Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26513 del 27/11/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 26513 Anno 2013
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: DI AMATO SERGIO

SENTENZA

sul ricorso 12566-2008 proposto da:
RIZZANI DE ECCHER S.P.A.

(C.F. 00167700301), in

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SAN
VALENTINO

21,

presso

l’avvocato

Data pubblicazione: 27/11/2013

CARBONETTI

FABRIZIO, rappresentata e difesa dall’avvocato DE
2013
1660

BENEDETTO PIERO, giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrente contro

1

ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante
pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –

ALVISI GIUSEPPE, RIZZO ELVIRA;
– intimati –

sul ricorso 14869-2008 proposto da:
ALVISI GIUSEPPE
ELVIRA

(C.F.

(c.f.

LVSGPP53B03C136M),

RZZLVR54C67G252E),

RIZZO

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ARCHIMEDE 44, presso
l’avvocato TARTAGLIA ROBERTO,

rappresentati e

difesi dall’avvocato VENTURA COSTANTINO, giusta
procura a margine del controricorso e ricorso
incidentale;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali contro

RIZZANI DE ECCHER S.P.A.

(C.F. 00167700301), in

contro

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SAN
VALENTINO 21, presso l’avvocato CARBONETTI
FABRIZIO, rappresentata e difesa dall’avvocato DE
BENEDETTO PIERO, giusta procura in calce al ricorso
principale;

2

- controricorrente al ricorso incidentale contro

ANAS S.P.A.;

avverso la sentenza n.

intimata

26/2008 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 06/11/2013 dal Consigliere
Dott. SERGIO DI AMATO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato DE BENEDETTO
PIERO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
principale, rigetto del controricorso incidentale
ALVISI e inammissibilità del controricorso ANAS;
udito,

per

incidentali

i

controricorrenti

ALVISI

+l,

e

l’Avvocato

ricorrenti
VENTURA

COSTANTINO che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per,
riuniti i ricorsi, l’accoglimento del quarto e

D’APPELLO di LECCE, depositata il 14/01/2008;

quinto motivo del ricorso principale, rigetto dei
restanti motivi e del ricorso incidentale.

3

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Giuseppe Alvisi ed Elvira Rizzo convenivano in giudizio
l’A.N.A.S., innanzi alla Corte di appello di Lecce,
deducendo l’insufficienza dell’indennità di lire 12.668.550

determinata per l’espropriazione e l’occupazione temporanea
di un’area di 125 mq, destinata all’ampliamento della s.s.
106 Ionica. In particolare, gli attori deducevano che
l’area espropriata era compresa in un’area di maggiore
estensione ed era antistante il fabbricato da essi ivi
realizzato, con la conseguenza che l’indennità doveva
tenere conto sia dei lavori di riattamento del fabbricato
che si erano resi necessari, sia del danno derivato
dall’incremento dell’inquinamento atmosferico ed acustico
conseguito all’eccessiva vicinanza del fabbricato alla
nuova sede stradale. L’A.N.A.S. si costituiva in giudizio
eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva per
avere delegato l’esecuzione dei lavori e l’espletamento
delle procedure espropriative alla impresa Rizzani De
Eccher. Quest’ultima veniva, quindi, chiamata in giudizio
per ordine del giudice ed a cura degli attori, che ad essa
estendevano la propria domanda. Con sentenza non definitiva
del 28 ottobre 2003, la Corte di appello rigettava la
domanda proposta nei confronti dell’A.N.A.S., in quanto la
stessa aveva delegato all’impresa Rizzani De Eccher
l’espletamento delle procedure espropriative.
4

