Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26488 del 19/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/10/2018, (ud. 05/06/2018, dep. 19/10/2018), n.26488

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 722-2013 proposto da:

B.R.F., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MENICHELLA giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3511/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 15/06/2012 R.G.N. 871/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/06/2018 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MENICHELLA GIUSEPPE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.R.F., premesso di essere proprietario di terreni ubicati in (OMISSIS) in zona montana al di sotto dei 700 metri di altitudine e di aver versato i contributi per il personale assunto dal 1998 al 2008, chiese al giudice del lavoro del Tribunale di Lucera la condanna dell’Inps alla restituzione delle somme versate per effetto della sentenza n. 370 del 1985 della Corte costituzionale che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 991 del 1952, art. 8 e del D.L. n. 942 del 1977, art. 7 nella parte in cui non prevedevano l’esenzione dal pagamento dei contributi agricoli unificati anche per i terreni compresi in territori montani ubicati ad altitudine inferiore ai 700 metri. Il giudice adito rigettò la domanda sulla base del rilievo che, per effetto della legislazione intervenuta in siffatta materia a partire dal 1 gennaio 1988, i terreni agricoli situati in zona montana non godevano più di un’esenzione totale contributiva, essendo state previste solo delle particolari riduzioni contributive.

La Corte d’appello di Bari, investita dall’impugnazione di B., ha rigettato il gravame (sentenza del 15.6.2012) dopo aver rilevato che il richiamo operato dall’appellante alla perdurante vigenza della L. n. 991 del 1952, dovuta al D.Lgs. n. 179 del 2009, non equivaleva a far ritenere vigente ogni singola disposizione dell’intera legge, posto che la specifica norma di cui alla L. n. 991 del 1952, art. 8 sulla quale era basata la richiesta di esenzione contributiva, era da considerare abrogata, nella parte in cui concedeva ai territori montani l’esenzione totale dai contributi unificati in agricoltura, per incompatibilità sopravvenuta con la normativa successiva di settore che aveva riformulato interamente la materia in questione.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso B.R.F. con un solo motivo, illustrato da memoria.

Rimane intimato l’Inps.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con un solo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 15 disp. gen. in connessione con la L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8, del D.L. n. 942 del 1977, art. 7 convertito in L. n. 41 del 1978 e della L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 9 e successive modificazioni ed integrazioni, nonchè il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

Lamenta il ricorrente che se la Corte d’appello avesse considerato che la norma invocata, vale a dire la L. n. 991 del 1952, art. 8 è tuttora vigente, avrebbe dovuto riconoscere la fondatezza della domanda, mentre la norma indicata dall’Inps, cioè la L. n. 67 del 1988, art. 9 al fine di dimostrare una sorta di abrogazione tacita del citato L. n. 991 del 1952, art. 8 regolamenta una fattispecie diversa da quella oggetto di causa.

Il ricorso è infondato.

Invero, questa Corte ha già avuto occasione di esprimersi in merito alla presente questione con la sentenza n. 19420 del 22.8.2013, alla quale si intende dare continuità, in cui ha statuito quanto segue: “In tema di agevolazioni e benefici contributivi previsti per le imprese e i datori di lavoro aventi sede ed operanti nei comuni montani, la L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8 – già implicitamente abrogato per la parte relativa alle agevolazioni fiscali prima dal D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 58 e 68 e, poi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 9 e non più richiamato dal legislatore, per quel che riguarda i benefici contributivi in favore delle zone montane, a partire dalla L. 11 marzo 1988, n. 67, che ha fatto riferimento solo alla definizione di territori montani contenuta nel D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9 – deve considerarsi implicitamente abrogato, tanto più che la previsione di un regime generalizzato di totale esenzione contributiva è stato abbandonato dal legislatore a partire dalla citata L. n. 67 del 1988. Ne consegue che, in conformità al D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1, comma 3, lett. d), il suddetto art. 8 non poteva essere incluso, atteso il carattere meramente ricognitivo dell’intervento legislativo, fra le norme “salvate” dal D.Lgs. n. 179 e la ricomprensione nell’Allegato 1 voce n. 1266 della L. n. 991 del 1952 tra le disposizioni specificamente indicate da “mantenere in vigore” si deve considerare “tamquam non esset” sulla base di una interpretazione rispettosa dell’art. 15 preleggi e costituzionalmente orientata, nel senso della coerenza e ragionevolezza dell’ordinamento (art. 3 Cost.), del rispetto dei principi e criteri direttivi della legge delega (art. 76 Cost.), e alla luce anche dell’art. 44 Cost., comma 2″.

