Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26486 del 20/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/11/2020, (ud. 18/09/2020, dep. 20/11/2020), n.26486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4977/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.F., P.G. e N.G.M., quali eredi di

P.W.C., elettivamente domiciliate in Roma, via Tacito

n. 90 presso lo studio dell’Avv. Giovanni Vaccaro, rappresentate e

difese dall’Avv. Antonino Minacapilli del foro di Enna giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 44/21/2011 della Commissione Tributaria

Regionale della Sicilia, depositata in data 10 gennaio 2011;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre

2020 dal Consigliere Dott. Grazia Corradini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione Tributaria Provinciale di Enna, con sentenza n. 314/1/2007 accolse parzialmente il ricorso proposto da P.W.C., cui erano subentrati gli eredi in corso di causa, contro l’accertamento emesso per l’anno di imposta 2000, relativo ad IRPEF, IVA ed IRAP – con cui, a seguito di verifica fiscale della Guardia di Finanza, conclusa il 28.11.2000, relativa alle annualità 1995 e successive, era stato rettificato il reddito di impresa per l’anno 2000, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, mediante recupero di costi ed IVA e di maggiori ricavi derivanti dalla applicazione della media ponderata su un campione altamente significativo – confermando l’accertamento quanto ai costi ed all’IVA e riducendo i ricavi in conseguenza della percentuale di ricarico del 25%, ritenuta applicabile in base al fatto notorio.

Investita dall’appello principale, limitatamente al recupero dei ricavi, degli eredi del contribuente, che avevano dedotto la correttezza della dichiarazione ed, in particolare, insistito comunque per la applicazione della percentuale di ricarico del 22% applicata dall’Ufficio in sede di accertamento con adesione per la annualità 1995, di cui il contribuente aveva chiesto la applicazione in sede conciliativa anche per l’anno 2000 fin dalla sede del contraddittorio, anche perchè i ricavi dichiarati erano congrui e coerenti con quelli dell’anno precedente e risultavano adeguati agli studi di settore, nonchè dall’appello incidentale dell’Ufficio che aveva lamentato la riduzione arbitraria della percentuale di ricarico in mancanza di qualsiasi elemento di prova della percentuale di sconto asseritamente praticata dal contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, con sentenza n. 44/21/2011, depositata in data 10.1.2011, accolse parzialmente l’appello del contribuente determinando la percentuale di ricarico nella misura del 22%, rigettò l’appello incidentale dell’Ufficio e compensò fra la parti le spese.

La Commissione Tributaria Regionale ritenne che la determinazione della percentuale di ricarico nella misura del 25%, da parte del primo giudice, sulla base di un non meglio specificato fatto notorio, fosse arbitraria, mentre invece, tenuto conto del fatto che la dichiarazione del contribuente per l’anno di imposta in considerazione presentava dati omogenei con quelli del precedente anno 1995, già definito fra le parti, in assenza di altri e diversi elementi, considerato pure che entrambi gli accertamenti erano basati sullo stesso processo verbale di accertamento nel quale, per il 2000, si faceva, fra l’altro, riferimento ad una annualità ancora in corso, ritenne corretta la percentuale di ricarico del 22% non essendovi elementi per discostarsi da essa.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con atto notificato il 14-17 febbraio 2012, affidato a due motivi.

Resistono con controricorso gli eredi del contribuente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Agenzia delle Entrate premette che il processo tributario è del tipo di impugnazione – merito, per cui la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto esaminare il merito del rapporto e provvedere a rivalutare i dati offerti in causa ponendo in essere un nuovo procedimento logico – giuridico che superasse quello dell’Ufficio, dando specifica spiegazione delle ragioni della nuova quantificazione e non invece limitarsi ad un apodittico riferimento alla percentuale di ricarico applicata in precedenza dall’Ufficio, in relazione ad una annualità di imposta diversa da quella in esame.

2. Con il primo motivo di ricorso deduce quindi violazione e falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè la modifica, da parte della sentenza di appello, della percentuale di ricarico determinata secondo le risultanze analitiche emerse in sede di verifica, sulla base della media ponderata fra prezzi di acquisto e prezzi di vendita delle varie quantità di prodotti commercializzati dal contribuente (ben 8225 articoli commercializzati) senza che il contribuente avesse mosso contestazioni, concretizzava violazione delle disposizioni indicate in spregio oltretutto della regola per cui ogni periodo di imposta ha un regime autonomo e le determinazioni della Amministrazione Finanziaria con riferimento ad uno specifico periodo di imposta non possono avere alcuna incidenza sulle determinazioni effettuate in relazione ad altri lassi di tempo oggetto di accertamento.

3. Con il secondo motivo si duole, poi, di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la sentenza impugnata indicato da dove aveva tratto il proprio convincimento in merito alla congruità della percentuale di ricarico del 22%, così rendendo impossibile il controllo sulla esattezza e logicità del ragionamento.

4. La difesa del contribuente oppone in via preliminare la inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c. per essersi la sentenza impugnata conformata alla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, in assenza di motivi di ricorso idonei a mutare l’orientamento della Corte e comunque anche la inammissibilità dei motivi di ricorso poichè basati su valutazioni di merito che non potevano trovare ingresso nel giudizio di cassazione.

5. La tesi di inammissibilità ex sè del ricorso, prospettata dal controricorrente non appare condivisibile poichè l’Agenzia delle Entrate, facendo leva sulla natura di giurisdizione – merito del processo tributario, non si discosta da un orientamento pregresso di questa Corte che da numerosi decenni ha qualificato tale la natura della giurisdizione tributaria ((v. Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 5001 del 02/03/2018 Rv. 648213 – 01), mentre richiama un profilo a suo avviso non valorizzato dal giudice di appello. Sono invece inammissibili i singoli motivi di ricorso.

