Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26519 del 27/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 26519 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA
sul ricorso 9149-2012 proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. C. F. 01585570581
(già Ferrovie dello Stato Società di Trasporti e
Servizi per Azioni), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio
2013
2676

dell’avvocato MORRICO ENZO, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

*

contro

PALMIERI QUINTO C.F. PLMQNT42C21G920F, elettivamente

Data pubblicazione: 27/11/2013

domiciliato in ROMA, VIA MAGLIANO SABINA 24, presso lo
studio dell’avvocato PETTINARI LUIGI, rappresentato e
difeso dall’avvocato LUCCHETTI ALBERTO, giusta delega
in atti;

avverso la sentenza n.

controrícorrente

813/2011 della CORTE D’APPELLO

di ANCONA, depositata il 07/10/2011 R.G.N. 119/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

25/09/2013

dal Consigliere Dott. LUCIA

TRIA;
udito l’Avvocato LUCCHETTI ALBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA 7 che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso per guanto di ragione.

Udienza del 25 settembre 2013 — Aula A
n. 7 del ruolo — RG n. 9149/12
Presidente: Roselli – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata, in riforma della sentenza del Tribunale di Ascoli
Piceno n. 171/11 del 18 febbraio 2011: 1) dichiara che Quinto Palmieri non è stato reintegrato nel
proprio posto di lavoro da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. (d’ora in poi: RFI) in esecuzione della
sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 656/04 del 22 novembre 2004 confermata dalla Corte
d’appello di Ancona con sentenza n. 419/06 del 12 ottobre 2006; 2) dichiara che, in base ai suddetti
titoli, il rapporto di lavoro tra le parti è proseguito fino al 21 marzo 2007; 3) condanna RFI al
pagamento oltre agli accessori di legge e alle spese di lite del doppio grado.
La Corte d’appello di Ancona, per quel che qui interessa, precisa che:
a) può considerarsi pacifico che, durante l’incontro con il funzionario di RFI Tomasino in data
6 dicembre 2004, il Palmieri oltre a ricevere l’offerta della consegna immediata della lettera del 29
novembre 2004 venne effettivamente invitato a procedere alla reintegrazione;
b) la questione da risolvere si incentra, però, sui comportamenti successivi, al riguardo: 1) va
escluso che possa configurarsi un rifiuto del lavoratore espresso o posto in essere con
comportamenti concludenti, tali non essendo né la richiesta di specificazioni né la manifestazione
della intenzione di volere attendere la comunicazione scritta e verificarne il contenuto con il proprio
legale; 2) d’altra parte, l’ulteriore invito verbale del funzionario incaricato non rileva per la
configurazione dell’inerzia del lavoratore perché ad esso non è stato dato alcun seguito, dopo le
richieste di specificazione del Palmieri;

412io

c) ne consegue che RFI deve considerarsi inadempiente non già all’invito, ma allg
rreintegrazione in sé, cio’ irceknde irrilevante il successivo comportamento del lavoratore, visto che la
mancata risposta della richiesta di specificazioni rappresenta la mancata attuazione del) i i • • , di
reintegrazione, tanto più che qualsiasi inerzia è esclusa dalla successiva lettera inviata dal legale di
Palmieri;
d) per la determinazione della somma da liquidare in favore del lavoratore per la mancata
reintegrazione si fa riferimento ai conteggi del Palmieri, data la genericità della contestazione di
RFI sul punto.
2.— Il ricorso di RFI domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con
controricorso, Quinto Palmieri.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I — Sintesi dei motivi di ricorso
1.— Il ricorso è articolato in tre motivi.

Si sostiene che nel ricorso introduttivo del giudizio il lavoratore si è limitato a rilevare
l’illegittimità del comportamento di RFI derivante dall’aver inviato la lettera del 29 novembre 2004
ad un indirizzo diverso dal proprio, senza proporre alcuna censura sulla effettività della reintegra
dopo l’incontro avuto il 6 dicembre 2004 con il Tomasino, Direttore Compartimentale Infrastruttura
di Ancona, presso il suo ufficio, né replicare sul punto, nel corso della prima udienza, alle
osservazioni della società.
Soltanto in appello il Palmieri avrebbe, per la prima volta, affermato che il contenuto della
suddetta lettera e il comportamento della società successivo all’indicato incontro dimostravano che
la reintegra non era mai avvenuta, modificando di conseguenza la propria domanda.
Pertanto, RFI ha eccepito la violazione degli artt. 325 e 436 cod. proc. civ., in particolare
sottolineando che la Corte territoriale: a) non si è pronunciata sulla propria eccezione al riguardo
(mancanza di motivazione); b) ha accolto il ricorso del Palmieri proprio sulla base delle nuove
domande ed eccezioni da questi proposte (violando, così i suindicati articoli del codice di rito),
fondando la decisione sull’assunto del lavoratore secondo cui l’incontro del 6 dicembre 2004 non
aveva comportato un’effettiva reintegra sicché doveva considerarsi irrilevante la circostanza che il
Palmieri, dopo l’avvenuto “invito alla reintegra”, non si sia più presentato sul luogo di lavoro,
lasciando trascorrere il termine di trenta giorni di cui all’art. 18 St. lav.
1.2.- Con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970; b) in relazione all’art. 360,
n. 5, cod. proc. civ., insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio.
Si rileva che, in base al richiamato art. 18 St. lav., il datore di lavoro ha soltanto l’obbligo di
inviafe il dipendente a riprendere il lavoro, mentre il lavoratore ha l’onere di riprendere servizio
entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito datoriale.
Nella specie la Corte d’appello ha riconosciuto che RFI ha adempiuto all’obbligo dell’invito,
ma poi ha affermato, contraddittoriamente, di considerare il comportamento del lavoratore
successivo all’incontro del 6 dicembre 2004 giustificato, pur essendo certo che il Palmieri ha
lasciato decorrere il suindicato termine di trenta giorni e si è ripresentato sul posto di lavoro solo
due anni dopo, inviando nel frattempo a RFI una generica lettera del proprio legale.