In effetti, per quel che concerne la questione dell’efficacia del D.Lgs. n. 179 del 2009 nella parte in cui ha operato il “salvataggio” della L. n. 991 del 1952, art. 8, nella citata sentenza di questa Corte si è precisato che, come affermato dalla Corte costituzionale, il D.Lgs. n. 179 del 2009, proprio in ragione della sua funzione meramente ricognitiva appare sprovvisto di una propria e autonoma forza precettiva o, se si preferisce, di quel carattere innovativo che si suole considerare proprio degli atti normativi: non è dubbio, infatti, che, nell’individuare le disposizioni da mantenere in vigore, esso non ridetermini nè in alcun modo corregga le relative discipline, limitandosi a confermare, peraltro indirettamente – attraverso, cioè, la mera individuazione di atti da “salvare” -, la persistente e immutata loro efficacia”. Ciò significa che con l’entrata in vigore, il 15 dicembre 2009, del D.Lgs. n. 179 del 2009, non si è determinata la “reintroduzione” o la “reviviscenza” nell’ordinamento delle norme “salvate”, ma si è semplicemente “consentito di vederne confermata la vigenza, sull’ovvio presupposto che esso non l’avesse perduta e che perciò, altrettanto evidentemente, non avesse necessità di riacquistarla”. Tale perdita di vigenza, dal testo della relativa delega (L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 14, commi 14 e seguenti, quale risultante dalla sostituzione ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 4, comma 1, lett. a)), si desume che possa essere rappresentata anche dalla tacita o implicita abrogazione ovvero dal trattarsi di norme “comunque obsolete” (Corte cost. sentenza n. 346 del 2010 e nello stesso senso, sentenza n. 80 del 2012).

Inoltre, nel D.Lgs. n. 179 cit., art. 1, comma 3, lett. d, si precisa che “permanenza in vigore” deve essere stabilita anche ai sensi dell’art. 15 preleggi. Tale ultima disposizione, com’è noto, disciplina l’abrogazione delle leggi, espressa o tacita “per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perchè la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”. Si è, quindi, ribadito che dall’evoluzione normativa si desume che la L. n. 991 del 1952 non può che rientrare tra le disposizioni tacitamente o implicitamente abrogate ovvero tra le disposizioni che, al momento dell’emanazione del D.Lgs. n. 179 del 2009, avevano esaurito la loro funzione o erano comunque obsolete.

A tale conclusione conducono numerosi elementi, desumibili dal riportato excursus normativo:

a) la L. n. 991 del 1952, art. 8, aveva un duplice contenuto perchè per le zone montane prevedeva sia agevolazioni fiscali sia, per la prima volta, l’esenzione dal pagamento dei contributi agricoli unificati, tuttavia, mentre per le agevolazioni fiscali (attraverso il suddetto richiamo al D.Lgs.C.P.S. n. 12 del 1947 e combinandosi con la stessa L. n. 991 cit., art. 1) adottava un criterio di identificazione dei territori montani non legato soltanto all’altimetria, per l’esenzione contributiva adottò, invece, il rigido criterio della applicabilità ai soli “terreni situati a quota non inferiore ai 700 metri s.l.m.”;

b) il D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 artt. 58 e 68 hanno previsto una nuova normativa, per quanto riguarda le esenzioni fiscali dei terreni montani e l’imposta sul reddito dominicale dei terreni, diversa da quella dettata dalla L. n. 991 del 1952, art. 8, così tacitamente abrogando il suddetto art. 8, per la parte relativa alle agevolazioni fiscali ivi contemplate (come affermato da Cass. 12 novembre 1977, n. 4909);

c) sulla parte “residua” dell’art. 8 è intervenuta la Corte costituzionale, con la sentenza n. 370 del 1985, dichiarandone l’illegittimità (unitamente a quella del D.L. 23 dicembre 1977, n. 942 cit., artt. 7 e 8) per inadeguatezza dell’adozione del solo criterio altimetrico per la determinazione del regime contributivo da applicare nelle zone montane;

