Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26515 del 21/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 21/12/2016, (ud. 01/12/2016, dep.21/12/2016),  n. 26515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22167-2010 proposto da:

REGIONE CALABRIA, in persona del Presidente in carica, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA SABOTINO 12, presso lo studio dell’avvocato

GRAZIANO PUNGI’, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTA

VENTRICI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

G.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA SIMONE DE

SAINT BON 89, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE GALLO giusta delega a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 95/2009 della COMM.TRIB.REG. di CATANZARO,

depositata il 22/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato ROMITO per delega dell’Avvocato

VENTRICI che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO

Con sentenza n. 95/10/09, pronunciata il 18/2/2009 e depositata il 22/6/2009, la Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro dichiarava inammissibile, perchè tardivo, l’appello proposto dalla Regione Calabria avverso la sentenza n. 187, pronunciata il 19/7/2006 e depositata il 25/8/2006, della Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro, che aveva accolto il ricorso di G.R. avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso per il recupero di tasse automobilistiche relative agli anni 2000, 2001 e 2002.

I giudici di appello rilevavano che la sentenza di primo grado, non notificata, era stata depositata il 25/8/2006, e che, anche in considerazione della sospensione dei termini processuali prevista per le ferie giudiziarie, l’impugnazione doveva essere proposta entro il 31/10/2007, mentre l’atto di appello era stato spedito solo il 2/11/2007, a nulla rilevando “la semplice consegna dell’atto in questione all’Ufficiale Giudiziario”, che si era servito del servizio postale, in quanto in tal caso “l’appello si intende proposto nella data della sua spedizione”. Avverso la sentenza la Regione Calabria propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo cui resiste il contribuente con controricorso.

Il Collego ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

IN DIRITTO

La ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 149 c.p.c. e della L. n. 890 del 1982, art. 4 alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 477/2002, manifesta contraddittorietà della motivazione e travisamento delle risultanze processuali, giacchè la CTR non ha considerato che l’atto di appello venne consegnato il 29/10/2007 all’ Ufficiale Giudiziario addetto all’UNEP della Corte di Appello di Catanzaro, che ha provveduto il 30/10/2007 alla spedizione a mezzo del servizio postale ai procuratori di controparte costituiti nel giudizio di primo grado, i quali hanno regolarmente ricevuto l’atto notificato. Evidenzia la ricorrente che il termine c.d. lungo d’impugnazione di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, nel testo ratione temporis applicabile, era quello di un anno dalla pubblicazione della sentenza e veniva a scadere il 31/10/2007 e che, nella specie, esso risulta rispettato, sia avuto riguardo alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, sia avuto riguardo alla data di spedizione dello stesso, trovando applicazione il principio della scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio per il notificante ed il destinatario.

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

A norma dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso nel quale il quesito di diritto si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, poichè la citata disposizione è finalizzata a porre il giudice della legittimità in condizione di comprendere – in base alla sola sua lettura – l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una “regula iuris” (principio di diritto) che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. (Cass. SS.UU. n. 19811/2008, n. 19769/2008; Cass. n. 4044/2009; n. 16002/2007).

L’art. 366 bis c.p.c. – applicabile essendo stata impugnata una decisione pubblicata il 22/6/2009 – prevede infatti che, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico, autonomamente ed immediatamente individuabile dal giudice di legittimità, senza inutile dispiego di energie ed in tempi il più possibile rapidi per il recupero della funzione c.d. nomofilattica della Corte di Cassazione.

E, secondo lo stabile insegnamento della Corte, “anche nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione, sintetica ed autonoma, del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (SS.UU 20603/07) e che consenta l’immediata “rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della decisione favorevole al ricorrente” (Cass. n. 7865/15; n. 7847/15; n. 5858/13).

Nella specie la ricorrente ne ha omesso la formulazione sicchè il motivo va necessariamente soggetto alla premessa declaratoria di inammissibilità.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 1.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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