Nel merito e nei confronti della predetta impresa, la
Corte di appello osservava che, pur essendovi stata globale
contestazione dell’indennità determinata dall’U.T.E., non
erano state contestate le voci relative al valore dell’area
espropriata (C 213,04 pari a lire 412.500), sulla base del

criterio di stima dettato dall’art. 16 della legge n.
865/1971, ed alla indennità di occupazione temporanea nella
misura di un dodicesimo per anno dell’indennità di
espropriazione. La somma relativa a tali voci ed ai
relativi interessi doveva essere depositata presso la Cassa
depositi e prestiti.
Quanto al valore delle essenze insistenti sull’area
espropriata, la sentenza confermava per la siepe di
pitosforo il non contestato valore di C 516,46 (pari a lire
1.000.000),

con

riferimento

all’epoca

della

sua

eliminazione. La predetta somma, rivalutata secondo gli
indici ISTAT, doveva essere depositata presso la Cassa
depositi e prestiti. Per la siepe di cipressi leyland era,
invece, necessario procedere a consulenza tecnica.
Quanto ai danni lamentati con riferimento al fabbricato,
si doveva escludere una preclusione da giudicato in
relazione alla sentenza in data l ° febbraio 1999, divenuta
definitiva per mancata impugnazione, con cui in altro
giudizio il Tribunale di Taranto aveva rigettato la domanda
di Giuseppe Alvisi ed Elvira Rizzo, intesa ad ottenere
l’attribuzione di un indennizzo, ai sensi dell’art. 46
5

della legge n. 2359/1865, per la profonda alterazione della
realtà dei luoghi. La domanda, infatti, era stata respinta
in quanto proposta per danni cagionati dall’esecuzione di
un’opera pubblica mentre nel caso all’esame della Corte
ricorreva una ipotesi di danni cagionati da una

espropriazione parziale; il rigetto della prima domanda da
parte del Tribunale lasciava perciò impregiudicata la
diversa domanda proposta innanzi alla Corte di appello.
Per la determinazione di tali danni, oltre che del
valore della siepe di cipressi leyland, la Corte di appello
disponeva l’ulteriore corso del giudizio, all’esito del
quale, con sentenza definitiva del 14 gennaio 2008,
determinava in E 3.253, 69 ed in E 77.423,78=, oltre
interessi legali, gli ulteriori depositi a carico
dell’impresa rispettivamente per la perdita della siepe di
cipressi leyland e per i danni al fabbricato.
Rizzani de Eccher s.p.a. propone ricorso per cassazione,
deducendo dieci motivi. Giuseppe Alvisi ed Elvira Rizzo
resistono con controricorso e propongono ricorso
incidentale affidato a cinque motivi. Entrambe le parti
hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi devono essere riuniti, come dispone l’art. 335
c.p.c., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
Con il primo motivo la ricorrente principale deduce la
violazione degli artt. 40 della legge n. 2359/1865 e 15 e
6

16 della legge n. 865/1971, lamentando che la Corte di
appello, con la sentenza non definitiva, malgrado il
carattere unitario dell’indennità di espropriazione, aveva
proceduto alla liquidazione soltanto della parte
dell’indennità ragguagliata al valore dell’area ed al

valore della siepe di pitosforo, riservando al prosieguo la
liquidazione di quella parte dell’indennità ragguagliata al
valore della siepe di cipressi.
Il motivo è infondato. L’affermazione del carattere
unitario dell’indennità dovuta in caso di espropriazione
parziale comporta che, in presenza di un’unica vicenda
espropriativa, non si possano liquidare due distinte somme,
imputate l’una a titolo di indennità di espropriazione e
l’altra a titolo di risarcimento del danno subito dalla
residua proprietà (e plurimis

Cass. 10 luglio 1998, n.

