Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26486 del 19/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/10/2018, (ud. 24/05/2018, dep. 19/10/2018), n.26486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13002-2013 proposto da:

FIMAT CONFEZIONI DI G.M. & C S.N.C., C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO presso lo studio

dell’avvocato BRUNO TAVERNITI, rappresentata e difesa dall’avvocato

FIORENZO CIERI giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO

MARITATO giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 100/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 04/02/2013 R.G.N. 687/2012.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Fimat Confezioni di G.M. e c s.n.c. ha proposto opposizione avverso la cartella esattoriale con cui le era stato intimato il pagamento di importi a titolo di contribuzioni previdenziali omesse e sul presupposto che le ore di lavoro e le retribuzioni dei dipendenti denunciate all’ente previdenziale non coincidessero con quelle reali;

il Tribunale di Chieti respingeva l’opposizione, dichiarando dovute le somme pretese ed argomentando sulle difese di Fimat nel senso che non erano rinvenibili “nell’ambito del fascicolo d’ufficio” i documenti cui la società opponente aveva fatto riferimento per dimostrare le effettive presenze risultanti dal relativo registro e l’ammontare delle retribuzioni di cui alle buste paga;

la sentenza è stata appellata da Fimat, la quale sosteneva l’invalidità del procedimento di primo grado, per essere stato deciso nonostante lo smarrimento del suo fascicolo di parte, ragione che stava alla base della mancata disamina dei documenti da essa prodotti e destinati a provare i propri assunti;

la Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza n. 100/2013, ha dichiarato l’appello inammissibile, rimarcando in prima battuta come il Tribunale non avesse sostenuto che il fascicolo di parte fosse andato smarrito, bensì che in esso non vi erano i documenti cui la società faceva riferimento, con affermazione che avrebbe dovuto essere contestata, secondo la Corte, attraverso l’indicazione di quali erano i documenti presenti nel proprio fascicolo e da cui potevano rilevarsi le ore di effettiva presenza dei lavoratori e le retribuzioni dai medesimi percepite;

a ciò la Corte aggiungeva che il registro non vidimato su cui si era formato il convincimento degli ispettori dell’ente non poteva essere ritenuto coincidere con il brogliaccio cui il teste F., consulente aziendale, aveva fatto riferimento quale documento formato al fine di effettuare uno studio di ottimizzazione sul personale impiegato, sicchè erano infondate le censure dell’appellante volte a ravvisare nell’utilizzazione di quel documento uno degli errori commessi dagli ispettori;

la Corte confermava altresì la pronuncia sfavorevole alla ricorrente in ordine alla prescrizione del credito, osservando come nulla fosse stato addotto a confutazione dei rilievi del Tribunale in merito al fatto che la notificazione del verbale di accertamento avesse comportato l’interruzione del termine;

infine veniva respinta anche l’impugnazione avverso la parte di pronuncia che, qualificando come opposizione agli atti esecutivi l’azione con cui si contestava “l’immotivazione” della cartella, si confermava che la proposizione di tale domanda avrebbe dovuto intervenire nel termine di venti giorni dalla notificazione stessa e non, come infondatamente sostenuto dalla ricorrente, in quello di quaranta di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24;

la sentenza della Corte d’Appello è stata impugnata dalla Fimat con tre motivi, resistiti da controricorso I.N.P.S..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c., nonchè dell’art. 168 c.p.c., degli artt. 72, 73, 74 disp. att. c.p.c. e degli artt. 101, 115 e 116 c.p.c., oltre all’annesso esame di atti e documenti decisivi e difetto di motivazione, il tutto rubricato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5;

con il secondo motivo si afferma il verificarsi di un error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4) per l’omessa pronuncia del Tribunale rispetto all’eccezione pregiudiziale di nullità/inesistenza della sentenza impugnata, in violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè per violazione degli artt. 101, 115, 116 e 161 c.p.c., dedotta in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5;

il terzo motivo sostiene la violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 115, 116 e 161 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per omesso esame di atti e documenti decisivi e difetto di motivazione, sul presupposto di un’erronea valutazione della prova testimoniale, motivo nel cui corpo si assume altresì l’erroneità processuale dell’affermazione in ordine al fatto che i difetti di motivazione della cartella dovessero essere considerati come meramente formali, mentre si trattava di vizi sostanziali, sottolineandosi come l’indeterminatezza della predetta cartella avesse determinato una mutatio libelli da parte dell’I.N.P.S. nel momento in cui, con la memoria di costituzione, l’ente aveva tentato di fornire una motivazione ex post rispetto al contenuto della propria pretesa;

