Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26493 del 19/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/10/2018, (ud. 20/06/2018, dep. 19/10/2018), n.26493

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7949-2013 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS) in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.f. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, CARLA

D’ALOISIO, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

ENELPOWER S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato RENATO SILVESTRI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA NORD S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 8598/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/11/2012 R.G.N. 9554/2010.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1.La Corte d’appello di Roma, per quel che ancora rileva, ha ritenuto non dovuti da Enelpower i contributi di maternità relativi al 2006 e 2007.

La Corte, in particolare, ha ritenuto che la previsione di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 20 (conv. con L. n. 133 del 2008), secondo cui i datori di lavoro che corrispondono le indennità di malattia non sono tenuti a versare i relativi contributi all’assicurazione generale obbligatoria, si applicasse anche ai contributi per maternità, di talchè, avendo il legislatore previsto che i primi fossero dovuti soltanto a partire dal 1.1.2009, analoga regola doveva valere per quelli oggetto del giudizio.

2.Avverso la sentenza ricorre l’INPS, con un unico motivo. Enelpower resiste con controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

3. L’istituto denuncia violazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 20 (conv. con L. n. 133 del 2008) e 6, della L. n. 138 del 1943, art. 22, comma 2 e del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 79 e del D.P.R. n. 145 del 1965, art. 1, comma 1, per avere la Corte di merito ritenuto che la prima delle due disposizioni citate, che nell’interpretare autenticamente l’art. 6 cit. ha previsto che “i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto medesimo”, si applicasse anche ai trattamenti e ai contributi per maternità, di talchè, avendo il successivo dell’art. 20 cit., comma 2, lett. a), previsto l’obbligo per “le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto” di versare “la contribuzione per maternità” soltanto “a decorrere dal 10 gennaio 2009”, nessuna contribuzione a tale titolo poteva l’INPS richiedere per il periodo precedente.

4. il motivo è fondato.

Questa Corte ha già avuto modo di chiarire, al riguardo, che le società che, come l’odierna controricorrente, derivano la loro genesi dal processo di trasformazione dell’ENEL, sono obbligate al pagamento della contribuzione per maternità anche per il periodo anteriore all’1.1.2009, nonostante il versamento diretto del trattamento dovuto alle lavoratrici madri, non essendo estensibile a tali contributi l’esonero previsto dal D.L. n. 112 del 2008, art. 20 (conv. con L. n. 133 del 2008), con riferimento ai contributi per malattia, in favore dei datori di lavoro che abbiano corrisposto direttamente ai lavoratori la relativa indennità (cfr. Cass. n. 15394 del 2017).

A supporto di tale conclusione, invero, si è anzitutto sottolineato che l’obbligo, per tali società, di corrispondere ai propri dipendenti il trattamento di maternità discende dai contratti collettivi, e non già dal D.P.R. n. 145 del 1965, art. 1 che deve ritenersi disposizione ormai priva di efficacia diretta in quanto legata necessariamente all’esistenza dell’ente pubblico economico denominato Ente Nazionale per l’Energia Elettrica, già venuto meno a seguito della sua trasformazione in società per azioni, per effetto del D.L. n. 333 del 1992, e poi ulteriormente scomposto in più società a seguito della liberalizzazione del mercato elettrico realizzata dalla Legge Delega n. 128 del 1999 e dal successivo D.Lgs. n. 79 del 1999, resa necessaria dal rispetto degli obblighi derivanti dalla direttiva 96/92/CE.

Richiamato quindi il principio (ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte) secondo cui nessuna deroga all’ordinaria obbligatorietà del versamento dei contributi previdenziali può discendere dall’origine pubblica di tali soggetti, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione maggioritaria da parte dell’ente pubblico, si è ribadito -, sulla scorta di Cass. S.U. n. 10232 del 2003 e di Corte cost. n. 47 del 2008 – che il fondamento della previdenza sociale sta nel principio di solidarietà, di talchè il concetto di sinallagma, inteso quale equilibrio di obbligazioni corrispettive, risulta insufficiente alla rappresentazione del sistema previdenziale, accompagnandosi all’apporto contributivo delle categorie interessate il costante intervento finanziario dello Stato e quindi della solidarietà generale. E se ne è desunto che, non esistendo tra prestazioni e contributi un nesso di reciproca giustificazione causale e ben potendo dunque persistere l’obbligazione contributiva a carico del datore di lavoro anche quando per tutti o per alcuni dei lavoratori dipendenti l’ente previdenziale non sia tenuto a certe prestazioni, il rinvio ai criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria per le malattie, contenuto nella L. n. 1204 del 1971, art. 15, in tema di corresponsione dell’indennità di maternità, non consente di per sè di estendere ai contributi per la maternità l’esonero dall’obbligo contributivo previsto per i datori di lavoro tenuti a versare l’indennità di malattia.