6722; Cass. 4 giugno 2004, n. 10634; Cass. sez. un. 25
giugno 2012, n. 10502). Il carattere unitario della detta
indennità, che secondo l’art. 40 della legge n. 2359/1865
deve essere determinata «nella differenza tra il giusto
prezzo che avrebbe avuto l’immobile avanti l’occupazione ed
il giusto prezzo che potrà avere la residua parte
successivamente», non esclude, invece, la possibilità che
tale differenza possa essere accertata e calcolata, anziché
attraverso comparazione diretta, attraverso il computo
delle singole perdite e cioè aggiungendo al valore
dell’area espropriata quello delle spese e degli oneri che,
7

incidendo sulla parte residua, ne riducano il valore (Cass.
27 febbraio 1980, n. 1370; Cass. 4 giugno 1981, n. 3603;
Cass. 1 0 dicembre 2000, n. 15259; Cass. 18 novembre 2011,
n. 24304). Ne consegue che, scelta la seconda modalità di
calcolo, è possibile determinare separatamente, e perciò

anche in tempi diversi dello stesso processo, le varie voci
che vanno a comporre l’unitaria indennità di
espropriazione.
Con il secondo e con il terzo motivo, che possono essere
esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi,
la ricorrente deduce rispettivamente il vizio di
motivazione e la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.,
lamentando che la sentenza non definitiva aveva disposto il
versamento di somme, ragguagliate al valore dell’area ed al
valore della siepe di pitosforo, senza considerare che,
come risultava dagli atti, le stesse corrispondevano alle
singole voci liquidate dall’U.T.E. nell’ambito della
complessiva indennità di lire 12.668.500=, che la
ricorrente aveva già depositato presso la Cassa Depositi e
prestiti.
Si deve premettere che il terzo motivo, che deduce la
circostanza sotto il profilo della violazione degli artt.
115 e 116 c.p.c., non fa che riproporre il vizio di
motivazione, tale dovendosi ritenere la censura relativa
all’omessa considerazione di un elemento di prova. Ciò
consente di considerare come momento di sintesi il quesito
8

che conclude il motivo esponendo il punto controverso e di
superare la ragione di inammissibilità da cui è affetto il
secondo motivo.
Tanto premesso, i motivi sono inammissibili per difetto
di interesse poiché l’ordine di depositare le somme, senza

la precisazione che si tratta di ulteriori somme, deve
intendersi sempre reso con l’implicita detrazione di quanto
già versato.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione
degli artt. 1224 c.c., 115 e 116 c.p.c, 40 della legge n.
2359/1865 e 16 della legge n. 865/1971, lamentando che la
Corte di appello, con la sentenza non definitiva, aveva
erroneamente previsto la rivalutazione della voce di danno
commisurata alla perdita della siepe di pitosforo, malgrado
nella specie ricorresse una ipotesi di debito di valuta e
non fosse stata fornita la prova del maggior danno.
Con il quinto motivo la ricorrente deduce il vizio di
omessa motivazione, lamentando che il riconoscimento della
svalutazione non era stato sorretto da alcuna
giustificazione.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la stretta
connessione, sono fondati. L’indennità di espropriazione è,
infatti, oggetto di un debito di valuta, con la conseguenza
che l’eventuale maggior danno di cui all’art. 1224 c.c.
deve essere allegato e provato (e

plurimis

e da ultimo

Cass. 20 giugno 2011, n. 13456; Cass. 9 marzo 2012, n.
9

3738). Il principio non subisce deroghe – e con ciò si
anticipa quanto rileva ai fini dell’esame del primo motivo
del ricorso incidentale in caso di espropriazione
parziale, per quel che concerne la diminuzione di valore
dell’area residua, atteso che l’obbligazione

dell’espropriante non ha ad oggetto la reintegrazione di
tale valore, ma sin dall’inizio la corresponsione di una
somma di denaro corrispondente alla perdita di valore;
anche in questo caso, pertanto, l’indennità di
espropriazione integra un debito di valuta soggetto al
principio nominalistico, e pertanto non è suscettibile di
rivalutazione automatica in correlazione con il
deprezzamento della moneta, il quale può solo giustificare
una richiesta dell’espropriato di risarcimento del maggior
danno per effetto della mora del debitore espropriante, in
aggiunta agli interessi, ai sensi e nei limiti di cui
all’art. 1224, secondo comma, cod. civ. (conf. Cass. 12
aprile 1986, n. 2597; Cass. 12 luglio 1983, n. 4737).
Con il sesto motivo si denuncia la violazione degli
artt. 112 c.p.c., 2909 c.c. e 46 della legge n. 2359/1865,
lamentando che la Corte di appello non aveva provveduto
sulla eccezione di inammissibilità della domanda di
indennizzo dei danni subiti dal fabbricato, proposta
espressamente dagli attori con riferimento all’art. 46
citato benché preclusa dal precedente giudicato.

