Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26518 del 19/10/2018

Cassazione civile sez. II, 19/10/2018, (ud. 03/07/2018, dep. 19/10/2018), n.26518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16689/2014 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE

3, presso lo studio dell’avvocato BRUNO NICOLA SASSANI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO DEPRETIS

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.S., P.V., elettivamente domiciliati in ROMA,

C.SO VITTORIO EMANUELE II, 154, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCA ROSSETTI, rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA LAURA

ANTONINI in virtù di procura a margine della comparsa di

costituzione di nuovo difensore;

– controricorrenti –

nonchè

V.P., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato VALERIANO

TASCINI in virtù di procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 36/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 23/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/07/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalle parti.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Perugia con la sentenza n. 130 del 2010 rigettava la domanda proposta da B.A. il quale deducendo di essere proprietario di un appezzamento di terreno in (OMISSIS) conveniva in giudizio i proprietari del fondo confinante, P.V. e G.S., lamentando la costruzione da parte dei convenuti di un muro di contenimento in violazione della distanza legale imposta tra costruzione che era pari a 5 metri dal confine.

La sentenza, dopo aver dato atto della chiamata in causa da parte dei convenuti del costruttore dell’immobile acquistato da questi ultimi, V.B., al fine di essere garantiti per l’ipotesi di accoglimento della domanda attorea, rilevava che risultava applicabile la normativa sopravvenuta di cui all’art. 24 del regolamento edilizio regionale umbro n. 9 del 3 novembre 2008.

La Corte d’Appello di Perugia con la sentenza n. 36 del 23 gennaio 2014, nella resistenza di V.P., erede succeduto al defunto V.B., rigettava l’appello del B. nonchè l’appello incidentale proposto dal P. e dalla G..

Quanto a quest’ultimo rilevava che era pacifico che il muro oggetto di causa fosse da qualificare come muro di contenimento, in quanto volto a sostenere un terrapieno artificialmente creato, così che andava parificato ad una costruzione, anche ai fini del rispetto delle distanze legali, con la conseguenza che andava rigettato il mezzo di gravame incidentale.

Quanto invece all’appello principale, secondo i giudici di appello la L.R. Umbria n. 1 del 2004, art. 45, prevedeva che entro sei mesi dall’emanazione di apposito regolamento, ove i comuni non si fossero adeguati alle sue prescrizioni, avrebbero trovato diretta applicazione i parametri tecnici e tipologici obbligatori individuati dallo stesso regolamento.

Ciò implicava che correttamente il regolamento aveva dettato norme anche in materia di distanze, le quali, stante l’inerzia del Comune di Marsciano, trovavano applicazione anche alla fattispecie in esame, legittimando quindi la collocazione in situ del muro.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso B.A. sulla base di due motivi.

P.V., G.S. e V.P. hanno resistito con controricorso.

2. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dal V. sul presupposto che il B. sarebbe carente di interesse ad agire, atteso che la previsione che esclude che il muro di contenimento dei convenuti possa qualificarsi come costruzione garantirebbe all’attore, ove in futuro volesse edificare sul suo fondo, di poter costruire senza dover considerare il muro ai fini del rispetto delle distanze.

La deduzione è evidentemente priva di fondamento in quanto non si avvede che l’interesse ad agire posto a fondamento della presente controversia è quello di evitare che con la collocazione del manufatto a distanza inferiore a quella di legge, la proprietà attorea possa subire una limitazione suscettibile di rientrare nel novero delle servitù passive, e ciò indipendentemente dalla valutazione futura circa la realizzazione di nuove costruzioni sul proprio fondo e la necessità di confrontarsi con la disciplina in materia di distanze tra costruzioni (disciplina che peraltro potrebbe anche mutare nel futuro, prevedendo che anche il muro oggetto di causa debba essere valutato ai fini del rispetto della norma di cui all’art. 873 c.c.).

Così come del pari infondate sono le eccezioni di inammissibilità sollevate da tutti i controricorrenti sul presupposto della novità del motivo di ricorso proposto dal B. rispetto alle questioni dedotte nei precedenti gradi di merito, e precisamente per quanto attiene alla legittimità della legge regionale e del regolamento quanto alla loro incidenza sulla disciplina in materia di distanze tra costruzioni, essendo invece evidente che la questione dei limiti della potestà legislativa e regolamentare della Regione in tale ambito era stata oggetto già delle censure mosse in sede di appello, dovendosi altresì rilevare che la allegazione di ulteriori profili di mero diritto per giustificare la conclusione dell’illegittimità delle due previsioni normative, non determina l’inammissibilità del ricorso.

3. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 872, 873 c.c., D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, art. 117 Cost., comma 2, lett. l e comma 3, con la contestuale falsa applicazione della L.R. Umbria n. 1 del 2004, art. 12, lett. a) e art. 45 e dell’art. 1, comma 3 e art. 23 del relativo regolamento di attuazione n. 9/2008. Assume il ricorrente che alla luce delle prescrizioni della legge regionale citata, i giudici di merito hanno ritenuto che il regolamento di attuazione potesse legittimamente dettare puntuali disposizioni in materia edilizia e precisamente anche in materia di distanze, essendo quindi legittima la previsione regolamentare che esclude dal calcolo delle distanze i muri di contenimento.

Tale conclusione si scontra però con la costante giurisprudenza costituzionale che ha nettamente delineato i limiti dell’intervento del legislatore regionale nella materia delle distanze tra costruzioni, in conformità di quanto ricavabile dal dettato dell’art. 117 Cost..

Ne consegue che il regolamento, le cui prescrizioni sono state reputate vincolanti dai giudici di merito, non poteva porre deroghe alla disciplina di cui all’art. 873 c.c., palesandosi quindi illegittimo.

Il secondo motivo denuncia, in via subordinata, l’incostituzionalità degli artt. 12 e 45 della citata Legge Regionale Umbra nonchè dell’art. 1, comma 3, artt. 23 e 24 del regolamento di attuazione per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 2, lett. l) e comma 3, chiedendo alla Corte di sollevare la relativa questione di legittimità in via incidentale.

4. Il primo motivo è fondato.

Rileva il Collegio che la decisione di rigetto della domanda attorea si fonda sulla dedotta applicazione delle previsioni di cui alla L.R. Umbria n. 1 del 2004 e sulla concorrente disciplina dettata dal regolamento di attuazione n. 9 del 2008, che, secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, avrebbero reso legittima la realizzazione di un muro di contenimento a distanza inferiore rispetto a quella prescritta dallo strumento urbanistico locale e più in generale dalle disposizioni contenute nel D.M. n. 1444 del 1968.

Ai fini della migliore comprensione della vicenda, appare opportuno riportare il testo della L.R. n. 1 del 2004, all’epoca dei fatti vigente, essendo stata nelle more abrogata dalla L.R. Umbria n. 1 del 2015, art. 271.

In primo luogo, l’art. 23, prevedeva che: “1. La Regione con norme regolamentari, sentito il Consiglio delle Autonomie locali di cui alla L.R. 14 ottobre 1998, n. 34:

a) detta criteri per il calcolo delle superfici, delle volumetrie, delle altezze e delle distanze relative alla edificazione;

b) dà applicazione alle norme della presente legge in materia di contributo di costruzione;

c) stabilisce i requisiti e le modalità ai fini della formazione dell’elenco regionale di esperti in beni ambientali e architettonici di cui all’art. 4, comma 4 lett. b);

d) definisce le modalità di verifica del mancato rilascio da parte degli organi competenti del documento unico di regolarità contributiva di cui all’art. 11, ai fini della formazione dell’elenco di cui all’art. 39, commi 9 e 10;

d)bis. detta criteri per le norme regolamentari dell’attività edilizia di cui all’art. 5 bis;

d-ter) detta criteri per le norme regolamentari di igiene e sanità pubblica in materia di edilizia e urbanistica.”.

Il successivo art. 45, al comma 2, poi stabiliva che:

“2. I comuni adeguano il regolamento edilizio comunale a quanto indicato agli artt. 12, 43 e al comma 1 in merito ai requisiti cogenti, entro sei mesi dalla data di pubblicazione nel BUR. Trascorso tale termine i requisiti, parametri tecnici e tipologici obbligatori trovano diretta applicazione. Si considerano obbligatori quelli che contengono prescrizioni tese a garantire comportamenti uniformi in tutto il territorio regionale”.

E’ stato successivamente emanato il Regolamento edilizio regionale n. 9 del 2008, il cui art. 24 al comma 2, lett. e), prevedeva che “non sono previste distanze minime dai confini per la realizzazione di muri di contenimento del terreno anche a sostegno di terrapieni artificiali fino a mt. 2,00 di altezza”.

