Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26517 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. III, 20/11/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 20/11/2020), n.26517

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9007-2018 proposto da:

M.L., rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCA

FEMIANO, e ANTONELLO TORNITORE; con i medesimi elettivamente

domiciliato in ROMA, in CORSO VITTORIO EMANUELE II, n. 18;

– ricorrente –

contro

Consorzio Agrario Interprovinciale di Roma Frosinone, in persona del

legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso

dall’avvocato RENZO MARIA PIETROLUCCI, ed elettivamente domiciliato

presso lo studio del medesimo in Roma VIA DEI GRACCHI 128;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7853/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/09/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Consorzio Agrario Interprovinciale di Roma e Frosinone (di seguito C.A.I.R.F.) con atto di citazione del 25/3/2005 convenne in giudizio davanti al Tribunale di Roma il signor M.L., esponendo: 1) di aver stipulato con il medesimo un contratto di rappresentanza commerciale con deposito e, successivamente, un contratto di concessione di vendita, con la collegata previsione dell’impegno del M. di utilizzare, per lo svolgimento della sua attività e, successivamente anche a titolo abitativo, i locali di proprietà del Consorzio e a rilasciarli alla cessazione del rapporto; 2) in data 20/1/2000, a seguito della sopravvenuta liquidazione coatta amministrativa in cui veniva posto il C.A.I.R.F. e della successiva revoca dell’esercizio provvisorio d’impresa, il Consorzio aveva comunicato al M. l’intervenuta risoluzione di diritto del contratto tra loro intercorso e gli aveva intimato il rilascio dei locali; 3) il M. non aveva dato seguito al rilascio, nonostante le numerose diffide rivoltegli in tal senso dal Consorzio con ciò causando al medesimo rilevanti danni per l’illegittima detenzione, specialmente consistenti nella impossibilità di utilizzo del locale e di locazione a terzi.

2. Il M. si costituì in giudizio, sollevando una serie di eccezioni preliminari e rappresentando, nel merito, il titolo in forza del quale deteneva l’immobile. Specificò anche che, dopo la comunicata risoluzione del contratto, aveva continuato ad esercitare l’attività di vendita come mero esercizio di vicinato ed aveva conservato la disponibilità dell’immobile a fini abitativi, mentre il Consorzio non aveva subito alcun danno, sia perchè non aveva manifestato la volontà di utilizzare in alcun modo i locali sia perchè l’immobile era stato trasferito in proprietà al Comune di (OMISSIS), sicchè nessuna perdita poteva essere rivendicata dal Consorzio.

3. Il Tribunale di Roma dispose una CTU per determinare l’ammontare dei danni quali conseguenza dell’illegittima detenzione del bene nonchè del mancato guadagno derivante dall’impossibilità di vendere l’immobile ad un prezzo migliore e, con sentenza n. 16965/2010, rigettò tutte le eccezioni preliminari del convenuto – tra cui quella relativa all’incompetenza territoriale del Tribunale di Roma ritenuta infondata in quanto nel suo circondario vi era stato il luogo di conclusione del contratto – ed accolse nel merito la domanda, ritenendola fondata sia per la raggiunta prova della risoluzione del contratto sia per l’inottemperanza all’obbligo del rilascio dell’immobile. Sul quantum il Tribunale ritenne di condividere l’apprezzamento del CTU e condannò, conseguentemente, il M. a pagare la somma (rivalutata) di Euro 136.500,00 oltre interessi legali e spese.

3. La Corte d’Appello di Roma, adita in via principale dal M. ed in via incidentale dal Consorzio in liquidazione coatta amministrativa, con sentenza n. 7853 del 13/12/2017, ha rigettato entrambi gli appelli, compensando le spese del grado. La sentenza, per quanto ancora qui di interesse, ha confermato la competenza territoriale del Tribunale di Roma ai sensi degli artt. 20 e 1182 c.c. perchè il contratto di rappresentanza era stato concluso a Roma, luogo anche del domicilio del creditore presso il quale eseguire l’obbligazione risarcitoria derivante da inadempimento contrattuale; ha rigettato le altre eccezioni preliminari ed ha qualificato il contratto relativo all’immobile quale comodato d’uso gratuito, collegato negozialmente al contratto di rappresentanza con deposito, emergendo la chiara volontà delle parti di istituire uno stretto nesso funzionale e di interdipendenza tra i contratti di modo che le vicende dell’uno si sarebbero ripercosse sull’altro, condizionandone l’efficacia. Ha dunque confermato che, al momento della risoluzione del contratto, il M. avrebbe dovuto immediatamente liberare sia i locali di proprietà del Consorzio adibiti a deposito e vendita merci, sia quelli adibiti ad abitazione privata, risultando sine titulo l’occupazione degli immobili successivamente alla ricezione della comunicazione di rilascio da parte del Consorzio; ha ritenuto infondate le doglianze relative alla mancata prova del danno) ritenendo che il medesimo fosse “in re ipsa”, discendendo dalla perdita della disponibilità di un bene normalmente fruttifero e dalla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile, potendo il danno essere liquidato in base al valore “figurativo”, quale valore locatizio dell’immobile abusivamente occupato. La corte territoriale ha escluso anche la prova del mancato possesso da parte del M. di parte dell’immobile.