10

Il motivo è infondato. La sentenza non definitiva,
infatti, contrariamente a quanto assume la ricorrente, ha
valutato la questione ed ha concluso per la diversità del
petitum e della causa petendi della domanda presa in esame

dal Tribunale di Taranto (sentenza 1 0 febbraio 1999), con

la quale gli attori avevano chiesto un indennizzo per i
danni derivati dall’esecuzione dell’opera pubblica, sul
presupposto, inesistente in punto di fatto, di essere
proprietari di un fondo non espropriato. Anche l’erroneo
riferimento all’art. 46 della legge n. 2359/1865, contenuto
nell’opposizione alla stima, è stato preso in
considerazione dalla Corte di appello, che ne ha escluso la
decisività ai fini della identificazione della domanda. Il
che deve condividersi poiché la qualificazione della
domanda spetta al giudice, che in presenza di una
espropriazione parziale deve, in sede di opposizione alla
stima tesa ad ottenere il giusto indennizzo, applicare
d’ufficio il criterio differenziale previsto dall’art. 40
della legge n. 2359 del 1865 (Cass. 11 febbraio 2008, n.
3175; Cass. 26 marzo 2004, n. 6086).
Con il settimo motivo si denuncia la violazione degli
artt. 15 e 16 della legge n. 865/1971, 40 della legge n.
2359/1865, 19 della legge n. 865/1971 e 100 c.p.c,
lamentando che la sentenza definitiva aveva fatto
rientrare, nell’unica indennità prevista dall’art. 40
citato per il caso di espropriazione parziale, fattispecie
11

di danni conseguenti alla esecuzione dell’opera pubblica,
travalicando così i limiti dell’opposizione alla stima e
della relativa competenza della Corte di appello. In
particolare, la Corte di appello aveva preso in
considerazione alcune voci di danno non considerate

dall’U.T.E. e che lo stesso c.t.u. aveva ritenuto non
indennizzabili, quali la costruzione del piazzale
antistante la casa in corrispondenza del nuovo accesso,
l’automatismo del cancello a due ante, l’impianto di
videocitofono e non solo di citofono /

la realizzazione di

una scala di accesso al primo piano e di una veranda sul
lato sud simile a quella già esistente sul lato nord,
l’insonorizzazione della strada con barriere
fonoassorbenti, la sostituzione degli infissi, un paramento
esterno fonoisolante della muratura, la diminuzione di
valore del fabbricato nella misura del 40% per
l’inquinamento acustico.
Il motivo è infondato. L’opposizione alla stima,
infatti, è la sede nella quale far valere le diminuzioni di
valore della parte residua (nell’ambito del differenziale
previsto dall’art. 40 della legge n. 2359/1865) non solo
quando le stesse discendono dalla espropriazione parziale,
ma anche quando esse discendono dall’esecuzione dell’opera
pubblica o dall’esercizio della funzione alla quale l’opera
è destinata (Cass. 23 giugno 1980, n. 3932; Cass. 17 maggio
2000, n. 6388; Cass. 25 novembre 2005, n. 25017; Cass. 11
12

febbraio 2008, n. 3175). L’indennizzo previsto dall’art. 46
della legge n. 2359/1865 è