Ad avviso della sentenza gravata, la disciplina dettata in materia di distanze per i muri di contenimento, che comunque, stante il rigetto dell’appello incidentale, conserverebbero la loro qualificazione in termini di costruzione (apparendo in tal senso infondato quanto dedotto in controricorso dalla difesa del V. alla pag. 14, secondo cui il regolamento avrebbe inteso sottrarre il manufatto in questione dal novero delle costruzioni cui ha riguardo la disciplina in materia di distanze, attesa la mancata impugnazione della statuizione di rigetto del mezzo di gravame incidentale), andrebbe quindi rinvenuta nella previsione regolamentare, destinata per effetto della legge regionale a trovare immediata applicazione nei comuni che nei sei mesi dalla pubblicazione del regolamento nel BUR non avessero adeguato alle sue prerevisioni i propri strumenti urbanistici.

Rileva altresì il Collegio che non appare risolutiva ai fini della decisione della controversia l’intervenuta abrogazione della Legge regionale del 2004, in quanto poichè la costruzione di cui si chiede la rimozione è stata realizzata nella vigenza della norma de qua, ove ritenuta legittima in base alla norma preesistente, resterebbe acquisito il diritto dei convenuti alla sua conservazione in situ, pur a fronte di una norma sopravvenuta che preveda invece distanze più rigorose.

Nè può invocarsi come ius superveniens più favorevole, secondo quanto è riportato nelle memorie di parte ricorrente e dei controricorrenti P. e G., quanto previsto dal combinato disposto della L.R. n. 1 del 2015, art. 245 e dell’art. 24, comma 2, lett. e) del regolamento attuativo n. 2/2015, laddove è la norma regolamentare che replica la norma qui contestata circa la esenzione dal rispetto delle distanze per i muri di contenimento, in quanto viene riprodotto il medesimo schema disciplinare con l’affidamento da parte della legge regionale alla potestà regolamentare dell’esecutivo regionale, della disciplina in materia di distanze, potestà che anche in tal caso però deve esplicarsi nei limiti che di seguito si verranno ad esporre. Il loro mancato rispetto comporta quindi che anche la novellata previsione regolamentare è illegittima, e dovrebbe quindi essere disapplicata.

Tornando alle norme applicate dai giudici di merito, ai fini della decisione della controversia, non può però prescindersi, coma giustamente sottolineato anche dalla difesa del ricorrente, dalla disamina dei rapporti tra legislazione statale e regionale in materia di distanze tra costruzioni, e ciò alla luce del riparto di competenze dettato dalla Carta Costituzionale.

A tal fine va richiamata la costante giurisprudenza costituzionale che in reiterate occasioni ha ribadito che (cfr. da ultimo Corte Costituzionale n. 41/2017, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo la L.R. Veneto 16 marzo 2015, n. 4, art. 8, comma 1, lett. a), limitatamente al riferimento alla lett. “b)” della L.R. Veneto 23 aprile 2004, n. 11, art. 17, comma 3 e alle parole “e degli ambiti degli interventi disciplinati puntualmente”) la disciplina delle distanze fra costruzioni, che ha la sua collocazione nel codice civile, ed in particolare negli artt. 873 e 875, attiene in via primaria e diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi. Essa, pertanto, rientra nella materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, con la conseguenza che è illegittima l’eventuale previsione contenuta in una legge regionale che deroghi alla disciplina statale delle distanze tra fabbricati al di fuori dell’ambito della competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, in violazione del limite dell’ordinamento civile assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. In tale ottica quindi, l’intervento derogatorio del legislatore regionale è consentito solo allorquando i fabbricati insistono su di un territorio che può avere, rispetto ad altri per ragioni naturali e storiche specifiche caratteristiche, con la conseguenza che la disciplina che li riguarda e in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici, la cui cura deve ritenersi affidata anche alle Regioni perchè attratta all’ambito di competenza concorrente del governo del territorio.

Tuttavia nel delimitare i rispettivi ambiti di competenza

statale in materia di “ordinamento civile” e concorrente in materia di “governo del territorio” – il punto di equilibrio deve essere individuato del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c., dotato di particolare efficacia precettiva e inderogabile, in quanto richiamato dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41-quinquies, così che, secondo le indicazioni interpretative della giurisprudenza costituzionale, e come poi disposto dall’art. 2-bis del TUE, è legittima la previsione regionale di distanze in deroga a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio.

