Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26493 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. un., 20/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 20/11/2020), n.26493

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBIUNO Lina – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17544-2019 proposto da:

SOCIETA’ ITALIANA TABACCHI – S.I.T. S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in

persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato ENRICO

FOLLIERI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI, in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

e contro

ICQRF – DIPARTIMENTO ISPETTORATO CENTRALE DELLA TUTELA DELLA QUALITA’

E DELLA REPRESSIONE FRODI DEI PRODOTTI AGROALIMENTARI DEL MINISTERO

DELLE POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 159/2019 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il

07/01/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per il rigetto del ricorso e la

declaratoria della giurisdizione ordinaria;

uditi gli avvocati Enrico Follieri, ed Emanuele Manzo, per

l’Avvocatura Generale dello Stato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Consiglio di Stato, con sentenza del 7 gennaio 2019, ha confermato la decisione di primo grado che aveva ritenuto soggetta alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 la domanda di restituzione di quanto indebitamente pagato a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria, così qualificata la pretesa azionata dalla Società Italiana Tabacchi s.p.a. (di seguito SIT).

2. Dalle premesse in fatto illustrate nella sentenza impugnata si evince che l’Ispettorato centrale repressione frodi del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali emetteva nei confronti della SIT ordinanza-ingiunzione, a titolo di sanzione amministrativa, per concorso nell’indebita percezione di premi comunitari da parte della cooperativa La Terra, ordinanza confermata, con il rigetto della relativa opposizione, con sentenza della Cassazione n. 4845 del 2008; a partire dal 2010 è avvenuto il pagamento della somma di Euro 725,123,54 nell’ambito della procedura di concordato preventivo per cessione di beni della società; con sentenza penale, n. 261 del 2010, il Tribunale di Nola assolveva i legali rappresentanti della cooperativa La Terra per insussistenza del fatto contestato; nel gennaio 2013, l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura archiviava il procedimento di recupero delle somme che erano state ritenute indebitamente percepite dalla cooperativa; il 20 novembre 2012, la SIT chiedeva al Ministero la revoca o l’annullamento, in autotutela, dell’ordinanza-ingiunzione e la riconsiderazione degli elementi, in fatto e diritto, alla base della sanzione, assumendo non potersi ravvisare concorso nell’illecito penale dichiarato insussistente in sede penale; il Ministero, con provvedimento del 12 marzo 2015, premessa la doppia illiceità (penale e amministrativa) e la punibilità dell’indebita percezione di aiuti comunitari sanzionata con il cumulo materiale tra sanzioni di diversa specie, rimarcava, in linea generale, la possibilità di un diverso esito del procedimento sanzionatorio amministrativo, rispetto alla decisione adottata in sede penale, in considerazione del coinvolgimento, nei procedimenti, di soggetti diversi seppur corresponsabili nella stessa condotta illecita; detto atto amministrativo è stato impugnato dalla SIT per l’annullamento e la declaratoria del diritto alla restituzione, con richiesta di rivalutare la posizione dell’istante alla luce dell’accertamento giurisdizionale concernente un profilo determinante nella vicenda.

3. Con il gravame avverso la declinatoria della giurisdizione da parte del TAR, la società ha sottolineato la posizione di interesse legittimo connesso all’esercizio del potere di autotutela della PA, stante l’insindacabilità delle sanzioni amministrative da parte del giudice amministrativo e il giudicato formatosi sull’ingiunzione innanzi al giudice civile, sicchè il ricorso era rivolto a contestare la legittimità del diniego di autotutela opposto e l’effetto conformativo risiedeva nell’obbligo di adottare un provvedimento motivato sull’istanza di autotutela.

4. Il Consiglio di Stato ha qualificato l’atto impugnato, al di là delle espressioni testuali usate, non come diniego di annullamento o di revoca in autotutela ma come rifiuto, per mancanza della volontà, prima che della possibilità giuridica, di intervenire in autotutela; ha ricordato che, in simili casi, pur in presenza di elementi sopravvenuti potenzialmente idonei a mettere in discussione i presupposti alla base di un provvedimento divenuto inoppugnabile, non vi è un obbligo di adottare un provvedimento di autotutela; ha rimarcato che solo quando l’amministrazione abbia concretamente riesaminato il merito della pretesa, per poi negare discrezionalmente l’autotutela per mancanza dei relativi presupposti, è possibile attivare il sindacato del giudice per far valere l’erroneità della valutazione.