,

infatti, riservato ai

proprietari di fondi non interessati dall’espropriazione,
mentre i proprietari di fondi parzialmente espropriati
devono far valere ogni loro diritto in sede di

determinazione dell’unitaria indennità prevista dall’art.
40 citato per il caso di espropriazione parziale.
Con l’ottavo motivo si denuncia la violazione degli
artt. 15 e 16 della legge n. 865/1971, dell’art. 40 della
legge n. 2359/1865, degli artt. 100, 115 e 116 c.p.c.,
degli artt. 2, 5 e 6 del d.p.r. n. 142/2004 e dell’art. 11
della legge n. 447/1995, lamentando che la Corte di appello
aveva fatto riferimento, per stabilire i valori limite
delle sorgenti sonore al D.P.C.M. 1 0 marzo 1991, malgrado
lo stesso fosse stato abrogato dalla legge n. 447/1995 ed
alla non pertinente tabella A) del D.P.C.M. 14 novembre
1997, non relativa al traffico veicolare.
Il motivo è inammissibile atteso che il D.P.C.M. 10
marzo 1991 è stato applicato dalla Corte di appello sul
presupposto, non contestato in questa sede, che lo stesso
era in vigore al momento del decreto di espropriazione (8
giugno 1994).
Con il nono motivo si denuncia l’omessa motivazione in
ordine alla percentuale di deprezzamento dell’immobile
individuata dalla Corte di appello nel 40%, malgrado il
c.t.u. avesse indicato una percentuale del 10%.
13

Il motivo è inammissibile per difetto del momento di
sintesi, previsto dall’art. 366

bis

c.p.c. applicabile

ratione temporis.

Con il decimo ed ultimo motivo si denuncia la violazione
degli artt. 15 e 16 della legge n. 865/1971, dell’art. 40

della legge n. 2359/1865, degli artt. 115 e 116 c.p.c.,
lamentando che la Corte di appello aveva considerato già
versata soltanto la somma di C 5.503,36 e non quella di C
6.542.,73 effettivamente versata.
Il motivo è infondato. La Corte di appello, con la
sentenza non definitiva ed al fine di determinare l’importo
delle ulteriori somme da versare, ha considerato,
nell’ambito della somma già depositata, soltanto le voci
relative ai danni al fabbricato, per le quali veniva
accolta l’opposizione alla stima, e non le altre voci.
Con il primo motivo del ricorso incidentale Giuseppe
Alvisi ed Elvira Rizzo deducono la violazione dell’art. 40
della legge n. 2359/1865 nonché dell’art. 1224 c.c.,
lamentando che la sentenza definitiva, al contrario di
quella non definitiva, non aveva previsto la rivalutazione
delle voci di danno da essa considerate.
Il motivo è infondato per le ragioni esposte nell’esame
del quarto e del quinto motivo del ricorso principale.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale si
denuncia la violazione dell’art. 279 c.p.c., lamentando che
la Corte di appello aveva violato la preclusione derivante
14

dalla sentenza non definitiva circa il riconoscimento della
rivalutazione monetaria per i danni rilevanti ai sensi
dell’art. 40 della legge n. 2359/1865.
Con il terzo motivo si deduce che il contrasto tra la
sentenza non definitiva e quella definitiva circa la

di motivazione per contraddittorietà.
Il secondo ed il terzo motivo restano assorbiti
dall’accoglimento del quarto e del quinto motivo del
ricorso principale che elimina il contrasto esistente, sul
punto della rivalutazione monetaria, tra la sentenza non
definitiva e quella definitiva.

