Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26518 del 27/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 26518 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 8419-2008 proposto da:
DE

VITA

ANTONIETTA

C.E.

DVTNNT47T56F839K,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ACHILLE PAPA
21, presso lo studio dell’avvocato GAMBERINI MONGENET
RODOLFO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato MARSIGLIA GUIDO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

2592

– ISVEIMER S.P.A. IN LIQUIDAZIONE – ISTITUTO PER LO
SVILUPPO ECONOMICO DELL’
persona

del

legale

ITALIA MERIDIONALE,

in

rappresentante pro tempore,

Data pubblicazione: 27/11/2013

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAVOUR 325,
presso lo studio degli avvocati ABIGNENTE ANGELO e
ABIGNENTE MATILDE, che la rappresentano e difendono
unitamente all’avvocato MARTANO ALFREDO, giusta delega
in atti;

in persona del legale rappresentante pro tempore, già
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIZZANI 94/B,
presso lo studio dell’avvocato DI GENNARO FRANCESCA,
rappresentata e difesa dall’avvocato RIZZO GAETANO,
giusta delega in atti e da ultimo domiciliata presso
la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– controricorrenti

avverso la sentenza o. 5214/2007 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 19/10/2007 r.g.n. 9297/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/09/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato MARSIGLIA GUIDO;
uditi gli avvocati ABIGNENTE ANGELO, MARTANO ‘ALFREDO
e RIZZO GAETANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per
rigetto del ricorso.

– INTESA SAN PAOLO S.P.A. (già SANPAOLO IMI S.P.A.),

R.G. n. 8419/08
Ud. 18.9.2013

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza depositata il 19
ottobre 2007, ha confermato la decisione di primo grado che aveva
dichiarato la inefficacia del licenziamento intimato a De Vita
Antonietta dalla Isveimer S.p.A. in liquidazione per violazione della
procedura sui licenziamenti collettivi (L. 223/91) ed aveva
condannato la predetta società al risarcimento del danno da
commisurarsi alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data
del licenziamento sino al 10 dicembre 2000, senza disporre la
reintegrazione nel posto di lavoro.
Ha osservato la Corte di merito che la cessazione dell’attività
della società precludeva alla lavoratrice di essere reintegrata nel
posto di lavoro per impossibilità sopravvenuta della prestazione;
che il personale era stato azzerato; che i lavoratori che durante la
fase della liquidazione lavoravano presso la Isveimer svolgevano
solo compiti inerenti alla liquidazione della società; che era
infondata la domanda della lavoratrice che aveva chiesto di essere
assunta dal Banco di Napoli, poi Intesa Sanpaolo S,p.A., il quale
non avrebbe osservato l’impegno assunto nei confronti del
personale della controllata Isvemeir di mantenere i posti di lavoro.
Ed infatti le “disposizioni della legge speciale” e gli accordi attuativi
non prevedevano che il Banco di Napoli dovesse garantire i livelli
occupazionali del gruppo.
Peraltro la pretesa della dipendente aveva già ottenuto
accoglimento, ancorchè sotto il profilo risarcitorio, nei confronti
della Isveimer, ciò che precludeva alla ricorrente di proporre la
stessa domanda nei confronti del Banco in via alternativa o
concorrente.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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Per la cassazione della sentenza propone ricorso la
dipendente sulla base di quattro motivi. Resistono con
controricorso sia la Isveimer che la Intesa San Paolo. Le parti
hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
relativi quesiti di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., allora in
vigore (tale disposizione è stata abrogata dall’art. 47, comma 1,
lett. d), della legge 18 giugno 2009 n. 69 a decorrere dal 4 luglio
2009).
2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e
falsa applicazione degli artt. 36, 418 e 437 cod. proc. civ. nonché
violazione dell’art. 112 dello stesso codice.
Deduce che la Corte di merito, confermando sul punto la
decisione di primo grado, ha escluso che la ricorrente potesse
essere reintegrata nel posto di lavoro per impossibilità
sopravvenuta della prestazione conseguente alla cessazione
dell’attività, avvenuta nel 2000, pur non avendo la società
Isveimer eccepito tale fatto ostativo né, tanto meno, proposto
domanda riconvenzionale, Così facendo il giudice d’appello è
incorso nel vizio di ultrapetizione, avendo adottato una pronuncia
non richiesta.
3. Il motivo non è fondato.
Il datore di lavoro che abbia cessato totalmente l’attività e che
sia convenuto in giudizio da un dipendente che deduca la
illegittimità del suo licenziamento non è tenuto a proporre
domanda riconvenzionale o formale eccezione per introdurre nel
processo la sopravvenuta cessazione dell’attività. Tale cessazione
rientra nella libertà di impresa garantita dall’art. 41 Cost. e l’aver
operato simile scelta rappresenta una circostanza di fatto che può
essere introdotta nel processo senza necessità di rispettare alcun
formalismo, atteso che non si tratta né di una domanda

