ulteriormente al giudizio”;

per altro verso e specularmente, la coeva pronuncia n. 29421/2008 delle medesime Sezioni Unite Civile (non massimata) ha ritenuto doversi affermare “il principio per cui il sopravvenuto fallimento del debitore non determina l’improcedibilità dell’azione revocatoria ordinaria promossa da un singolo creditore al fine di far dichiarare a sè inopponibile un atto di disposizione compiuto dal debitore sul proprio patrimonio, quando il curatore del fallimento non manifesti la volontà di subentrare in detta azione, nè altrimenti risulti aver intrapreso, con riguardo a quel medesimo atto di disposizione, altra analoga azione a norma della L. Fall., art. 66”;

sulla stessa linea, Cass. n. 29112/2017 ha affermato che “il sopravvenuto fallimento del debitore non determina l’improcedibilità dell’azione revocatoria ordinaria promossa dal singolo creditore qualora il curatore non manifesti la volontà di subentrarvi, nè risulti aver intrapreso, con riguardo al medesimo atto di disposizione già impugnato ex art. 2901 c.c., altra analoga azione a norma della L.Fall., art. 66”;

è rimasta finora “inesplorata” la questione -che qui ricorre- della possibilità che l’interesse del creditore individuale alla revocatoria possa riacquistare attualità e tutela giuridica nel caso in cui il fallimento, già surrogatosi nella revocatoria, manifesti successivamente disinteresse a coltivare l’azione; al riguardo, la richiamata Cass. S.U. n. 29420/2008 si è limitata a dichiarare (a pag. 17) di non affrontare la questione “dell’eventuale possibilità di ripresa dell’azione individuale in caso di chiusura del fallimento senza che siano stati compiuti atti esecutivi sul cespite interessato dall’atto revocato”, salvo rilevare che “l’interesse ad agire, sino al momento della decisione, deve essere attuale e concreto”;

ritiene il Collegio che proprio la considerazione dell’interesse ad agire valga a individuare la soluzione più appagante della questione;

è infatti in termini di interesse ad agire che ha argomentato Cass., S.U. n. 29420/2008 per affermare la legittimazione esclusiva del fallimento che sia subentrato nella revocatoria ordinaria proposta dal creditore individuale: premesso che il curatore subentra nella medesima azione già precedentemente promossa dal singolo creditore e che, pertanto, “non si è in presenza di due azioni, ma sempre dell’unica azione originaria, nella quale il curatore è subentrato avvalendosi di una speciale legittimazione sostitutiva rispetto a quella del singolo creditore”, la Corte ha rilevato che “il maggiore ostacolo ad ammettere la possibile coesistenza delle due azioni non risiede tanto direttamente nel divieto per il singolo creditore di iniziare o proseguire azioni individuali esecutive sul patrimonio del debitore (L.Fall., art. 51), giacchè si potrebbe obiettare (…) che l’azione revocatoria non è, di per se stessa, un’azione esecutiva e che il bene formante oggetto dell’atto di disposizione che l’attore vorrebbe far revocare non fa più parte del patrimonio del debitore”, quanto piuttosto la finalità dell’azione revocatoria, “la quale, pur non essendo di per sè, come s’è detto, un’azione esecutiva, ha tuttavia come sua finalità tipica ed essenziale quella di consentire il soddisfacimento esecutivo del creditore sul cespite patrimoniale del quale il debitore si sia spogliato. Ed allora, posto che il sopravvenuto fallimento ed il subentro del curatore nell’azione fanno necessariamente sì che quel medesimo cespite, in caso di accoglimento della domanda da parte del giudice, sia ormai destinato (non già a soddisfare il creditore singolo, bensì) al soddisfacimento della intera massa dei creditori, onde esso dovrà essere appreso a fini esecutivi dal curatore ed il singolo creditore potrà fruire del ricavato dell’esecuzione soltanto secondo le regole del riparto concorsuale, appare evidente come l’ipotetica prosecuzione dell’azione individuale sia priva di un utile sbocco e come, di conseguenza, non possa più ravvisarsi alcun interesse attuale e concreto dell’originario attore ad ulteriormente coltivarla in parallelo all’azione del fallimento”. Tanto premesso, le SS.UU. hanno rilevato che “anche le autorevoli voci di dottrina che sostengono la possibilità di coesistenza dell’azione individuale con quella del curatore del fallimento sottolineando la distinzione tra la fase della cognizione e quella della successiva esecuzione, riconoscono che la domanda del singolo creditore non ha alcuna possibilità di condurre poi ad un’utile iniziativa esecutiva a beneficio del creditore medesimo fintantochè sussista la possibilità che sugli stessi beni agiscano esecutivamente gli organi del fallimento” e che ciò conferma come, sin dal momento del subentro nell’azione del curatore fallimentare, l’interesse ad agire del creditore individuale, se di fatto non cessa del tutto, diviene quanto meno soltanto ipotetico e residuale” giacchè “un’eventuale pronuncia negativa del giudice sulla domanda revocatoria fatta propria dal curatore non potrebbe non segnare anche la sorte della domanda del singolo creditore, e, viceversa, una pronuncia giudiziale positiva sarebbe ineseguibile da parte di quest’ultimo, dovendo egli cedere il passo all’attività esecutiva degli organi del fallimento”;

emerge chiaramente dai passaggi sopra trascritti, che le Sezioni Unite del 2008 hanno ritenuto che il difetto di interesse del creditore individuale a coltivare la revocatoria sussista in ragione del subentro degli organi fallimentari e fintantochè gli stessi manifestino interesse a coltivare la revocatoria, ossia fintantochè sussista la possibilità che sugli stessi beni già oggetto di revocatoria individuale agiscano esecutivamente gli organi del fallimento;

in linea con questo percorso argomentativo (imperniato, come detto, sull’attualità e sulla concretezza dell’interesse ad agire, in funzione della concreta possibilità di soddisfarsi sul bene oggetto di revocatoria), merita condivisione l’assunto della ricorrente secondo cui l’interesse ad agire del creditore individuale (che sia rimasto in causa e che abbia insistito nella domanda ex art. 2901 c.c.) deve poter riacquistare concretezza ed attualità nel caso in cui il fallimento manifesti disinteresse a coltivare la revocatoria (come nel caso di specie, in cui ha omesso di riproporre la domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c.);

l’opposta soluzione non risulterebbe coerente con la ratio che giustifica l’affermazione della legittimazione esclusiva del fallimento nel caso in cui esso si attivi per coltivare la revocatoria promossa dal creditore individuale e finirebbe col penalizzare quest’ultimo che, pur dovendo legittimamente subire il subentro del fallimento, si vedrebbe privato della possibilità di coltivare la revocatoria anche dopo che il fallimento abbia mostrato di disinteressarsene;

non erra pertanto la ricorrente quando richiede che alla situazione di mancato subentro del fallimento (che, pacificamente, consente al creditore individuale di coltivare la revocatoria) sia equiparato il caso in cui il fallimento -pur subentrato- rinunci alla domanda non riproponendola in appello;

i primi due motivi debbono pertanto essere accolti alla luce del seguente principio di diritto: “qualora il curatore del fallimento, che sia subentrato nell’azione revocatoria ordinaria già promossa dal creditore individuale nei confronti del debitore in bonis, ometta di coltivare la domanda, non riproponendola nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c., il creditore individuale che sia rimasto in causa e che abbia, invece, riproposto la richiesta di revocatoria in sede di appello riacquista un interesse concreto ed attuale all’esame della domanda”;

la Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte, dichiarati inammissibili i motivi dal terzo al sesto, accoglie i primi due, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

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