Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26504 del 21/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 21/12/2016, (ud. 18/10/2016, dep.21/12/2016),  n. 26504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente –

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ISA Claudio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23225/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.L., elettivamente domiciliata in ROMA VIA MARIO SAVINI 7,

presso lo studio dell’avvocato VALENTINA ROMAGNA, rappresentata e

difesa dall’avvocato SAMO SANZIN giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22/2012 della COMM.TRIB.REG. di TRIESTE,

depositata il 05/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per la controricorrente l’Avvocato ROMAGNA EGIDIO per delega

orale dell’Avvocato SANZIN SAMO che ha chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

V.L., titolare di un’impresa familiare, che effettuava somministrazione di pasti e bevande, impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate di Gorizia, per maggiori ricavi non dichiarati, relativi all’anno di imposta 2004. L’accertamento si era basato su studi di settore ed era stato emesso dopo tre tentativi di conciliazione, che avevano avuto esito negativo.

La contribuente aveva impugnato l’atto, eccependo l’illegittimità e, quindi, la nullità dell’avviso di accertamento, in quanto i ricavi con esso determinati non erano sostenuti da presunzioni gravi precise e concordanti, come previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, primo comma, lett. d). La contribuente faceva rilevare, altresì, che l’incongruenza nei redditi derivava fin dagli anni precedenti, cioè, dal 2002, ed era dovuta all’entrata in vigore dell’Euro e all’aumento dei prezzi.

Si costituiva l’Agenzia dell’Entrate di Gorizia, affermando che l’operato dell’Ufficio era da ritenersi legittimo perchè fondato su disposizioni di legge, posto che l’accertamento basato sugli studi di settore era un tipo di accertamento analitico presuntivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, e si fondava sulla presunzione data dallo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli rideterminati.

La CTP di Gorizia, con sentenza 83/01/2010 rigettava il ricorso e condannava la contribuente al pagamento delle spese del giudizio.

La CTR per il Friuli Venezia Giulia, pronunciandosi su appello proposto, dalla contribuente, con sentenza n. 22/07/2012, accoglieva l’appello e riformava integralmente la sentenza di primo grado, compensava le spese. Secondo la CTR del Friuli Venezia Giulia gli studi di settore costituiscono degli indizi che devono esser confortati da ulteriori elementi, la semplice applicazione nella realtà dello studio di settore, teoricamente previsto, che fra l’altro non prevede, neppure, la possibilità di una malattia del contribuente nel caso in cui gestisca un’impresa individuale, costituiva una stortura e rendeva l’accertamento illogico e quindi annullabile.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dall’Agenzia delle Entrate con ricorso affidato a tre motivi. V.L. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis e sexies, e della L. n. 146 del 1998, art. 10, vigente ratione temporis, anche in combinato disposto tra loro, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la ricorrente, la CTR del Friuli Venezia Giulia, nel motivare l’accoglimento dell’appello proposto dalla V. non avrebbe fatto buon governo dei principi più volte affermati dalla giurisprudenza, in ordine alla legittimità in materia di accertamento sulla base degli studi di settore. In particolare, la CRT del Friuli Venezia Giulia non avrebbe tenuto conto che l’Ufficio finanziario aveva utilizzato lo strumento dell’accertamento mediante applicazione degli studi di settore, correttamente, avendo provveduto a notificare alla contribuente l’invito al contraddittorio. Nella fase del contradditorio la contribuente, comunque, si sarebbe limitata a segnale delle incongruenze nei dati indicati nello studio di settore senza invece fornire alcuna controprova specifica allo scostamento tra il dichiarato e lo studio di settore.

1.1.- Il motivo non merita di essere accolto.

Questa Corte ha avuto modo di chiarire che la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

In tale sede, il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.

In definitiva, i parametri previsti dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 181 a 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, e, soltanto ove siano stati contestati, in sede di contraddittorio con il contribuente, sulla base di allegazioni specifiche, sono inidonei a supportare da soli l’accertamento medesimo, se non confortati da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa, che concretamente possono emergere, anche, dalla ragioni per le quali sono state disattese le deduzione del contribuente.

Nella fattispecie, vertendosi in ipotesi nella quale, come si evince dal ricorso, il contribuente aveva risposto all’invito dell’Ufficio impositivo al contraddittorio, i giudici d’appello si sono limitati a ritenere, in generale ed in astratto, inidonei gli strumenti parametrici a fondare l’accertamento, senza vagliare, nel concreto, i dati fattuali offerti dall’Ufficio e le prove contrarie offerte dal contribuente.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la ricorrente la sentenza della CTR del Friuli Venezia Giulia sarebbe viziata anche sotto il profilo dell’errata applicazione della norma di cui all’art. 2697 c.c., in materia di onere della prova, in quanto i giudici di appello avrebbero erroneamente ritenuto gravante sull’Ufficio finanziario un onere della prova diverso e, comunque, ulteriore rispetto a quello di dimostrare la corretta applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento. Piuttosto, l’eventuale scostamento tra il risultato ottenuto attraverso l’applicazione dei parametri e quanto esposto in dichiarazione deve essere giustificato non dall’ufficio, bensì dalla parte”, prevedendosi a questo scopo l’attivazione del contraddittorio.

2.1.- Il motivo è infondato.

Va qui premesso che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non e “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. Solo nell’ipotesi in cui il contribuente ometta di partecipare al contraddittorio, ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione (e non è l’ipotesi in esame), l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (Cass. n. 17646 del 06/08/2014).

Ora, nel caso concreto, come ha chiarito la CTR del Friuli Venezia Giulia, la contribuente ha partecipato al contradittorio, formulando le proprie contestazioni e l’Ufficio finanziario, nonostante le contestazioni della contribuente in sede di contraddittorio, non ha integrato le motivazioni dell’accertamento ma si è limitato ad applicare gli studi di settore. Pertanto, non potendosi attribuire valore di presunzione legale agli studi di settore l’Ufficio finanziario era tenuto a supportare l’accertamento con la prova di elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa e, comunque, integrare la motivazione dell’accertamento con le ragioni per le quali l’Ufficio ha disatteso le contestazioni della contribuente. L’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c., in definitiva, restava, ancora, a carico dell’Ufficio finanziario.

3.- Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l’omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Secondo l’Ufficio finanziario la CTR nel dare rilevanza alla “malattia della contribuente”: non avrebbe tenuto conto che l’Ufficio era venuto a conoscenza dei problemi di salute della contribuente, solo nella fase giudiziale; non avrebbe valutato il contegno della contribuente rispetto all’allegazione del fatto costitutivo dall’asserita malattia, limitandosi ad affermare che lo studio di settore non prevederebbe la possibilità di un a malattia del contribuente; fuori luogo sarebbe la statuizione circa l’impossibilità per lo studio di settore di prevedere l’ipotesi di malattia del contribuente posto che lo studio di settore tiene conto della malattia del contribuente quando essa incide sullo svolgimento dell’attività lavorativa.

3.1- Il motivo è inammissibile, non solo perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione dei dati processuali non proponibile nel giudizio di Cassazione se, come nel caso in esame, non presenta vizi logici e/o giuridici, ma, soprattutto, perchè la valutazione della malattia della contribuente non è stata decisiva per il giudizio.

Come afferma la giurisprudenza, anche, di questa Corte e conferma la dottrina, è inammissibile in sede di legittimità il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam” e, pertanto, non costituente una “ratio decidendi” della medesima. Infatti, un’affermazione siffatta contenuta nella sentenza impugnata, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici, non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.200,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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