Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2649 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/02/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 05/02/2020), n.2649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6022-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MOBIL DE SANTIS SRL, elettivamente domiciliata in ROMA VIA LIMA 31,

presso lo studio dell’avvocato SANTODONATO DAVID, rappresentata e

difesa dagli avvocati TARI LILIANA, AVANZOLINI FEDERICO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 347/2012 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata i1 12/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/11/2019 dal Consigliere Dott. MALSANO GIULIO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che con sentenza n. 347/39/12 pubblicata il 12 luglio 2012 la Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, ha accolto l’appello proposto dalla Mobil De Santis s.r.l. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina n. 274/6/11 con la quale era stato rigettato il suo ricorso avverso l’avviso di accertamento n. RC3L00073 notificato alla stessa società e con il quale era stato accertato D.L. n. 331 del 1993, ex art. 62-sexies un maggior ricavo per l’anno 2004 pari ad Euro 1.183.028,00 rispetto ad Euro 1.072.952,00 dichiarato con conseguenti maggiori imposte IVA, IRES ed IRAP per complessivi Euro 87.072,15. La Commissione tributaria regionale ha considerato che lo scostamento del ricavo considerato ai sensi dello studio di settore rispetto a quanto dichiarato non poteva considerarsi tale da costituire indizio grave, preciso e concordante in quanto non raggiungeva la soglia del 25% considerato dalla giurisprudenza di legittimità come parametro per considerare rilevante, ai fini in questione, lo scollamento stesso;

che l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi;

che la Mobil De Santis s.r.l. resiste con controricorso eccependo la nullità del ricorso perchè proposto oltre il termine, per nullità della notifica per incompetenza territoriale dell’ufficiale giudiziario di Bologna, e per violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, e chiedendo comunque il rigetto del ricorso deducendone l’infondatezza.

Considerato che il motivo di inammissibilità del ricorso perchè presentato oltre il termine è infondato. Come affermato dalla stessa controricorrente il ricorso doveva essere proposto entro sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza impugnata e quindi dal 12 luglio 2012, il termine in tal modo andava a scadere il 27 febbraio 2013, cioè dopo sei mesi più 46 giorni di sospensione feriale, per cui il ricorso è stato legittimamente notificato mediante consegna all’ufficio postale nell’ultimo giorno utile. Anche il motivo di inammissibilità relativo all’incompetenza territoriale dell’Ufficiale Giudiziario di Bologna che ha provveduto a notificare l’atto è infondato in quanto la notifica ha comunque raggiunto il suo scopo;

che con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.L. n. 331 del 1973, art. 62-sexies convertito in L. n. 427 del 1993, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare si deduce che erroneamente sarebbe stato ritenuto non grave ai sensi dell’art. 62-sexies citato, lo scostamento del reddito dichiarato rispetto a quello previsto dagli studi di settore;

che con il secondo motivo si assume insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento al richiamato insufficiente scostamento del reddito dichiarato rispetto a quanto previsto dagli studi di settore;

che i due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi. Tali motivi sono infondati. Va osservato, infatti, che – a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3, convertito nella L. n. 427 del 1993, gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi del presente decreto, art. 62-bis, (id est, D.L. n. 331 del 1993)”. La disposizione succitata autorizza, pertanto, l’Ufficio finanziario, allorchè ravvisi siffatte “gravi incongruenze”, a procedere all’accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi previste ed, in particolare, anche in presenza di una tenuta formalmente regolare della contabilità, e senza obbligo di ispezione dei luoghi, se non assolutamente necessaria (cfr. Cass. 5977/07; 8 643/07). Ed infatti, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore differisce dalla procedura di accertamento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, rispetto alla quale costituisce uno strumento alternativo disponibile per l’Amministrazione finanziaria, proprio in quanto – al contrario di questa – è del tutto indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili (Cass. 23096/12). Ebbene, tale indirizzo – al quale si ritiene di dare continuità in questa sede – è stato poi ulteriormente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno rimarcato che, in tema di accertamento tributario, la necessità che lo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli studi di settore testimoni una “grave incongruenza”, espressamente prevista dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, aggiunto dalla legge di conversione n. 427/93, ai fini dell’avvio della procedura finalizzata all’accertamento, deve ritenersi implicitamente confermata, nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, dalla L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, (Cass. S.U. 26635/09). Ed invero, tale più recente disposizione, pur richiamando direttamente l’art. 62-sexies cit., non contempla espressamente il requisito della gravità dello scostamento, proprio in quanto già previsto dalla norma precedente, limitandosi a statuire che “gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 -sexies, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con periodo d’imposta pari a dodici mesi e con le modalità di cui al presente articolo”.