1.3.- Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa
motivazione circa l’eccezione dell’ aliunde perceptum.
2

1.1.- Con il primo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 325 e 436 cod. proc. civ., in ordine ai fatti successivi alla
missiva del 29 novembre 2004; b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., mancanza di
motivazione su un punto controverso della vicenda.

La suddetta eccezione è stata formulata da RFI fin dalla memoria di costituzione in primo
grado e riproposta in appello, con le relative istanze istruttorie.
La Corte territoriale, tuttavia, non ha esaminato l’eccezione — neppure per respingerla — e ciò
ha portato ad una erronea quantificazione della somma da riconoscere al Palmieri.
II — Esame delle censure
2.- Tutti e tre i motivi del ricorso non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.

In primo luogo, esso risulta mal formulato in quanto la ricorrente prospetta degli errores in
procedendo nei quali sarebbe incorsa la Corte d’appello — omessa pronuncia sulla propria eccezione
relativa alla asserita modifica in appello della domanda originaria da parte del lavoratore, nonché
accoglimento del ricorso del Palmieri proprio sulla base degli elementi “nuovi” posti a fondamento
di tale modifica — ma non invoca vizi contemplati negli artt. 112 e 360, n. 4, cod. proc. civ., bensì fa
impropriamente riferimento ad una violazione di legge e ad un vizio di motivazione (previsti,
rispettivamente, dall’art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. (vedi, per tutte: Cass. 22 maggio 2013, n.
12514; Cass. 18 maggio 2012, n. 7871; Cass.15 maggio 2013, n. 11801; Cass. 31 luglio 2012, n.
13683).
Peraltro, il motivo stesso non risulta neppure conforme al principio di specificità dei motivi
del ricorso per cassazione — da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle
forme processuali” — in base al quale il ricorrente che denunci il difetto di motivazione su un’istanza
di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie
o processuali, ha l’onere di indicare nel ricorso specificamente le circostanze oggetto della prova o
il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito
(trascrivendone il contenuto essenziale), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per
consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi così ritenere assolto il
duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. (a pena di
inammissibilità) e dall’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. (a pena di improcedibilità del
ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione
di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e
soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile
2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).
Il mancato rispetto, da parte della ricorrente, di tale principio si desume dal fatto che il ricorso
è privo di qualsiasi riferimento preciso sia al contenuto del ricorso introduttivo del giudizio sia ai
successivi atti processuali che, nella prospettazione di RFI, sarebbero stati male interpretati o
ignorati.
Tanto più che, per consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, di regola (cioè salvo
situazioni particolari, come quella esaminata da Cass. SU Cass. SU 22 maggio 2012, n. 8077)
l’interpretazione della domanda e l’individuazione della sua ampiezza e del suo contenuto integrano
un tipico accertamento di fatto riservato al Giudice del merito, sicché al riguardo alla Corte di
3

2.1.- Il primo motivo è inammissibile, per molteplici concorrenti ragioni.

cassazione è devoluto soltanto il compito di effettuare il controllo della correttezza della
motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. 2 novembre 2005, n. 21208;
Cass. 27 luglio 2010, n. 17547; Cass. 9 settembre 2008, n. 22893; Cass. 26 aprile 2001, n. 6066;
Cass. 9 giugno 2003, n. 9202; Cass. 20 agosto 2003, n. 12255; Cass. 22 gennaio 2004, n. 1079;
Cass. 14 marzo 2006, n. 5491; Cass. 26 giugno 2007, n. 14751; Cass. 30 giugno 1986, n. 6367).