A tali conclusioni, successivamente ribadite da Cass. nn. 23845, 24009, 25681-25685 e 25771-25773 del 2017, intende il Collegio dare continuità. Va anzitutto rimarcato che il richiamo alle statuizioni di Cass. S.U. n. 10232 del 2003, così come quelle di Corte cost. n. 47 del 2008, ha valore essenzialmente sistematico: da tali pronunce, infatti, è dato ricavare un principio di carattere generale relativo alla natura sostanzialmente impositiva della contribuzione previdenziale pubblica ed all’assenza di logiche di stretta correlazione tra obbligo contributivo e prestazione alla stessa sottese. E analogamente è a dirsi in ordine al richiamo ai precedenti di questa Corte (cfr., tra le più recenti, Cass. nn. 5 8591 del 2017 e 20818 del 2013) che hanno sancito l’assoggettamento delle società, anche se partecipate da soggetti pubblici, all’ordinario regime di pagamento dei contributi previsto per i datori di lavoro privati, salvo le eccezioni espressamente previste dalla legge. Per converso, l’individuazione delle previsioni contrattuali collettive quali fonti esclusive dell’obbligo di corresponsione dell’indennità di maternità da parte della società controricorrente assolve al compito di giustificare la persistenza di tale obbligazione a seguito del venir meno dell’efficacia precettiva del disposto del D.P.R. n. 145 del 1965, art. 1: ed è evidente che, trattandosi di obbligazione di fonte collettiva, e non più legale, il suo adempimento non può logicamente essere invocato dall’odierna controricorrente al fine di garantirsi l’esonero dal pagamento dei contributi previdenziali relativi all’indennità di maternità. Sotto questo profilo, anzi, manifestamente infondato appare il dubbio di legittimità costituzionale argomentato da parte controricorrente sul presupposto di una disparità di trattamento tra le società derivate dalla trasformazione dall’ente pubblico e quelle generatesi dillo scorporo delle prime: tale dubbio, infatti, trae origine dal presupposto, affatto infondato, che il D.P.R. n. 145 del 1965, art. 1 “i continuasse a trovare applicazione anche alle società derivanti dalla c.d. prima privatizzazione, laddove si è visto che la sua efficacia precettiva deve ritenersi venuta meno a seguito della trasformazione dell’ENEL in società per azioni. Proprio per ciò, non può trarsi dal D.L. n. 112 del 2008, art. 20, comma 2, cit., alcun indizio circa la volontà del legislatore di assoggettare le società rivenienti dal processo di trasformazione dell’ENEL al pagamento dei contributi per maternità solo a far data dal 1.1.2009, come invece ritenuto dalla sentenza impugnata: tale obbligo, infatti, doveva ritenersi immanente al sistema in ragione delle considerazioni di carattere sistematico dianzi svolte, restando naturalmente salva la facoltà del legislatore di renderlo manifesto attraverso un’apposita disposizione di legge, il nostro ordinamento ben conoscendo le disposizioni di legge meramente ricognitive di norme già esistenti (cfr. in tal senso, tra le tante, Corte cost. nn. 230 del 2016, 346 del 2010, 401 del 2007). Nè contrari argomenti possono desumersi dalla L. n. 218 del 1990, art. 3, comma 2, che, oltre i diritti quesiti, ha fatto salvi “gli effetti di leggi speciali e quelli rivenienti dalla originaria natura pubblica dell’ente di appartenenza”, giacchè tale disposizione, originariamente introdotta per i dipendenti degli enti creditizi e successivamente estesa anche ai dipendenti dell’ENEL in virtù del D.L. n. 198 del 1993 (conv. con L. n. 292 del 1993), si riferisce espressamente ed esclusivamente alle situazioni giuridiche dei dipendenti degli enti pubblici oggetto di trasformazione in soggetti di diritto privato e non può in alcun modo costituire la base normativa per attribuire situazioni di vantaggio in favore dei loro datori di lavoro.

5. Va, infine, rilevato che nessun giudicato può ritenersi formatosi in ordine all’insussistenza dell’obbligo della società di pagare i contributi per maternità relativi al 2006 per tardiva iscrizione a ruolo atteso che il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25, lett. A), non preclude l’esame nel merito della fondatezza della pretesa dell’Istituto.

Questa Corte ha affermato (cfr Cass. n. 5963/2018) che “In ordine alla natura ed alla funzione della decadenza prevista dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25 all’interno del complessivo sistema di riscossione dei crediti contributivi previdenziali, questa Corte di cassazione (da ultimo vd. Cass. n. 19708 del 2017; 15211 del 2017) ha affermato, con orientamento consolidato, che: l’iscrizione a ruolo è solo uno dei meccanismi che la legge accorda all’INPS per il recupero dei crediti contributivi, ferma restando la possibilità che l’istituto agisca nelle forme ordinarie (su tale alternativa, per l’analoga posizione dell’INAIL, v. anche Cass. 6 agosto 2012 n. 14149);coerentemente, un eventuale vizio formale della cartella o il mancato rispetto del termine di decadenza previsto ai fini dell’iscrizione a ruolo comporta soltanto l’impossibilità, per l’istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fa decadere dal diritto di chiedere l’accertamento in sede giudiziaria dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito; il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25 cit. prevede in sostanza una decadenza processuale e non sostanziale e ciò è dimostrato: dal tenore testuale della norma, che parla di decadenza dall’iscrizione a ruolo del credito e non di decadenza dal diritto di credito o dalla possibilità di azionarlo nelle forme ordinarie; dall’impossibilità di estendere in via analogica una decadenza dal piano processuale anche a quello sostanziale (per principio generale le norme in tema di decadenza sono di stretta interpretazione: cfr., ad esempio, Cass. 25 maggio 2012 n. 8350); dalla non conformità all’art. 24 Cost. di un’opzione interpretativa che negasse all’istituto la possibilità di agire in giudizio nelle forme ordinarie; dalla ratio dell’introduzione del meccanismo di riscossione coattiva dei crediti previdenziali a mezzo iscrizione a ruolo, intesa a fornire all’ente un più agile strumento di realizzazione dei crediti (v. Corte cost. ord., n. 111/07), non già a renderne più difficoltosa l’esazione imponendo brevi termini di decadenza; dal rilievo che la scissione fra titolarità del credito previdenziale e titolarità della relativa azione esecutiva (quest’ultima in capo all’agente della riscossione) mal si concilierebbe con un’ipotesi di decadenza sostanziale”.

6. Per le considerazioni che precedono il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata ed il giudizio rinviato alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in parte qua e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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