6. Quanto al primo motivo, è ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio per cui, in tema di accertamento analitico induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all’esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, qualora se ne voglia discostare, l’onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l’applicazione di percentuali diverse (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27330 del 29/12/2016 Rv. 642387 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 15038 del 02/07/2014 Rv. 631536 – 01). Più in generale, peraltro, con riguardo alla determinazione del volume di affari del contribuente, una volta stabilita con esattezza per un determinato esercizio la percentuale di incidenza di una determinata materia prima sul totale degli acquisti, tale percentuale può essere utilizzata dall’Ufficio anche per la determinazione del volume d’affari relativo a diversi anni d’imposta, se la natura dell’attività imprenditoriale nel corso degli anni non sia cambiata (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1647 del 27/01/2010 Rv. 611199 – 01), ma pure dal giudice nel giudizio qualora sia in contestazione, come nel caso in esame, la percentuale di recupero applicata dall’Ufficio con l’accertamento.

6.1. Di fronte a tale orientamento ampiamentè consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che è stato fatto proprio dalla sentenza impugnata, la quale ha ritenuto di applicare la percentuale di ricarico ormai definita con l’accordo dello stesso Ufficio per una annualità pregressa, successivamente alla quale la gestione dell’attività imprenditoriale non era stata in alcun modo modificata, l’Ufficio oppone, per giustificare la possibilità di modifica dell’orientamento consolidato, l’obbligo per il giudice di tributario di decidere comunque sul rapporto e la autonomia delle annualità di imposta, ma entrambe tali argomentazioni non sono pertinenti. Il giudice di appello ha infatti deciso sul rapporto ed ha indicato il criterio al quale si è attenuto, mentre la autonomia delle singole annualità di imposta non è influente nel caso in esame in cui le annualità di imposta restano ovviamente autonome ma si è trattato di applicare la percentuale di ricarico che, in base all’esperienza, non costituisce una variabile occasionale bensì è destinata a durare nel tempo, in assenza di modificazioni della organizzazione aziendale che la Agenzia delle Entrate non ha neppure adombrato.

6.2. Ciò posto, poichè, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre, viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, fra l’altro sottratta al sindacato di legittimità e la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171 – 01; Sez. 1 -, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017 Rv. 645538 – 03), occorre rilevare che nella specie non è prospettabile alcuna violazione delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, poichè esse disciplinano le condizioni che legittimano la tipologia di accertamento (che nella specie non è in discussione) ma poi demandano all’Ufficio la determinazione del criterio concreto attraverso cui ricostruire i ricavi presunti con il solo limite della congruità della motivazione. Per cui non può essere censurato sotto il profilo della violazione di legge il criterio seguito dall’Ufficio e poi della Commissione tributaria in sede di impugnazione, qualora correttamente motivato, come nel caso in esame in cui la CTR ha applicato un criterio ritenuto corretto dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, quale quello della omogeneità degli elementi di imposta in considerazione (2000) rispetto a quelli che avevano portato all’accertamento ormai definitivo della percentuale di ricarico del 22% per la annualità pregressa.

7. Quanto al secondo motivo di ricorso, non è poi vero che sia mancata la motivazione del convincimento del giudizio nella determinazione in concreto della percentuale di ricarico poichè la sentenza di appello ha specificamente indicato che si trattava di una percentuale media e che era fra l’altro la stessa percentuale già definita per volontà dell’Ufficio per altra pregressa annualità di imposta per la quale sussistevano le stesse modalità di conduzione aziendale.

7.1. Pur tenendo conto che si tratta della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, precedente alla modifica del 2012, peraltro il vizio di motivazione deve riguardare un fatto decisivo per il giudizio, nel senso di un fatto inteso in senso storico – naturalistico e deve consistere in motivazione inesistente o quanto meno obiettivamente carente in ordine all'”iter” logico-argomentativo che ha portato il giudice a regolare la vicenda al suo esame in base alla regola concretamente applicata.

Nella specie invece la motivazione è logica e coerente e giustifica i motivi per cui, nell’ambito dei poteri di giudice del rapporto, la CTR, una volta ritenuta del tutto incongrua la percentuale di ricarico originariamente determinata nel 40,12% (a fronte della percentuale dichiarata del 18%) ha ritenuto congrua quella già ridotta dell’Ufficio per l’anno pregresso in relazione ad altro accertamento definitivo.

7.2. La ricorrente trascura quindi l’articolata motivazione resa sul punto dal giudice d’appello – non cogliendone, apparentemente, la portata complessiva – e comunque, sotto la veste formale di una censura di carente o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, fra l’altro già prima facie completamente destituita di fondamento posto che il ricorso trascrive alcuni stralci della motivazione del tutto eloquenti in merito alle ragioni per cui il giudice di appello ha determinato la percentuale di ricarico nel 22%, finisce per invocare una rivalutazione dei fatti sulla cui base determinare la percentuale di ricarico, che non è consentita nel giudizio di legittimità.

8. In conclusione, i motivi di ricorso devono essere dichiarati inammissibili.

9. Ferma restando la compensazione delle spese del giudizio di merito, già disposta dal giudice di appello, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente. Non sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, essendo stato il ricorso proposto da una Amministrazione pubblica che è esonerata dal pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.600,00 oltre accessori di legge e 15% a titolo di spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2020

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