d) la L. 3 dicembre 1971, n. 1102, istituì le Comunità montane, adottando criteri identici a quelli previsti in precedenza per la qualificazione dei territori montani e stabilendo (art. 12, comma 5) che “le agevolazioni fiscali di cui alla L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 8, sono estese all’intero territorio montano”;

e) intanto, ai fini fiscali, una nuova definizione di territori montani comprensiva e più ampia delle precedenti veniva dettata dal D.P.R. 29 settembre, n. 601, art. 9;

f) a partire dalla L. 11 marzo 1988, n. 67, art. 9, ai fini delle agevolazioni contributive – normalmente parziali – in favore dei datori di lavoro agricolo operanti nei territori montani si è generalmente fatto riferimento al D.P.R. n. 601 del 1973, suddetto art. 9;

g) la L. n. 142 del 1990, artt. 28 e 29 successivamente abrogati dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, abrogarono, fra l’altro: a) la L. 25 luglio 1952, n. 991, art. 1, come sostituito dalla L. 30 luglio 1957, n. 657, art. unico (che prevedeva il potere di classificazione dei territori montani della Commissione censuaria nazionale operante presso il Ministero delle Finanze) e la citata L. n. 991 del 1952, art. 14, comma 2; b) la L. 3 dicembre 1971, n. 1102, artt. 3, 4, 5 e 7;

h) la L. 31 gennaio 1994, n. 97 (nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla L. 25 dicembre 1995, n. 213, art. 1) ha previsto un esonero previdenziale totale per le assunzioni a tempo parziale da parte delle imprese e dei datori di lavoro “aventi sedi ed operanti nei comuni montani”, da intendere come “comuni facenti parte di comunità montane” se ridelimitate ovvero “comuni interamente montani classificati tali ai sensi della L. 3 dicembre 1971, n. 1102, e successive modificazioni” in mancanza della ridelimitazione;

i) tale ultimo richiamo, contenuto nella L. n. 97 cit., alla L. n. 1102 cit. non può essere inteso come un indiretto rinvio alla definizione di terreni montani contenuta nella L. n. 991 del 1952 in quanto, nella L. n. 1102 cit., il richiamo a quest’ultima definizione era contemplato dall’art. 3, già abrogato, insieme con la L. n. 1102 cit., artt. 4, 5 e 7 dalla L. n. 142 del 1990; del resto anche Cass. 17 luglio 2007, n. 15907 ha sottolineato come la L. n. 142 del 1990 abbia espressamente abrogato le “precedenti disposizioni della normativa del 1952 e 1971 concernenti la individuazione e la classificazione dei comuni montani”.

Ne deriva che l’art. 8 in argomento – già implicitamente abrogato per la parte relativa alle agevolazioni fiscali prima dal D.P.R. n. 645 del 1958, art. 58 e 68 e poi dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9 – colpito, per la parte relativa ai benefici contributivi, dalla sentenza di accoglimento della Corte costituzionale n. 370 del 1985, coinvolto sia pure indirettamente nell’abrogazione della L. n. 1102 del 1971, art. 3 ad opera della L. n. 142 del 1990, art. 29, non più richiamato dal legislatore, per quel che riguarda i benefici contributivi in favore delle zone montane, a partire dalla L. n. 67 del 1988 (essendosi fatto normalmente riferimento alla definizione di territori montani contenuta nel D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9), non può che considerarsi implicitamente abrogato, tanto più che esso prevede un regime di totale esenzione contributiva che – come criterio generalizzato da applicare ai territori montani – risulta essere stato abbandonato dal legislatore, a partire dalla L. n. 67 del 1988 cit.. Di ciò si ha conferma anche nella L. 31 gennaio 1994, 97, art. 18, che ha previsto – con una norma speciale – una ipotesi di esonero previdenziale per le imprese e i datori di lavoro aventi sedi ed operanti nei comuni montani, in caso di assunzioni di personale a tempo parziale. Tale norma è stata emanata pochi giorni dopo la L. n. 537 del 1993, art. 11, comma 27, con il quale è stata, invece, rideterminata la quota di sgravio contributivo spettante ai datori di lavoro suindicati, con riferimento ai lavoratori dipendenti assunti a tempo indeterminato o determinato.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Non va adottata alcuna statuizione sulle spese dal momento che l’Inps rimasto solo intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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