In definitiva, dunque, la norma di cui alla L. n. 146 del 1998, art. 10, opera un rinvio alla precedente disposizione di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, secondo la tecnica normativa del rinvio recettizio ad una disposizione di carattere generale precedente, da parte di una norma, speciale successiva che non prevede una disciplina specifica della fattispecie da regolare. In forza di tale tipologia di rinvio, infatti, la norma, oggetto del rinvio, risulta inserita ed assorbita nella norma che lo effettua (Cass. 914/68). Sul piano strutturale, pertanto, la successiva disposizione in considerazione nel caso di specie ha recepito in toto la previsione generale di cui alla norma precedente, quanto ai presupposti in presenza dei quali è possibile il ricorso al criterio dello scostamento della dichiarazione dagli studi di settore, fornendo, per tale via, in assenza di una disciplina derogatoria specifica sul punto, una conferma della perdurante necessità che il divario tra i ricavi dichiarati dal contribuente e le risultanze degli studi dia luogo a “gravi incongruenze”. Nel caso di specie, per contro, l’Amministrazione ricorrente non deduce affatto che lo scostamento, accertato nella misura del 10,26%, sia da considerarsi grave in relazione alle risultanze dello studio di settore applicabile, ma si limita ad affermare che non si dovrebbe fare questione di percentuale dello scostamento, essendo l’accertamento induttivo legittimato dal divario in sè tra il dichiarato e le risultanze dello studio in questione, qualunque ne sia l’entità. In altri termini, la rilevanza della presunzione recata dagli studi di settore, a parere dell’Amministrazione finanziaria ricorrente, non potrebbe considerarsi limitata a scostamenti significativi, come, invece, correttamente ritenuto dal giudice di appello. Tali argomentazioni – in quanto in palese contrasto con il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento suesposto – non possono essere condivise da questa Corte. Innanzitutto, trattandosi di scostamento del 10,26 rilevato con avviso notificato il 22 dicembre 2009, va ribadito il principio di dirittienunciato da Sez. 5 -, Ordinanza n. 8854 del 29/03/2019: “In tema di accertamento basato sugli studi di settore, anche alla luce della giurisprudenza Eurounitaria, il presupposto della “grave incongruenza” di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3, (conv., con modif., dalla L. n. 427 del 1993) è necessario anche per gli avvisi di accertamento notificati dopo il 1 gennaio 2007, in quanto la L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, pur dopo le modifiche apportate dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, (in vigore dal 1 gennaio 2007), continua a fare riferimento al detto art. 62-sexies, che, pertanto, non può ritenersi implicitamente abrogato”. Inoltre va segnalato che in precedenza questa Corte ha ritenuto come scostamenti solo lievi, e quindi inidonei alla rettifica dei redditi quelli del 10 % (Cass., 2637/2019) e del 21 % (Cass., 10 novembre 2015, n. 22946), con la precisazione che la nozione di “grave incongruenza” non può essere ricavata avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse di scostamento, essendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia commerciale del contribuente destinatario dell’accertamento, oltre che del mercato e del settore di operatività. Infine va precisato che al fine di individuare divergenze significative tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore, si può anche fare riferimento al D.P.R. n. 570 del 1996, art. 2, comma 1, lett. a (“regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile, relativamente agli esercenti attività di impresa, arti e professioni”), il quale dispone: “ai medesimi fini indicati nel comma 1, le contraddizioni tra le scritture obbligatorie e i dati e gli elementi direttamente rilevati si considerano gravi e rendono altresì inattendibile la contabilità ordinaria degli esercenti attività di impresa, quando: a)i valori rilevati a seguito di ispezioni o verifiche, anche parziali…abbiano uno scostamento, rispetto a quelli indicati in contabilità, superiore al 10 per cento del valore complessivo delle voci interessate, a condizione che tale scostamento non sia riconducibile a errata applicazione dei criteri di valutazione ovvero di imputazione temporale”. Analogamente al D.P.R. n. 570 del 1996, art. 1, comma 2, lett. b), si prevede che “tali contraddizioni” si considerano “gravi” quando “non risultano indicati in alcuna delle scritture contabili o, in mancanza dell’obbligo di indicazione nelle stesse, in altra documentazione attendibile, uno o più beni strumentali…il cui valore complessivo sia superiore al 10 per cento di quello di tutti i beni strumentali utilizzati …” (Cass. n. 8854 del 29/03/2019, cit.);

che le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 5.600,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese generali ed oneri di legge; Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020

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