1. Il ricorso è articolato in quattro motivi, cui fanno seguito i

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riconvenzionale né di una eccezione in senso proprio (cfr., in questi
termini, Cass. 13297/07; Cass. 29936/08, Cass. 857/09).
4. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione
degli artt. 2448 cod. civ., 4, 5 e 24 L. 223/91, 3 L. 604/66, 18 L.
300/70, 1256, 1463, 1464 cod. civ. nonché vizio di motivazione

Afferma che, per espressa ammissione della società Isveimer,
l’attività liquidatoria della medesima era proseguita negli anni
successivi al 2000.
Tale prosecuzione risultava dal bilancio della società al 31
dicembre 2004 ed era stata assicurata attraverso l’utilizzazione di

ex dipendenti della società Isveimer, distaccati dal Banco di
Napoli, nonché da lavoratori assunti con contratti di
collaborazione coordinata e continuativa ai fini dell’attività di
recupero dei crediti e di gestione delle poste passive.
Vi era quindi la possibilità di utilizzare la ricorrente ben oltre
la suddetta data del dicembre 2000, tanto più che sino al
momento della cancellazione dell’impresa era ben possibile la
reviviscenza della stessa e la ripresa dell’attività.
5. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione e
falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ., 2697 e 2727 cod.
civ. nonché omessa e insufficiente motivazione.
Ripropone le medesime argomentazioni svolte con il secondo
motivo, aggiungendo che la società Isveimer non ha fornito alcuna
prova circa la totale cessazione dell’attività.
6.

I predetti due motivi, che in ragione della loro

connessione vanno trattati congiuntamente, sono fondati.
L’obbligo di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro a
seguito di sentenza con cui, ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300
del 1970, il licenziamento sia stato dichiarato illegittimo, viene
meno, per impossibilità sopravvenuta della prestazione, solo in
presenza di cause che impediscano oggettivamente e in modo
assoluto il potere di assunzione da parte del datore di lavoro o lo

circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

4

svolgimento della prestazione da parte del lavoratore (Cass. 13
luglio 2000 n. 9307; Cass. 26 giugno 2009 n. 15073).
La delibera di messa in liquidazione di una società
regolarmente costituita non determina l’estinzione dell’ente e la
cessazione della sua attività imprenditoriale, giacché tale

ogni rapporto, attivo o passivo facente capo alla società (cfr. Cass.
n. 4214/94 e Cass. 2983/11).
L’attività di liquidazione è costituita, infatti, da due momenti:
la realizzazione dell’attivo ed il pagamento dei debiti; la ripartizione
del residuo tra i soci.
Nello svolgimento di tale attività i liquidatori incontrano il
solo limite, di cui all’art. 2279 c.c., del divieto di nuove operazioni
che non siano funzionali alla finalità di liquidazione.
All’esito di tali operazioni i liquidatori devono redigere il
bilancio finale di liquidazione, approvato il quale ed eseguita la
ripartizione del residuo tra i soci devono chiedere la cancellazione
della società dal registro delle imprese e la pubblicazione del
provvedimento di cancellazione nell’apposito bollettino.
Nella specie la Corte territoriale, nel confermare la sentenza
di primo grado che aveva escluso la possibilità di reintegrare la
ricorrente nel posto di lavoro in considerazione della cessazione
integrale dell’attività alla data del dicembre 2000, non ha
considerato che, come ha dato atto la società Isveimer, l’attività
liquidatoria della Isveimer è proseguita dopo il dicembre 2000
attraverso l’utilizzazione di alcuni collaboratori esterni e di cinque

ex dipendenti della Isveimer in distacco temporaneo dal Banco di
Napoli.
Detta società quindi ha continuato a sopravvivere, sia pure
ai fini dell’attività di recupero dei crediti e di gestione delle poste
passive, senza che fosse venuto meno il substrato oggettivo della
prestazione di lavoro.

cessazione si verifica solo al momento dell’effettiva estinzione di

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Ha altresì omesso la sentenza impugnata di valutare se il
datore di lavoro nella descritta situazione potesse utilizzare le
prestazioni della ricorrente, in ossequio alla sentenza di
reintegrazione emessa in suo favore, ferma restando la possibilità
per il medesimo di esercitare nuovamente il proprio potere di

