Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26515 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. III, 20/11/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 20/11/2020), n.26515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28620/19 proposto da:

-) O.B., elettivamente domiciliato a Roma, v. della

Giuliana 32, presso l’avvocato Antonio Gregorace, che lo difende in

virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 14.3.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30 giugno 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O.B., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese perchè lavorando come camionista per conto terzi, un giorno il camion da lui condotto fu danneggiato da una esplosione, provocata da un attentato terroristico del gruppo (OMISSIS); non sapendo come spiegare l’accaduto al datore di lavoro, e dopo aver appreso che sia questi, sia la polizia, erano andati a cercarlo a casa, decise di lasciare la (OMISSIS).

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento O.B. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Venezia, che la rigettò con ordinanza 18.7.2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza 14.3.2019.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi, perchè era stato lo stesso richiedente a riferire di aver lasciato il paese per non poter risarcire il danno causato al proprietario che gli aveva affidato l’autocarro, e dunque per una ipotesi non costituente una “persecuzione”;

-) la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perchè nella zona di provenienza del richiedente ((OMISSIS), nello stato (OMISSIS) di (OMISSIS)) non era in atto una violenza indiscriminata derivante da conflitto armato (la corte d’appello richiama, a tal fine, un’informazione fornita dal European Country of Origin Information Network (ECOI), a sua volta – rapporto del segretariato Generale delle Nazioni Unite);

-) il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, infine, non poteva essere concesso “mancando qualsiasi elemento anche a livello di allegazione idonea a definire la presumibile durata di una esposizione a rischio”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da O.B. con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente denuncia, nella intitolazione, il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Tuttavia nella illustrazione del motivo si illustra un vizio ben diverso, e si sostiene che la Corte d’appello avrebbe rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari senza alcuna motivazione.

1.1. Il motivo è inammissibile quale che sia il modo in cui lo si volesse qualificare.

Infatti se, attenendosi alla qualificazione del motivo data dal ricorrente, lo si qualificasse come denuncia dell’omesso esame d’un fatto decisivo, il motivo sarebbe inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5.

1.2. Se, invece, badando alla sostanza del contenuto della censura, la si qualificasse come denuncia di nullità della sentenza per mancanza di motivazione, essa sarebbe infondata.

La corte d’appello infatti ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari affermando che mancava “qualsiasi elemento anche a livello di allegazione” idoneo a definire la presumibile durata di una esposizione a rischio.

La sentenza dunque si fonda sull’affermazione di un mancato assolvimento dell’onere di allegazione da parte dell’appellante, e dunque la motivazione esiste e si tratta di una motivazione in punto di rito.

Tuttavia tale motivazione non è stata col motivo qui in esame censurata, in quanto come già rilevato in nessun punto del ricorso il ricorrente chiarisce in cosa consista la sua condizione di vulnerabilità.

2. Anche col secondo motivo il ricorrente denuncia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che la corte d’appello, nell’escludere la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato nella regione di provenienza del ricorrente, avrebbe “non correttamente valutato le dichiarazioni del ricorrente”.

Dopo aver affermato ciò, il motivo “vira” su una questione diversa, e cioè la correttezza delle COI utilizzate dalla corte d’appello.

Deduce il ricorrente che, al contrario di quanto ritenuto dalla corte d’appello, nella regione di sua provenienza ((OMISSIS)) e civili sono esposti ad un serio rischio per la propria incolumità fisica, “oltre alla continua e radicata violazione dei diritti fondamentali della persona”.

2.1. Nella parte in cui denuncia il vizio di omesso esame del fatto, esso è inammissibile ex art. 348 ter c.p.c., comma 5.

Nella parte in cui censura il mancato impiego, da parte del giudice di merito, di COI attendibili ed aggiornate, il motivo è infondato.

La corte d’appello ha escluso la sussistenza nell'(OMISSIS) di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato citando un rapporto delle Nazioni Unite datato 30 giugno 2018.

A questo il ricorrente contrappone un non meglio precisato “rapporto COI” (?) del 2016, del quale trascrive un brano nel quale peraltro non si fa cenno ad una situazione di conflitto armato nella regione suddetta.

Non sarà superfluo aggiungere, anche per i fini di cui all’art. 88 c.p.c., che il brano riportato dal ricorrente tra virgolette, al foglio sette del ricorso, non risulta essere estratto da una fonte internazionale, ma da una ordinanza del Tribunale di Venezia (Trib. Venezia 8.5.2017).

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Nella illustrazione del motivo, dopo aver trascritto il testo della legge, il ricorrente conclude “non esservi dubbio” che nel caso di specie ricorresse l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) “visto anche quanto sopra dedotto sulle attuali preoccupanti condizioni della (OMISSIS)”.

Quindi ribadisce che su tutto il territorio (OMISSIS) esisterebbero “continui scontri”; i quali “delineano un quadro sociopolitico caratterizzato dal pericolo di gravi danni alla persona”; e comunque che la (OMISSIS) è”contraddistinta da un vastissimo livello di criminalità, costituente rischio concreto di gravi atti di terrorismo, di violenza generalizzata e di sommosse tutta l’area”.

3.1. Il motivo è inammissibile per la sua assoluta genericità.

Esso infatti si limita a contrapporre all’affermazione della corte d’appello, secondo cui in (OMISSIS) non esiste una situazione di violenza indiscriminata, la contrastante ed apodittica affermazione secondo cui, invece, in (OMISSIS) quella situazione sussisterebbe.

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

L’illustrazione del motivo è così concepita:

-) in una prima parte il ricorrente riassume i presupposti cui è subordinato il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

-) quindi lamenta che “i primi giudici” non hanno preso in considerazione “l’ormai consolidata prassi di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari a tutti i soggetti stranieri integrati sul territorio dello Stato in possesso di contratto di lavoro e/o di documentazione scolastica”;

– nel caso di specie, invece, “i giudici di prime cure” non hanno in alcun modo preso in considerazione il grado di integrazione sociale del ricorrente.

4.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.

In primo luogo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

Come già rilevato, la corte d’appello ha ritenuto che nel caso di specie fosse mancata, da parte dell’appellante, “qualsiasi allegazione” circa i presupposti di fatto per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. E questa ratio decidendi non è stata impugnata.

In secondo luogo il motivo è inammissibile per totale mancanza della indicazione del fatto posto a fondamento della domanda, e cioè la concreta situazione di vulnerabilità cui sarebbe esposto il ricorrente in caso di rimpatrio. In terzo luogo il motivo è inammissibile per la totale mancanza della indicazione esatta, ex art. 366 c.p.c., n. 6 degli atti e documenti da cui risulterebbe il “grado di integrazione sociale”, che si assume trascurato dalla corte d’appello (per dire il vero, il ricorrente non precisa nemmeno in che cosa sia consistita questa integrazione sociale).

5. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’amministrazione.

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

 

 

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