Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26507 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/11/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 20/11/2020), n.26507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34361-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato IVANA CARSO;

– ricorrente –

contro

Z.P., Z.O., nella qualità di eredi di

Z.F., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati

DIEGO CUCCU’, MIRKO BATTISTELLI;

– controricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante in proprio e quale procuratore

speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S.

(S.C.C.I.) S.p.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto

medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO,

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, ESTER ADA VITA

SCIPLINO, GIUSEPPE MATANO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 151/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE

ALFONSINA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Fermo, ha accertato la decorrenza della prescrizione per i crediti portati in tre delle svariate cartelle di pagamento emesse dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione nei confronti di T.M. e dalla stessa opposte;

il Tribunale di Fermo dopo aver qualificato l’azione quale opposizione D.Lgs. n. 46 del 1999 ex art. 24, aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso avendo rilevato l’inutile decorso del termine di decadenza di quaranta giorni previsto dalla norma;

la Corte d’appello, confermando la decisione del primo giudice quanto alla regolarità della notificazione di tutte le cartelle impugnate, ha tuttavia affermato che il superamento del termine perentorio di 40 giorni per l’opposizione non implicava che l’ulteriore questione inerente il decorso della prescrizione dei crediti portati nelle cartelle potesse ritenersi superabile mediante una pronuncia di mera inammissibilità del ricorso;

ha pertanto riqualificato l’azione quale opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., individuando (pag. 4 sent.) l’atto introduttivo della causa nel preavviso di fermo amministrativo notificato alla T., in cui erano riepilogati le cartelle esattoriali e gli avvisi di addebito precedentemente notificati alla contribuente; ha poi esaminato i termini di notifica delle singole cartelle in contestazione e delle date dei successivi atti interruttivi della prescrizione quinquennale, giungendo alla conclusione che la prescrizione estintiva quinquennale si era verificata soltanto per i crediti indicati in tre delle varie cartelle contestate;

la cassazione della sentenza è domandata dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, sulla base di tre motivi;

Z.F., Z.P. e Z.O., quali eredi di T.M., nel frattempo deceduta hanno resistito con tempestivo controricorso illustrato da successiva memoria;

Inps ha depositato procura in calce al ricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la ricorrente deduce nullità della sentenza gravata per violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c. nonchè dell’art. 2909 c.c., per avere il giudice dell’appello qualificato l’azione – diversamente dal giudice di primo grado – quale opposizione all’esecuzione, senza che ciò fosse stato oggetto di censura da parte degli appellati;

sostiene che il giudice dell’appello avrebbe dovuto astenersi dall’affrontare il merito dell’eccezione di prescrizione, arrestando la propria cognizione al rilievo, da compiersi anche d’ufficio, dell’improponibilità della domanda per via del formarsi del giudicato in merito alla violazione del termine decadenziale di 40 giorni previsto dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, inutilmente decorso;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si contesta violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, per avere, la Corte d’appello, riformato la sentenza di primo grado, che aveva qualificato l’azione come opposizione ex art. 24, comma 5 anzichè quale opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si denuncia la violazione dell’art. 2946 c.c., del D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 17, 18, 19,20, del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 19, 49, 77 e 86, della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, per avere la Corte erroneamente applicato il termine di prescrizione quinquennale in luogo di quello decennale;

i primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono infondati;

secondo l’orientamento di questa Corte, le azioni di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, e all’art. 615 c.p.c., ancorchè distinte, sono cumulabili e spetta al giudice del merito valutare la sussistenza del relativo interesse ad agire da parte del ricorrente (cfr. ad es. Cass. n. 31282 29294 del 2019);

facendo corretta applicazione di tale principio di diritto, la Corte territoriale ha ritenuto che “l’opposizione proposta in primo grado nella parte in cui contesta la maturazione di un termine di prescrizione quinquennale successivamente alla notifica delle cartelle esattoriali e degli avvisi di addebito non tempestivamente opposti va qualificata quale opposizione all’esecuzione pienamente ammissibile, non essendo soggetta ad alcun termine decadenziale” (p. 6 sent.).

così riqualificata l’azione, e facendo uso dei propri poteri istruttori, la stessa Corte d’appello è passata alla verifica delle scadenze dei termini di prescrizione maturati successivamente alla notifica per ciascuna cartella contestata, giungendo ad accertare l’estinzione per avvenuto decorso quinquennale relativamente a solo tre di esse;

tale accertamento si è svolto in conformità col principio della domanda, avendo la Corte territoriale precisato in più punti in motivazione che il tema della prescrizione era stato ritualmente introdotto nel giudizio e che quindi, essendo pienamente pertinente all’indagine, esso entrava a pieno titolo nel dibattito processuale (ad es., a p. 3 sent. si dà atto che: “gli eredi appellanti si dolevano con ulteriore motivo di appello della mancata declaratoria di avvenuta prescrizione con riferimento a tre cartelle specifiche per non essere intervenuto un atto interruttivo entro il quinquennio successivo alla loro notifica.”) (cfr. sul punto, ancora, Cass. n. 31282 del 2019);

il giudizio in merito al decorso del termine quinquennale di prescrizione non contiene, perciò, nessuna violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo il giudice fatto corretto uso dei propri poteri istruttori, entro i confini delineati dalla corretta applicazione del principio della domanda;

quanto al terzo motivo esso è inammissibile;

il ragionamento della ricorrente in ordine alla inapplicabilità della prescrizione quinquennale dei crediti contributivi al caso di specie non aggiunge elementi idonei a contrastare il provvedimento gravato, con cui la Corte territoriale ha dato esatta applicazione al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 23397 del 2016;

secondo tale principio “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010).”;

in linea con il richiamato principio, con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che “In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece della regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 2018) e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuito al ruolo” (Cass. n. 14301 del 2009);

allo stesso modo non assume rilievo il richiamo al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. Un. 23397 del 2016; Cass. n. 31352 del 2018; Cass. n. 9746 del 2020);

in definitiva, il ricorso va rigettato;

le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, disponendosene la distrazione in favore dell’avvocato dei controricorrenti, dichiaratosi antistatario;

non si provvede sulle spese in favore dell’Inps per non avere, questi, svolto attività difensiva;

in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo

unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità nei confronti di Z.F., Z.P. e Z.O., quali eredi di T.M., che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 3.000 per compensi professionali da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

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