Infine la Corte di merito non si è data carico di accertare se
dopo il dicembre 2000 fossero state costituite o riaperte nuove
posizioni previdenziali ed assicurative, sia pure ai fini della
liquidazione.
A tutte tali lacune è necessario che venga data una
esauriente risposta, onde i motivi in esame devono essere accolti
e la sentenza deve essere sul punto cassata con rinvio.
7. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia violazione e
falsa applicazione del “D.L. 27.3.1996 n. 163, D.L. n. 293 del
27.5.96, della legge 558/96”, degli artt. 1176, 1218, 2043 cod.
civ., degli artt. 1362 e segg. cod. civ. nonché illogicità, carenza e
contraddittorietà della motivazione.
Deduce che erroneamente la Corte di merito ha rigettato la
domanda con la quale era stato chiesto che venisse disposta la
sua assunzione alle dipendenze di Intesa Sanpaolo S.p.A. (già
Banco di Napoli), azionista di maggioranza dellisveimer e capo
gruppo, con una interpretazione errata della legge e degli accordi
sindacali ad essa conseguenti.
Ed infatti in base al D.L. 27 marzo 1996 n. 163, non
convertito in legge, ai successivi decreti legge, pure non convertiti,
e al D.L. 24 settembre 1996 n. 497, convertito nella L. 588 del
1996, recanti disposizioni urgenti per il risanamento, la
ristrutturazione e la privatizzazione del Banco di Napoli,
quest’ultimo avrebbe dovuto privilegiare gli aspetti occupazionali
del gruppo, escludendo il ricorso ai licenziamenti, tanto più che la
messa in liquidazione dell’Isveimer costituiva una fase del piano

recesso nell’ipotesi di cessazione definitiva di ogni attività.

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di ristrutturazione di tale società ed era legata al processo di
ristrutturazione del Banco.
L’obiettivo della tutela occupazionale nell’ambito del gruppo
era stato posto alla base degli accordi sindacali sottoscritti nel
luglio 1996 con i rappresentanti sindacali del Banco di Napoli e

Il Banco aveva palesemente violato detti accordi, onde
doveva essere riconosciuta la sua responsabilità per
inadempimento specifico, con il conseguente risarcimento di tutti
i danni subiti dalla ricorrente.
8. Il motivo è infondato.
La Corte di merito, nel rigettare l’analoga censura proposta
dalla ricorrente avverso la sentenza di primo grado, ha rilevato
che le disposizioni dei decreti legge richiamati dalla ricorrente e
gli accordi attuativi del luglio 1996 non prevedono un impegno
del Banco di evitare il licenziamento, di garantire i livelli
occupazionali, di riassorbire il personale all’interno del gruppo
ovvero di dar vita all’esame congiunto finalizzato alla ricerca di
soluzioni alternative al licenziamento.
Nel contestare tale assunto, la ricorrente continua a ribadire
che l’obiettivo degli accordi sindacali del luglio 1996 era quello di
tutelare gli aspetti occupazionali nell’ambito del gruppo.
Ma, sia i decreti leggi n. 163/96 e n. 293/96, non convertiti
in legge, che il decreto legge n. 497/96, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 588/96, richiamati dalla ricorrente,
non fanno menzione alcuna dell’esigenza di preservare gli assetti
occupazionali in atto (cfr. art. 3 di detti decreti). In particolare, gli
interventi finanziari del Tesoro erano condizionati alla
deliberazione, entro il 30 giugno 1996, da parte degli organi
amministrativi del Banco di un idoneo piano di ristrutturazione
da sottoporre all’approvazione della Banca d’Italia e conforme
all’ordinamento comunitario, previa individuazione dei criteri, dei
tempi e delle modalità per il risanamento patrimoniale ed

delle altre società del gruppo.

economico e per la ristrutturazione del Banco e del gruppo,
nonché alla stipulazione, entro il 31 luglio 1996, di accordi
sindacali al fine di diminuire, entro il 31 dicembre 1997, il costo
del lavoro.
La ricorrente richiama gli accordi sindacali del luglio 1996,

gli aspetti occupazionali del gruppo, ma non contesta che in
nessuna parte degli stessi accordi vi fosse un impegno da parte
del Banco di Napoli di tutelare i posti di lavoro ovvero di adottare
specifici correttivi per il caso di soppressione di tali posti.
Quanto, infine, agli ulteriori profili di censura,
sostanzialmente riconducibili al vizio di motivazione, gli stessi
vanno dichiarati inammissibili, non contenendo specifici rilievi
sulla inosservanza delle regole ermeneutiche in cui la Corte
territoriale, nell’interpretazione di tali accordi, sarebbe incorsa, nè
sulla sussistenza di lacune o contraddizioni nel ragionamento
posto dalla Corte di merito a base della decisione.
9. In conclusione, vanno accolti il secondo e il terzo motivo,
mentre vanno rigettati gli altri.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi
accolti, con rinvio al giudice indicato in dispositivo per un nuovo
esame, il quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio
di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso e rigetta gli
altri. Cassa la sentenza impugnata e, rinvia, anche per le spese,
alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 18 settembre 2013.

laddove nel preambolo si fa riferimento all’esigenza di privilegiare

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