L’assenza di precise indicazioni, infatti, non consente di attribuire agli interventi in questione un perimetro di azione necessariamente coerente con l’esigenza di garantire omogeneità di assetto a determinate zone del territorio ed implicherebbe quindi l’invasione da parte della Regione della sfera di competenza riservata alla legislazione esclusiva dello stato in materia di ordinamento civile (conf. Corte Cost. n. 232/2005; n. 6/2013, n. 231/2016, n. 189/2016, n. 185/2016, n. 178/2016).

In definitiva è da reputarsi legittima la previsione regionale di distanze in deroga a quelle stabilite dalla normativa statale, solo “nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”, e quindi “se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio” (Corte Cost. sentenza n. 134 del 2014; analogamente sentenze n. 178, n. 185, n. 189, n. 231 del 2016), poichè “la loro legittimità è strettamente connessa agli assetti urbanistici generali e quindi al governo del territorio, non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti isolatamente considerati” (Corte Cost. sentenza n. 114 del 2012; nello stesso senso, sentenza n. 232 del 2005).

A tal fine si è ritenuto che tali conclusioni debbano essere mantenute ferme anche dopo l’introduzione dell’art. 2-bis del TUE, da parte del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, art. 30, comma 1, lett. a), (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98, art. 1, comma 1, in quanto tale disposizione ha sostanzialmente recepito l’orientamento della giurisprudenza costituzionale, inserendo nel testo unico sull’edilizia i principi fondamentali della vincolatività, anche per le Regioni e le Province autonome, delle distanze legali stabilite dal D.M. n. 1444 del 1968 e dell’ammissibilità delle deroghe, solo a condizione che siano “inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio” (sentenza n. 185 del 2016; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 189 del 2016).

Richiamando quanto affermato da Corte Costituzionale n. 41/2017, va quindi ribadito che “La deroga alla disciplina delle distanze realizzata dagli strumenti urbanistici deve, in conclusione, ritenersi legittima sempre che faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati (“gruppi di edifici”) e sia fondata su previsioni planovolumetriche che evidenzino, cioè, una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni considerate come fossero un edificio unitario (D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c.)”.

Tornando alla vicenda in esame, la lettura delle norme regionali sopra riportate non consente di individuare nella stessa legge regionale un’espressa previsione derogatoria della disciplina statale in materia di distanze, non potendosi di per sè ritenere che ciò emerga dall’avere affidato ad un emanando regolamento attuativo (destinato poi ad avere immediata efficacia anche nei comuni che non si fossero adeguati alle sue prescrizioni nel termine previsto) la possibilità di intervenire anche in materia di distanze, e ciò in ragione della stessa genericità della previsione di cui dell’art. 24, lett. a), (“criteri per il calcolo delle superfici, delle volumetrie, delle altezze e delle distanze relative alla edificazione”).

Ed, invero, attesi i limiti costantemente riaffermati dal giudice delle leggi per la potestà regionale in materia, come sopra delineati, ed essendo, sempre nei detti limiti, consentito alla legge regionale di intervenire sulle distanze, deve pervenirsi alla conclusione secondo cui la condizione in base alla quale è legittima la disciplina derogatoria, e cioè l’inserimento in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio, sia operante anche per il regolamento attuativo della legge regionale, che solo in tale ristretto ambito avrebbe quindi potuto dettare una disciplina direttamente incidente sulla materia delle distanze, in deroga a quanto previsto dalle norme statali di cui al D.M. n. 1444 del 1968.

Dovendosi quindi intendere che l’attribuzione fatta dalla legge regionale in questione alla potestà regolamentare si sia conformata ai limiti posti dalla Costituzione alle possibilità di intervento delle Regioni in tale ambito, va da un lato esclusa la diretta contrarietà della norma primaria regionale alla previsione di cui all’art. 117 Cost., lett. l), ravvisandosi per converso l’illegittimità della sola previsione regolamentare che, eccedendo sia dai limiti ricavabili in generale dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, che dalle stesse previsioni della legge regionale (che vanno infatti interpretate nel senso che la disciplina derogatoria in materia di distanze poteva essere oggetto di intervento da parte del Regolamento solo se concretantesi anche nella predisposizione di uno strumento urbanistico idoneo a conformare un assetto complessivo ed unitario di una determinata porzione del territorio), andavano pertanto disapplicate.

Ne consegue che in accoglimento del motivo in esame, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione.

4. L’accoglimento del primo motivo determina poi evidentemente l’assorbimento del secondo motivo di ricorso.

5. Al giudice di rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, ed assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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