4. Avverso la sentenza il M. ha proposto ricorso per cassazione, notificato in data 12/3/2018, affidato a tre motivi. Ha resistito il C.A.I.R.F. con controricorso.

5. La trattazione è stata fissata all’Adunanza Camerale odierna ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in vista della quale il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – error in procedendo e in iudicando per violazione degli artt. 18,20,115 e 116 c.p.c. con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente deduce che il giudice d’appelli) abbia errato nel ritenere sussistente il foro del domicilio del creditore e quello del luogo dove era sorta o doveva eseguirsi l’obbligazione, in quanto il foro avrebbe dovuto determinarsi con riguardo al fatto illecito costituito dall’illegittima occupazione dell’immobile e non anche con riguardo alla pretesa fonte contrattuale dell’obbligazione. Ad avviso del ricorrente) il fatto costitutivo della pretesa fatta originariamente fatta valere in giudizio non risiedeva nè nel contratto di rappresentanza del 1979, nè in quello di concessione di vendita del 1999) ma soltanto nel fatto illecito costituito dall’illegittima occupazione.

Cita (nella memoria) giurisprudenza recente di questa Corte secondo la quale la detenzione dell’immobile, che si protragga in carenza di un titolo giuridico caducato, è fonte di responsabilità contrattuale.

2. Con il secondo motivo – error in procedendo per omesso esame di un fatto decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – declina gli stessi argomenti svolti nel primo motivo, sotto il profilo del vizio di motivazione, per non avere il giudice preso in considerazione alcuni fatti decisivi ai fini dell’individuazione del fori) competente.

1-2 I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione, sono inammissibili per plurimi e distinti profili. Innanzitutto difettano di autosufficienza, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, per incompleta allegazione delle eccezioni di incompetenza originariamente formulate e per la mancata indicazione degli atti processuali nei quali le stesse sono state svolte.

In secondo luogo le censure sono inammissibili perchè non si correlano alla ratio decidendi della sentenza, che ha individuato il foro competente in relazione al luogo di conclusione del contratto (poco importa se di rappresentanza o altro) e non anche ad un preteso ed indimostrato fatto illecito. Nè può essere utilmente invocato un preteso revirement della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale la detenzione dell’immobile, in carenza di un titolo giuridico in quanto caducato sarebbe fonte di responsabilità extracontrattuale (Cass., 1, 30/7/2018 n. 20146, Cass., 1, 3/7/2019 n. 17804; Cass., 3, 31/1/2018 n. 2342), in quanto detta giurisprudenza riguarda il solo caso di caducazione del titolo e non, come in quello in esame, di scadenza di titolo negoziale valido, rispetto al quale l’obbligo di restituzione non perde mai la sua natura contrattuale.

3. Con il terzo motivo di ricorso – error in procedendo e in iudicando per violazione degli artt. 61,62,112,115,116,183,184 e 191 c.p.c.: con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente censura l’impugnata sentenza per aver determinato il quantum risarcibile sulla base della sola CTU, in spregio all’orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale la consulenza non può mai ovviare all’obbligo della parte di allegare e provare il danno. In particolare la corte territoriale avrebbe errato per aver omesso l’acquisizione dei mezzi di prova richiesti dall’attore, di cui allega un lunghissimo elenco, che, ove ammessi, avrebbero consentito di confutare quanto asserito dal CTU. Infine la Corte d’Appello avrebbe errato laddove afferma che il ricorrente non aveva fornito alcuna prova in merito alla determinazione del quantum debeatur, trascurando di valutare le prove documentali esistenti.

3. Il motivo è inammissibile per plurimi e distinti profili.

Innanzitutto perchè pretenderebbe contrastare l’impugnata sentenza nella parte in cui ha non ha ammesso i mezzi di prova richiesti, in difetto di specifica ed analitica indicazione, in ricorso, degli elementi ricostruiti come indispensabili dalla giurisprudenza di legittimità. In secondo luogo le censure sono inammissibili perchè difettano di autosufficienza in ordine ai passaggi argomentativi e agli elementi di giudizio in base ai quali la CTU ha operato la quantificazione e non consentono a questa Corte di comprendere quali censure ad essa fossero state mosse in sede di merito e se di quelle, in qualsiasi modo, si fosse tenuto conto nello sviluppo del processo. Nè può ritenersi adeguatamente censurato il richiamo contenuto in sentenza al cd. danno figurativo o “in re ipsa” in quanto l’affermazione di tale danno non consentirebbe di eludere gli oneri di allegazione e prova degli elementi di fatto e, specialmente, il ricorso alla prova presuntiva (Cass., 3, n. 15757 del 27/7/2015 sia Cass., 3, n. 10804 del 5/6/2020). E’ noto infatti che neppure il riferimento, sia pure non del tutto proprio, ad un danno in re ipsa esclude l’onere di allegazione e in caso di contestazione – di prova degli elementi di fatto, anche in via presuntiva sicchè sarebbe stato onere del ricorrente contestare analiticamente, con l’adduzione specifica degli elementi di fatto inconcreti ed in effetti presi a riferimento anche dal consulente tecnico e per relationem dai giudici del merito, la desumibilità da quelli del danno in concreto riconosciuto.

4. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.100 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

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