infine, sempre nel corpo del terzo motivo, si affermava l’inesistenza giuridica della notificazione della cartella opposta e l’inidoneità dei verbali ispettivi a determinare l’interruzione della prescrizione;

il primo e secondo motivo, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati, nei termini che seguono;

il Tribunale, nella propria motivazione, ha affermato che non erano “rinvenibili nel fascicolo d’ufficio” i documenti a cui la società aveva fatto riferimento per dimostrare i propri assunti;

la spiegazione di tale affermazione, non risultando il ritiro del fascicolo di parte, sta evidentemente in quanto poi documentato dalla ricorrente, ovverosia che, secondo quanto emerge dalla certificazione di cancelleria del 8.5.2012, successiva alla pronuncia della sentenza, il fascicolo di parte era andato smarrito a causa del terremoto;

è tuttavia evidente che la parte non poteva subire le conseguenze di uno smarrimento ad essa non imputabile e dunque non vi è dubbio che la pronuncia della sentenza di primo grado, stante la mancanza di quei documenti, sulla cui tempestiva produzione non vi è questione, non poteva essere pronunciata, se non previa richiesta alla parte, che non risulta vi sia stata, di deposito di altra copia o di ricostruzione del fascicolo non reperibile (v., anche Cass. 28 giugno 2017, n. 16212; Cass. 3 giugno 2014, n. 12369; Cass. 3 luglio 2008, n. 18237); tutto ciò, attesa la regola di conversione delle ragioni di nullità in motivi di gravame (art. 161 c.p.c.), risulta però superato dalla proposizione dell’appello corredato dal deposito, in sede di gravame, del fascicolo di parte nella sua completezza, nel frattempo reperito, come documentato dalla cancelleria della Corte d’Appello con la citata certificazione, sicchè l’accaduto comportava comunque la devoluzione della controversia di merito al giudice di secondo grado e ciò sulla base dell’intera documentazione alla fine riacquisita al giudizio;

la pronuncia della Corte dell’Aquila non ha invece tenuto conto di quei documenti, perchè è stato ritenuto che l’appellante avrebbe dovuto indicare “quali erano i documenti presenti nel proprio fascicolo, da cui potevano rilevarsi le ore di effettiva presenza dei lavoratori e le retribuzioni dai medesimi percepiti”;

tuttavia il ricorrente, riportando in sede di legittimità ampie parti del proprio ricorso in appello, ha dimostrato di avere indicato con precisione alcuni documenti di cui alle originarie produzioni ed in particolare il “libro presenze del personale dipendente” e le “buste paga” (pag. 16 del ricorso in cassazione), ovverosia proprio i documenti, come si desume dalle argomentazioni difensive svolte, su cui la parte incentrava le critiche di merito rispetto all’accertamento ispettivo;

è indubbio quindi che si sia determinata violazione dell’art. 342 c.p.c. in quanto si è ritenuto inammissibile l’appello, per genericità o inidoneità del gravame sotto il profilo della mancata considerazione di quei documenti, ma ciò sulla base di motivazione processuale a propria volta generica ed inoltre non coerente con quanto viceversa addotto e prodotto con l’impugnativa;

il vizio processuale comporta pertanto la cassazione della sentenza;

rispetto al terzo motivo, quanto sopra comporta l’assorbimento di tutto quanto attiene alle valutazioni di merito svolte dalla Corte territoriale, perchè esse andranno svolte ex novo in sede di rinvio, attraverso il completo riesame del materiale istruttorio;

nel corpo del terzo motivo, come detto in narrativa, vi sono però vari aspetti che esulano dalle questioni appena esaminate;

intanto, rispetto alla prescrizione del credito, ritenuta insussistente dalla Corte territoriale perchè vi sarebbe stata interruzione attraverso notificazione del verbale ispettivo, vi è in effetti censura, nel senso, sostenuto con il ricorso per cassazione, che i “verbali ispettivi non sono idonei ad interrompere il decorso della prescrizione, che dunque nel caso de quo anche alla luce dei vizi di nullità radicale della cartella, ha trovato perfetta cittadinanza L. n. 335 del 1995, ex art. 3”;

