Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26487 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/11/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 20/11/2020), n.26487

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7099/2012 R.G. proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in Roma, via Roberto

Scott n. 62, presso lo studio legale dell’Avv. Enrico Polverini,

rappresentato e difeso dall’Avv. Pierluigi Corradini giusta procura

speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 219/2/2011 della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, depositata in data 20 settembre 2011;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2020 dal Consigliere Dott. Grazia Corradini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.G., esercente la attività di recupero e vendita di rottami ferrosi ed altri materiali con sede fissa in Civitavecchia, impugnò l’avviso di accertamento con cui la Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Roma 1 – a seguito di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza nella sede del contribuente, compendiata in un processo verbale di constatazione, attraverso la quale era stato reperito un “brogliaccio” manoscritto che indicava dettagliatamente “il materiale in più” acquistato da alcune ditte con i ricavi realizzati che non trovavano riscontro nelle fatture di vendita, dal che i verificatori avevano ritenuto costituire merce acquistata e venduta “in nero”, in assenza di qualsiasi giustificazione da parte del B. – aveva rettificato il reddito di impresa per l’anno 2004, ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, mediante una ricostruzione dei corrispettivi ricevuti sulla base dei documenti extracontabili rinvenuti in sede di verifica.

Con il ricorso il B. dedusse, per quanto ancora interessa, la illegittimità della pretesa fiscale: per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, per vizio di motivazione dell’atto impugnato che si era limitato a recepire il pvc senza specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificavano il ricorso al metodo induttivo; per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, poichè, non essendo stata contestata la regolarità dell’impianto amministrativo -contabile, l’accertamento si basava su presunzioni prive dei requisiti di cui all’art. 2729 c.p.c., quale quella di acquisti di merce in nero, mentre invece si trattava di “rottami” incamerati a costo zero a fronte dei quali le vendite erano state regolarmente fatturate; per violazione dell’art. 2697 c.c. poichè spettava all’Ufficio accertatore l’onere della prova del proprio operato; per infondatezza ed illegittimità del metodo adottato per la ricostruzione dei ricavi poichè le risultanze del brogliaccio erano prive di riscontri e costituivano mere congetture.

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza n. 536/52/2009, rigettò il ricorso e compensò fra le parti le spese ritenendo che la motivazione dell’accertamento, con riguardo al pvc già conosciuto dalla parte, fosse pienamente legittima e rispettosa del diritto di difesa del contribuente e che la rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti fosse pienamente consentita in caso di rinvenimento di documentazione extracontabile, quali i brogliacci rinvenuti nella specie nella sede lavorativa, che integravano piena prova di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale con specifico riguardo alle quantità di materiali indicati sia nelle fatture di acquisto che in quelle di vendita, il che imponeva al contribuente l’onere di fornire spiegazioni attendibili circa i dati rinvenuti nella contabilità “in nero” e di fornire la prova contraria, cosa non avvenuta nel caso in esame poichè il contribuente non era riuscito a spiegare le annotazioni del brogliaccio che erano estremamente specifiche in relazione agli acquisti ed alle vendite “in nero” e tanto meno a provare le sue generiche contestazioni.

Presentò appello il contribuente riproponendo le questioni prospettate in primo grado con riguardo alla assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, alla violazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 ed alla infondatezza ed illegittimità del metodo adottato per la ricostruzione dei ricavi.

La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza n. 219/2/2011, depositata in data 20.9.2011, rigettò l’appello e condannò l’appellante al pagamento delle spese di lite, rilevando che la motivazione dell’accertamento era sufficiente ed aveva consentito al contribuente di comprendere il contenuto e le ragioni della pretesa impositiva e di approntare la propria difesa, sulla base anche del pvc cui faceva rinvio l’accertamento e che era stato consegnato personalmente alla parte il 9.12.2005 e che, nel contempo, la rettifica ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, era correttamente fondata sulla base della documentazione extracontabile reperita in sede di accesso, quale documento provvisto dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, attraverso cui era stato possibile l’accertamento puntuale del maggior reddito, mentre il contribuente, il quale avrebbe avuto l’onere di offrire la prova contraria, aveva svolto mere considerazioni prive di pregio e di valore probatorio in senso tecnico.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione il contribuente con atto notificato in data 8 marzo 2012, affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso la Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, per avere la sentenza di appello ritenuto che il richiamo al verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza potesse integrare la motivazione dell’avviso di accertamento mentre invece doveva essere autosufficiente e contenere le ragioni di fatto e di diritto che giustificavano l’atto impositivo.