5. Il Consiglio di Stato ha ritenuto mancante il presupposto fondamentale per poter attivare il sindacato del giudice amministrativo avverso il rifiuto di autotutela (non trattandosi di diniego di autotutela) fondato sul rilievo dell’inoppugnabilità del provvedimento e sull’inidoneità dei fatti sopravvenuti a determinare l’inefficacia, e ha sottolineato che la posizione soggettiva di chi si dolga del diniego non assume consistenza di interesse legittimo, per effetto della presentazione dell’istanza di autotutela, ma rimane quella configurabile in ordine al bene della vita finale cui aspira il soggetto, correttamente qualificata dal TAR la causa petendi, azionata in relazione al diritto soggettivo alla restituzione di quanto indebitamente pagato a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria, soggetta alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22.

6. La Società Italiana Tabacchi s.p.a., in liquidazione, propone ricorso, per motivi di giurisdizione, cui ha resistito il Ministero della Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

7. L’Ispettorato centrale della tutela, della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Il ricorso (deducendo violazione dell’art. 7 c.p.a. e artt. 2 e 3 all. E L. n. 2248 del 1865) censura la declinatoria di giurisdizione da parte del giudice amministrativo assumendo che la controversia concerne l’illegittimità dell’atto con cui l’amministrazione, nonostante fatti sopravvenuti inequivocabili, ha rigettato la richiesta di revoca della sanzione amministrativa e concerne, pertanto, interessi legittimi.

9. In via subordinata si critica la declinatoria nella parte in cui il giudice amministrativo ha rifiutato di pronunciarsi sull’illegittimità del diniego di autotutela.

10. Infine, si richiede rinvio pregiudiziale alla CGUE, per il caso che fosse ritenuta insussistente la giurisdizione del giudice amministrativo, al fine di sollevare la seguente questione interpretativa: se l’art. 19 del Trattato e l’art. 47 CDFUE ostano ad una normativa nazionale che non consente di impugnare davanti al giudice amministrativo l’atto con cui l’amministrazione rifiuta di revocare una sanzione amministrativa irrogata per concorso in indebita percezione di aiuti comunitari, nel caso in cui, dopo l’inutile esperimento di tutti i gradi di giudizio avverso la sanzione medesima, sia intervenuta una sentenza penale che abbia accertato l’insussistenza del fatto posto a suo fondamento.

11. Il ricorso è da rigettare.

12. Il diniego del ritiro in autotutela dell’ordinanza-ingiunzione (secondo l’espressione usata dalla parte ricorrente), diversamente da quanto illustrato nel ricorso è inidoneo a trasformare il bene protetto preteso – “il diritto la restituzione delle somme versate a titolo di sanzione amministrativa” secondo l’espressione letterale dell’atto impugnato – in mero interesse legittimo a fronte della sopravvenienza di un fatto cui non si ricollega l’effetto automatico e legale di decadenza della potestà sanzionatoria o una valutazione dell’amministrazione sulla rispondenza o meno all’interesse pubblico della conservazione della sanzione amministrativa irrogata, e riscossa, a titolo di concorso in una condotta non costituente più fatto-reato.

13. La causa petendi investe la revoca/annullamento della sanzione amministrativa e non la legittimità dell’azione amministrativa di riesame, benchè la parte ricorrente si spenda, con dovizia, in passaggi argomentativi volti ad evidenziare di non aver fatto valere in giudizio il preteso diritto alla restituzione delle somme versate sibbene l’interesse strumentale a un legittimo esercizio del potere di riesame e, dunque, alla riconsiderazione della posizione da parte della pubblica amministrazione.

14. Ciò che è, invero, oggetto di riconsiderazione è, nella sostanza, l’irretrattabilità del giudicato sulla sanzione amministrativa a carico della SIP, a titolo di concorso con il responsabile del reato per il quale sia sopraggiunto il definitivo proscioglimento, e dunque gli effetti dell’esercizio della potestà sanzionatoria, cristallizzata nel giudicato, a fronte della sopravvenuta declaratoria di insussistenza del fatto illecito, accertata in sede penale.

15. Non è implicato l’esercizio del sindacato giurisdizionale sulla legittimità dell’azione amministrativa vertendosi, invece, in tema di azione, di competenza del giudice ordinario, volta a contestare la permanente legittimità della sanzione amministrativa, comminata e riscossa, e tanto esime dall’esame della richiesta di rinvio pregiudiziale incentrata sul profilo, inconferente rispetto alla domanda azionata, dell’asserita insindacabilità, innanzi al giudice amministrativo, del rifiuto di revocare la sanzione.

16. Correttamente, pertanto, il Consiglio di Stato ha declinato la giurisdizione in favore della giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22.

17. L’assoluta novità della questione trattata giustifica la compensazione delle spese.

18. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del Giudice ordinario davanti al quale rimette le parti; spese compensate. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

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