Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26490 del 21/12/2016


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Cassazione civile, sez. trib., 21/12/2016, (ud. 29/09/2016, dep.21/12/2016),  n. 26490

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29947-2010 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI GRACCHI

39, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO GIUFFRE’, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCA GIUFFRE’

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

Nonchè da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente con ricorso incidentale condizionato –

contro

F.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 68/2009 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 12/11/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2016 dal Consigliere Dott. DI IASI CAMILLA;

udito per il controricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso incidentale, rigetto principale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso successivamente illustrato da memoria F.G. -medico del lavoro – ricorre nei confronti dell’Agenzia delle entrate (che resiste con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale condizionato) per la cassazione della sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di cartella di pagamento riguardante l’Irap relativa all’anno 2002, la C.T.R. del Veneto, riformando la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso del contribuente, ha confermato la cartella opposta.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Col primo motivo, deducendo violazione di legge, il ricorrente principale si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano affermato la sua assoggettabilità ad Irap ritenendo la sussistenza della autonoma organizzazione sulla base di pochi beni strumentali (auto e computer) e modeste somme erogate per prestazioni di terzi (nella specie, secondo il ricorrente, compenso al commercialista), senza considerare se i beni utilizzati e le somme erogate costituissero o meno, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio della professione.

La censura è ammissibile, posto che, a differenza di quanto mostra di ritenere l’Agenzia controricorrente, non si contesta la valutazione delle prove addotte in ordine alla sussistenza o meno dell’autonoma organizzazione, essendo incontestati i fatti (beni strumentali utilizzati ed ammontare delle somme erogate a terzi), bensì la violazione di legge in ordine alla interpretazione del concetto di autonoma organizzazione.

La censura è altresì fondata, posto che la sentenza impugnata non risulta conforme alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e di questa Corte di legittimità la quale ripetutamente, anche a sezioni unite, ha affermato che il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse, ed impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (tra le tante v. SU nn. 12111 e 12118 del 2009).

Nella sentenza impugnata infatti si afferma che qualunque forma di autorganizzazione, anche minima, integra il presupposto impositivo. In tali termini i giudici d’appello hanno riconosciuto nella specie l’assoggettabilità ad Irap del professionista pur avendo espressamente dato atto, in relazione all’anno in contestazione, di compensi a terzi per la esigua somma di 2.066,00 senza neppure porsi il problema di accertare se tale somma potesse o meno riferirsi ad una collaborazione occasionale (e ciò anche volendo prescindere dalla recente giurisprudenza di questo giudice di legittimità – v. SU n. 9451 del 2016- secondo la quale l’autonoma organizzazione non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive). I giudici d’appello inoltre hanno dato espressamente atto che i beni strumentali utilizzati dal contribuente – medico del lavoro – erano costituiti dall’autovettura “usata per recarsi a visitare i lavoratori presso le strutture sanitarie delle aziende” e “presidi elettronici” (computer?), nella medesima sentenza definiti “strumenti indispensabili per organizzare i suo lavoro di medico libero professionista”.

Il secondo motivo di ricorso, col quale si denunciano vizi di motivazione, è inammissibile, posto che i vizi denunciati non attengono all’accertamento dei fatti (pacifici) bensì alla valutazione dei medesimi in rapporto alla norma che -siccome interpretata dal giudice delle leggi e dal giudice di legittimità- richiede che si valutino ai fini dell’assoggettabilità ad Irap non tutti i beni strumentali utilizzati ma solo quelli eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio della professione secondo l’id quod plerumque accidit e non tutte le collaborazioni di terzi ma solo quelle non occasionali. E’ infine da respingere nel merito il ricorso incidentale condizionato, col quale si deduce omessa pronuncia perchè i giudici d’appello non avrebbero pronunciato sulla domanda dell’appellante di declaratoria della inammissibilità del ricorso perchè la cartella era stata emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e pertanto poteva essere impugnata solo per vizi propri mentre il difetto di autonoma organizzazione poteva essere fatto valere solo con l’istanza di rimborso.

Invero, premesso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le altre v. da ultimo Cass. n. 21968 del 2015), nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto, e prescindendo da ogni altra considerazione, la domanda sulla quale si denuncia l’omessa pronuncia non merita accoglimento posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice (v. tra le altre Cass. n. 1263 del 2014) la cartella esattoriale emessa del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, può essere impugnata, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, non solo per vizi propri ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, poichè non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto con cui la pretesa fiscale è stata esercitata nei confronti del dichiarante.

Il primo motivo del ricorso principale deve essere pertanto accolto, il secondo motivo del medesimo ricorso deve essere dichiarato inammissibile mentre il ricorso incidentale deve essere rigettato. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo del ricorso principale accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento del ricorso introduttivo. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il secondo e rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo. Condanna la soccombente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.200,00 oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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