2. Con il secondo motivo si duole, sempre sotto il profilo della violazione di legge, di violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, in relazione all’art. 2729 c.c. poichè solo in presenza di incompletezza, falsità ed inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione era possibile addivenire ad un accertamento induttivo, ricorrendo a presunzioni gravi, precise e concordanti, il che non sussisteva nella specie poichè non si poteva pretendere la “precisione” dei pesi in materiali ferrosi le cui differenze erano giustificate dalle normali e plausibili modalità di lavorazione, oltretutto in presenza di una contabilità corretta che escludeva la possibilità di ricorrere ad un accertamento di natura induttiva.

3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 59 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 61, poichè solo la irregolare tenuta della contabilità faceva venire meno la presunzione della sua attendibilità, per cui sarebbe spettato all’Ufficio provare le ragioni per le quali aveva ritenuto di potere procedere ad accertamento induttivo, mentre invece nessuna prova era stata offerta, pretendendo erroneamente che fosse il contribuente a dovere offrire la prova contraria.

4. Infine, con il quarto motivo allega, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, avendo la sentenza impugnata “liquidato” con poche battute un ricorso iniziale con cui erano stati affrontati argomenti di fatto e di diritto di notevole spessore tecnico, senza spiegare in virtù di quale processo logico e giuridico i giudici di appello erano pervenuti a quella decisione.

5. Il ricorso è infondato.

6. Quanto al primo motivo, la controricorrente oppone che il motivo del ricorso iniziale concernente la omessa motivazione dell’accertamento sarebbe stato abbandonato con l’atto di appello perchè non riproposto ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, però ciò non appare condivisibile poichè con il secondo motivo di appello (integralmente trascritto nel ricorso per cassazione), in realtà, l’appellante aveva indicato anche la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e poi, nell’ultima parte di tale motivo, aveva sostenuto che “non avendo l’Ufficio efficacemente dimostrato i fatti e le circostanze che giustifichino il ricorso a metodi induttivi sintetici deve ritenersi ovviamente che l’avviso di accertamento impugnato con il ricorso è nullo per carenza di motivazione del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42”.

6.2. Il preteso vizio è peraltro insussistente poichè, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, quello per cui, in tema di atto impositivo, ai fini dell’ammissibile motivazione “per relationem” è sufficiente il rinvio dell’avviso di accertamento al p.v.c. notificato al contribuente (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29002 del 05/12/2017 Rv. 646527 – 01; N. 24254 del 2015 Rv. 637592 – 01, N. 2907 del 2010 Rv. 611851 – 01, N. 25946 del 2015 Rv. 638126 – 01, N. 9323 del 2017 Rv. 643954 – 01) e comunque nella specie l’accertamento, riprodotto e trascritto in parte a pagg. 1 e 2 della sentenza di primo grado trascritta nel ricorso per cassazione (di cui quella di appello è confermativa, andando quindi a saldarsi con quella di primo grado), dimostra che esso conteneva non solo una motivazione per relationem, bensì una motivazione in fatto ed in diritto pur in adesione alle risultanze del pvc.

7. Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente poichè con essi si deduce, sotto il profilo della violazione di legge, la violazione dei presupposti legittimanti l’accertamento induttivo in presenza di contabilità formalmente regolare e di elementi insufficienti a fondarlo, nonchè violazione dell’onere della prova per avere la sentenza impugnata posto a carico del contribuente la prova delle ragioni su cui doveva essere fondato l’accertamento che invece avrebbe dovuto fornire l’Ufficio.