Resta ulteriormente

assorbita ogni considerazione sulla non configurabilità di

i
Ct4/
f

un giudicato su un criterio e sulla non riconducibilità a
vizi della motivazione di eventuali contraddittorietà in
diritto.
Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art.
20 della legge n. 865/1971, lamentando che l’indennità di
occupazione era stata commisurata soltanto ad una parte
dell’indennità di espropriazione (quella commisurata al
valore dell’area espropriata), escludendo gli indennizzi
per i danni alla parte residua.
Il motivo è fondato. Invero, l’indennità di occupazione
temporanea, nella misura di un dodicesimo dell’indennità di
espropriazione, come previsto dall’art. 20 della legge n.
865/1971, va calcolata sulla complessiva indennità di
15

rivalutazione delle voci di danno integrava anche un vizio

espropriazione, determinata secondo i criteri applicabili
in tema di espropriazione parziale, e non scindendo le
somme a titolo di indennità per la perdita dell’area
espropriata ed a titolo di indennità per i danni alla parte
residua, per poi calcolare l’indennità di occupazione solo

sulla prima, così come nella specie ha operato la Corte di
appello (conf. Cass. 9 novembre 2004, n. 21352; Cass. s.u.
8 aprile 2008, n. 9041).
Con il quinto motivo si deduce la violazione dell’art.
20 della legge n. 865/1971, lamentando che l’indennità di
occupazione era stata determinata

tout court

in un

dodicesimo dell’indennità di espropriazione, senza
precisare che tale dodicesimo spettava per ogni anno di
occupazione e che la stessa si era protratta dal 4 febbraio
1991 al 24 maggio 1995.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
Invero, la sentenza non definitiva, pur essendosi limitata
in dispositivo a determinare l’ammontare dell’indennità di
occupazione, ha precisato in motivazione (pag. 8) che
l’indennità era dovuta per ciascun anno di occupazione e
che il relativo periodo era durato quattro anni e tre mesi;
non ricorre, pertanto, una ipotesi di insanabile contrasto
tra dispositivo e motivazione, e l’esatto contenuto della
pronuncia va individuato non alla stregua del solo
dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione

16

nella parte in cui la medesima rivela l’effettiva volontà
del giudice (Cass. 11 luglio 2007, n. 15585).
Le sentenze impugnate devono essere cassate in relazione
ai motivi accolti e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, questa Corte, decidendo nel merito,

così provvede: a) determina in complessivi C 87.007,14
l’indennità di espropriazione; b) determina in un
dodicesimo di C 87.007,14 l’indennità di occupazione,
commisurata ad anno, dovuta dal 4 febbraio 1991 al 24
maggio 1995; c) dispone il versamento delle predette somme
presso la Cassa Depositi e Prestiti, oltre interessi dal 24
maggio 1995 al dì del deposito sulla indennità di
espropriazione ed oltre interessi l dalla scadenza al dì del
deposito sulle singole annualità dell’indennità di
occupazione, detratto in ogni caso quanto già versato.
Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di
cassazione, avuto riguardo all’esito complessivo della
lite, seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo.
P . Q . M .
riunisce i ricorsi; accoglie il quarto ed il quinto motivo
del ricorso principale; accoglie il quarto motivo del
ricorso incidentale; rigetta gli altri motivi dei ricorsi;
cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti
e decidendo nel merito così provvede: a) determina in
complessivi 87.007,14 l’indennità di espropriazione; b)
17

determina in un dodicesimo di

e

87.007,14 l’indennità di

occupazione, commisurata ad anno, dovuta dal 4 febbraio
1991 al 24 maggio 1995; c) dispone il versamento delle
predette somme presso la Cassa Depositi e Prestiti, oltre
interessi dal 24 maggio 1995 al dì del deposito sulla
indennità di espropriazione ed oltre interessi dalla
scadenza al dì del deposito sulle singole annualità
dell’indennità di occupazione, detratto in ogni caso quanto
già versato. Condanna la Rizzani de Eccher s.p.a. al
rimborso delle spese di lite liquidate quanto al giudizio
di merito in E 12.000,00=, di cui 7.500,00 per onorari,
3.700,00 per diritti e 800,00 per esborsi oltre al rimborso
delle spese anticipate per il pagamento dei consulenti
tecnici d’ufficio, secondo le liquidazioni in atti ed oltre
IVA, CP e spese generali; quanto al giudizio di cassazione
in 8.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CP.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6
novembre 2013.

.s

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