tale profilo impugnatorio è tuttavia generico e non accoglibile;

non si afferma infatti esplicitamente perchè la notifica del verbale non avrebbe idoneità interruttiva, ma si formula un suggestivo rinvio alle ragioni di nullità della cartella senza però articolarsi le argomentazioni che dovrebbero sorreggere l’affermazione, il che rende la censura inammissibile, non potendosi integrare o rettificare giudizialmente un ragionamento difensivo ellittico ed incompleto;

da altro punto di vista, l’asserita erronea qualificazione dei vizi della cartella come di natura formale e non, secondo quanto si assume nel ricorso per cassazione, sostanziale, non può parimenti trovare accoglimento, in quanto il ricorso difetta di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non essendovi neppure stata trascrizione del contenuto della cartella e delle esatte critiche verso essa mosse con il ricorso introduttivo, sicchè non è consentita, sulla base delle difese dispiegate, la verifica in ordine all’erroneità o meno della qualificazione operata nei gradi di merito;

infondato è poi sostenere che, in caso di opposizione agli atti esecutivi, dovrebbe trovare applicazione il termine di quaranta giorni di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24;

il medesimo D.Lgs., art. 29 è infatti chiarissimo nello stabilire che “alle entrate indicate nel comma 1” (ovverosia le entrate tributarie diverse da quelle elencate dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, e quelle non tributarie) “le opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi si propongono nelle forme ordinarie”, dizione espressa cui si è adeguata la giurisprudenza di Suprema Corte cui si aderisce, affermando che “in tema di opposizione a cartella esattoriale relativa a contributi previdenziali, è possibile esperire, con un unico atto, sia un’opposizione sul merito della pretesa oggetto di riscossione, di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24 sia un’opposizione agli atti esecutivi, inerente l’irregolarità formale della cartella, regolata dagli art. 617 e 618 bis c.p.c., per il rinvio alle forme ordinarie operato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 29, comma 2. Ne consegue che, qualora l’opposizione sia stata depositata entro il termine perentorio di quaranta giorni, di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, ma oltre quello di venti giorni, di cui all’art. 617 c.p.c. (come modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif. in L. 14 maggio 2005, n. 80, vigente ratione temporis), va ritenuta la tardività delle eccezioni formali, ossia di quelle attinenti la regolarità della cartella di pagamento e della notificazione” (Cass. 17 luglio 2015, n. 15116; sostanzialmente anche Cass. 19 ottobre 2015, n. 21080);

non può poi trovare accoglimento neppure l’assunto della Fimat secondo cui l’I.N.P.S., nel difendersi, avrebbe posto in essere una mutatio libelli, al fine di rimediare, con la propria memoria di costituzione, ai limiti espositivi della cartella;

anche in questo caso la mancata trascrizione del contenuto della cartella, come anche della memoria di costituzione dell’I.N.P.S. cui si addebita il presunto vizio, individuano un difetto di specificità, sub specie della non autosufficienza del ricorso, che rende anche tale profilo di censura di censura inammissibile, sempre per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 4;

infine da disattendere è anche quanto asserito in ordine alla inesistenza giuridica della notificazione della cartella, vizio che neppure si specifica quando e come sia stato rilevato nei gradi di merito, sicchè ne resta impedito ogni apprezzamento rispetto al non trattarsi di profilo nuovo in causa;

in definitiva, l’accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso comporta, con la cassazione della sentenza, il rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, al fine di una nuova valutazione delle emergenze istruttorie che tenga conto anche dei documenti prodotti dalla ricorrente e che non sono stati esaminati nè in primo, nè in secondo grado;

le censure contenute nel terzo motivo invece vengono, in parte e nei termini sopra precisati, respinte (con riferimento, quindi, all’eccezione di prescrizione, alla reiezione dell’opposizione agli atti esecutivi ed all’asserita mutatio libelli da parte dell’I.N.P.S., nonchè all’inesistenza della notificazione della cartella) e restano, in altra parte (con riferimento alla valutazione delle prove) assorbite dalla cassazione, in quanto tale da determinare comunque la necessità di una nuova e completa valutazione delle risultanze istruttorie.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello dell’Aquila in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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