Anche in questo caso, infatti, RFI — pur facendo formalmente riferimento ad una omissione di
motivazione e, quindi, invocando l’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. — in realtà prospetta un error in
procedendo consistente nell’omesso esame della propria eccezione dell’aliunde perceptum, vizio
che avrebbe dovuto essere denunciato attraverso il richiamo degli artt. 112 e art. 360, n. 4, cod.
proc. civ.
Inoltre, anche il suindicato motivo non è conforme al principio di specificità dei motivi del
ricorso per cassazione, non essendovi nel ricorso alcun riferimento agli atti da cui risulterebbe la
avvenuta proposizione dell’eccezione in argomento.
2.3.- Il secondo motivo non è fondato.
Come risulta da consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte:
1) il termine di trenta giorni dalla ricezione dell’invito del datore di lavoro — entro il quale il
lavoratore, a norma dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, deve riprendere servizio, dopo
avere ottenuto la reintegrazione nel posto di lavoro, se intende evitare la risoluzione del rapporto — è
stabilito nell’interesse del lavoratore in quanto, tenendo conto delle difficoltà che egli potrebbe
incontrare qualora gli fosse stata imposta l’immediata ripresa del servizio, gli concede uno spatium
deliberandi sul comportamento da seguire (vedi, per tutte: Cass. 11 maggio 1982, n. 2952);
2) ne consegue che la risoluzione del rapporto di lavoro, prevista dall’art. 18 della legge n.
300 del 1970 per l’ipotesi in cui il lavoratore illegittimamente licenziato non abbia ripreso servizio
entro trenta giorni dal ricevimento del corrispondente invito del datore di lavoro, presuppone
l’accertamento — riservato al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità, se sostenuto
da motivazione adeguata ed immune da vizi (ex plurimis:Cass. 11 luglio 1981, n. 4533)— della
sufficiente specificità dell’invito predetto non essendo sufficiente la manifestazione di una generica
disponibilità del datore di lavoro e dare esecuzione al provvedimento di reintegrazione (vedi, fra le
tante: Cass. 24 marzo 1987, n. 2857; Cass. 20 febbraio 1988, n. 1826; molte altre conformi, anche
Cass. 29 luglio 1998, n. 7448);
3) in particolare è necessario, sia pur senza forme solenni, un invito concreto e specifico a
rientrare in azienda (Cass. 20 ottobre 1987 n. 7733, 13 gennaio 1993 n. 314, 19 giugno 1993 n.
6837), nel luogo e nelle mansioni originarie (Cass. 29 maggio 1995 n. 5993) ovvero in altre, se
ricorrano comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive (Cass. 29 luglio 1998, n. 7448).
2.3.- Dai suddetti principi si desume che la specificità del contenuto dell’invito datoriale si
collega alla funzione del termine per la ripresa del servizio di cui all’art. 18 St. lav., rappresentata
4

2.2.- Per analoghe ragioni è inammissibile anche il terzo motivo.

dal consentire al lavoratore di decidere con agio il comportamento da tenere, avendo ben presenti
tutti gli elementi propri della posizione lavorativa offertagli, dato il suo diritto rientrare nel luogo e
nelle mansioni originarie e di potere, eventualmente, essere adibito a mansioni diverse solo in caso
di ricorrenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

È altrettanto certo che, prima della scadenza del termine, il legale del Palmieri ha inviato una
lettera a RFI, formalizzando la suddetta richiesta di chiarimenti, rimasta inevasa.
Ne consegue che, come correttamente ha ritenuto la Corte territoriale, RFI ha avuto un
comportamento non conforme all’art. 18 St. lav. in quanto non ha posto il Palmieri in condizione di
effettuare la propria scelta con cognizione di causa e, inoltre, ha del tutto ignorato la lettera del
legale del lavoratore, che invece era da considerare come un elemento del tutto idoneo ad escludere
qualsiasi comportamento inerte dell’interessato.
A tale ultimo riguardo deve essere ricordato che questa Corte, con sentenza 13 gennaio 1993,
n. 314, ha affermato che poiché l’art. 18 St. lav. non prevede alcuna particolare forma per la
formulazione dell’invito datoriale a riprendere servizio, ai fini del decorso del termine ivi stabilito è
da ritenere efficace anche un invito alla ripresa del lavoro rivolto all’interessato non personalmente
dal datore di lavoro, ma per il tramite di un avvocato di questi, ancorché privo di mandato speciale.
che la richiesta dei dovuti (perché
Da questo principio si desume — mutatis mutandis
finalizzati a consentire al lavoratore il consapevole esercizio dei propri diritti) chiarimenti in ordine
alla posizione lavorativa offerta in seguito ad un invito datoriale privo di specificità (quale è quello
in oggetto) è da considerare efficace — al fine di escludere l’inerzia del lavoratore — anche se è
effettuata dal legale del lavoratore stesso.

III — Conclusioni
3.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione —
liquidate nella misura indicata in dispositivo — seguono la soccombenza.

2.4.- Nella specie è pacifico che il lavoratore nell’incontro avuto il 6 dicembre 2004, in
seguito all’invito datoriale, con il Direttore Compartimentale Infrastruttura di Ancona ha richiesto
specificazioni sulla posizione lavorativa che avrebbe ricoperto e che, non avendo ottenuto risposte
al riguardo, ha manifestato la intenzione di volere attendere la comunicazione scritta e di volerne
verificare il contenuto con il proprio legale.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 (cento/00) per esborsi, euro 3000,00
(tremila/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Co deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 25 settembre 2013.c
Il Presidente

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27 NOV 2013

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