7.1. In proposito il ricorrente invoca l’applicazione di erronei principi giuridici poichè, al contrario di quanto sostenuto dallo stesso, la presenza di una contabilità formalmente regolare non è in alcun modo ostativa all’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), quando la stessa contabilità sia sostanzialmente inattendibile, in particolare in presenza del reperimento di documenti extracontabili dimostrativi di attività “in nero”, come nel caso in esame in cui la sentenza impugnata ha specificamente indicato che il reperimento in sede di accesso del brogliaccio aveva consentito l’accertamento preciso e dettagliato del maggior reddito sulla base degli scostamenti con le risultanze delle scritture contabili della ditta verificata, quale valido documento provvisto dei requisiti di precisione, concordanza e gravità.

7.2. La giurisprudenza consolidata di questa Corte è infatti nel senso che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali e da informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, perchè nella nozione di scritture contabili, disciplinate dagli artt. 2709 e ss. c.c., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 27622 del 30/10/2018 Rv. 651078 – 02; Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12680 del 23/05/2018 Rv. 648775 – 01).

7.3. Ed anche con riguardo alla pretesa violazione dell’onere della prova, la sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio consolidato, affermato proprio con riferimento al reperimento della “contabilità in nero”, per cui essa, costituendo, anche da sola, un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comporta l’inversione dell’onere della prova, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4080 del 27/02/2015 Rv. 634980 – 01; Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 27622 del 30/10/2018 Rv. 651078 – 02; Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12680 del 23/05/2018 Rv. 648775 – 01). La sentenza impugnata ha quindi fatto corretto uso della regola dell’onere della prova, con riguardo alla tipologia di accertamento basato sul rinvenimento di documentazione extracontabile dimostrativa di maggiori ricavi “in nero”, avendo ritenuto che tale documentazione, in considerazione della sua precisione e delle annotazioni altamente dimostrative, in essa inserite, quale quella “materiale in più”, accompagnata dalla data di trasporto e dai totali realizzati, che non trovavano riscontro nelle fatture di vendita, consentisse l’accertamento analitico – induttivo (e non induttivo sintetico, come sostiene il ricorrente in alcune parti del ricorso) basato sui precisi recuperi delle merci che risultavano conferite e successivamente vendute “in nero”; il che poneva l’onere della prova contraria al contribuente, il quale non la aveva fornita, essendosi limitato a generiche proteste prive di alcun riscontro concreto.

7.4. Non vi è stata quindi alcuna violazione del criterio di riparto dell’onere della prova, mentre la sentenza impugnata, dopo avere affermato la corretta regola iuris su tale punto, ha operato una puntuale valutazione, del tutto condivisibile, del materiale probatorio, che non può essere contestata nel giudizio di legittimità.

8. Il quarto motivo di ricorso, che riguarda un generico vizio di insufficienza della motivazione su punti della motivazione neppure indicati, essendosi il ricorrente limitato a sostenere che mancherebbe la indicazione del processo logico e giuridico attraverso il quale si sarebbe giunti alla decisione, è infine inammissibile, poichè, pur tenendo conto che si tratta della formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 precedente alla modifica introdotta per effetto del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla L. n. 143 del 2012, peraltro il vizio di motivazione deve riguardare un fatto decisivo per il giudizio, nel senso di un fatto inteso in senso storico – naturalistico e deve consistere in motivazione inesistente o quanto meno obiettivamente carente in ordine all”‘iter” logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata. Nella specie invece non viene dedotto un difetto di motivazione su un fatto naturalistico decisivo, bensì soltanto, genericamente, che mancherebbe completamente la indicazione del ragionamento che avrebbe portato il giudice alla decisione, il che non è poichè la sentenza impugnata ha spiegato sia che la contabilità “in nero” giustificava la presunzione di maggiori ricavi, rappresentando un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, legittimante di per sè, a prescindere da ogni altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo, incombendo in tal caso al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli, sia che la regolarità formale della contabilità del contribuente non costituiva elemento tale da escludere la legittimità dell’accertamento.

8.1. Con tale motivazione non si confronta il ricorrente il quale adduce, inammissibilmente, la mancanza di motivazione della sentenza impugnata solo perchè non si fa carico del contenuto del provvedimento impugnato.

9. In conclusione, il ricorso deve rigettato con condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, anche delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità. Non sussistono invece, ratione temporis, trattandosi di ricorso notificato l’8.3.2012, i presupposti per i raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

 

 

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