Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26482 del 19/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/10/2018, (ud. 23/05/2018, dep. 19/10/2018), n.26482

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14530-2013 proposto da:

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

ANTONINO SGROI, DE ROSE EMANUELE, CARLA DALOISIO, LELIO MARITATO,

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

F.G., M.L., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO

ROMANELLI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MARCELLO ZIVERI, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 163/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 29/03/2013 r.g.n. 531/2009.

Fatto

RILEVATO

CHE:

con sentenza n. 163/2013, la Corte d’Appello di Bologna respingeva l’appello proposto dall’Inps avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso di M.L. e F.G., soci ed amministratori della Resital srl svolgente attività commerciale, e rivolto ad accertare la non debenza della contribuzione di pertinenza della gestione commercianti pretesa in sede ispettiva dall’INPS;

a fondamento della pronuncia la Corte sosteneva che sulla base dell’istruttoria svolta in giudizio era emerso che la società Resital si avvaleva dell’operato di dipendenti che si occupavano di tutte le mansioni lavorative; mentre gli appellati si erano sempre occupati della sola gestione ed amministrazione dell’impresa, controllando l’andamento generale;

avverso tale pronuncia l’INPS ha ricorso per cassazione con un motivo di censura al quale non ha resistito l’intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo il ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 203 e 208, come interpretato dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11, convertito in L. 30 luglio 2010, n. 122, in relazione all’art. 2967 c.c. ed erronea motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), sostenendo che la questione oggetto di causa riguardava la problematica relativa alla compatibilità tra l’iscrizione presso la gestione commercianti e quella presso la gestione separata del socio amministratore di S.r.l. che nel contempo svolge attività lavorativa all’interno della stessa società; e che sulla base delle dichiarazioni rese in sede di accertamento ispettivo dalla M. emergeva che sia lei, che il marito F., si occupavano della vendita del materiale, della ricerca clienti, dei rapporti con le banche e del personale; attività che integrava senza dubbio una partecipazione personale con i caratteri dell’abitualità e prevalenza all’attività aziendale, con conseguente legittima iscrizione dei suddetti alla gestione commercianti;

il ricorso è infondato, dovendosi considerare anzitutto che la ratio decidendi della sentenza impugnata non attiene alla affermazione circa la compatibilità o meno, in diritto, della doppia iscrizione (alla gestione separata ed alla gestione commercianti) del socio amministratore di srl che partecipi con abitualità e prevalenza al lavoro aziendale; avendo la Corte d’Appello affermato, piuttosto, che non sussistessero in fatto gli estremi per ritenere la presenza dell’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti degli appellati perchè, in base alle prove, doveva escludersi che essi svolgessero una attività di lavoro abituale e prevalente nell’azienda mentre i compiti svolti erano rapportabili, in realtà, alla carica di amministratori;

la sentenza viene censurata invece sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’attività di amministratore ed alla questione dell’attività assicurabili in diverse gestioni; e cioè nell’ottica (oramai del tutta superata per il socio amministratore di srl iscritto alla gestione separata, a seguito della legge di interpretazione autentica) del comma 208 e non nell’ottica del comma 203, che richiede pur sempre che l’attività lavorativa del socio sia in pari tempo abituale e prevalente per l’iscrizione alla gestione commercianti;

inoltre la censura sollevata in fatto nel ricorso, da una parte, non rispetta il criterio dell’autosufficienza dal momento che non trascrive in maniera integrale nè produce in allegato le dichiarazioni della M. che avrebbe “sconfessato” la tesi accolta dalla Corte d’appello; ed in secondo luogo neppure deduce un vizio rilevante ex art. 360, n. 5 dal momento che la sentenza impugnata si occupa anche delle dichiarazioni raccolte in sede amministrativa affermando di preferire loro quelle raccolte in giudizio, secondo i consueti poteri discrezionali del giudice di merito, non adeguatamente censurati dal ricorso;

le dedotte censure neppure spiegano, inoltre, in base a quali criteri (idonei a distinguere l’attività di amministratore e quella di lavoratore) dovrebbe approdarsi alla pretesa conclusione ed affermare che l’attività considerata dalla Corte fosse invece da ritenere rilevante ai fini della iscrizione in questione;

il ricorso si risolve in sostanza in una richiesta di rivalutazione del giudizio espresso dalla Corte, senza addurre alcuna omissione di fatti controversi e decisivi e quindi richiedendo una semplice rivisitazione del materiale probatorio non consentita in questa sede;

non solo, ma – quand’anche quella espletata dagli intimati fosse da ritenere un’attività di lavoro e non di amministratore nemmeno risulta comunque dedotto e provato dall’INPS che la stessa attività fosse pure connotata dai due requisiti dell’abitualità e della prevalenza; questa Corte ha invero affermato che, una volta stabilito che per il socio amministratore di società che partecipi all’attività aziendale vi possa essere in via di principio la doppia iscrizione consentita dalla legge (anche in base alla nuova norma interpretativa), rimarrebbe pur sempre da accertare in concreto, ai fini dell’iscrizione alla gestione commercianti, in ogni singola fattispecie, il presupposto della partecipazione personale all’attività aziendale commerciale in modo abituale e prevalente, con onere della prova a carico dell’INPS;

e secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte (tra le tante Cass. 8474/2017) – che ha riconsiderato in senso estensivo il punto già esaminato dalla sentenza della Sez. Unite 3240 del 12.2.2010- il requisito della partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, deve essere inteso in relazione ad un criterio non predeterminato di tempo e di reddito, da accertarsi in senso relativo e soggettivo, ossia facendo riferimento alle attività lavorative espletate dal soggetto considerato in seno alla stessa attività aziendale costituente l’oggetto sociale della srl (ovviamente al netto dell’attività esercitata in quanto amministratore); e non già comparativamente con riferimento a tutti gli altri fattori produttivi (naturali, materiali e personali) dell’impresa;

in tale logica estensiva ed unificante diventa necessario considerare quindi la partecipazione al lavoro aziendale, ma, come già osservato da questa Corte (5360/2012) deve, altresì, precisarsi che, stante l’ampiezza della dizione usata dal legislatore, per partecipazione personale al lavoro aziendale deve intendersi non soltanto l’espletamento di un’attività esecutiva o materiale, ma anche di un’ attività organizzativa e direttiva, di natura intellettuale, posto che anche con tale attività il socio offre il proprio personale apporto all’attività di impresa, ingerendosi direttamente ed in modo rilevante nel ciclo produttivo della stessa;

tuttavia la partecipazione personale al lavoro aziendale in modo abituale e prevalente (anche attraverso un’attività di coordinamento e direttiva) è cosa diversa e non può essere scambiata con l’espletamento dell’attività di amministratore per la quale il socio è iscritto alla gestione separata; ed occorre distinguere perciò tra prestazione di lavoro ed attività di amministratore; e la distinzione delle due posizioni è alla base dei dati normativi di partenza posto che, appunto, la legge ai fini della iscrizione alla gestione commercianti richiede come titolo che il socio partecipi al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; mentre qualora il socio si limiti ad esercitare l’attività di amministratore egli dovrà essere iscritto alla gestione separata;

non possono perciò confondersi, già sul piano logico giuridico, l’attività inerente al ruolo di amministratore con quella esercitata come lavoratore (neppure quando questa seconda attività si esplica al livello più elevato dell’organizzazione e della direzione); si tratta di attività che rimangono su piani giuridici differenti, dal momento che l’attività di amministratore si basa su una relazione di immedesimazione organica o al limite di mandato ex art. 2260 c.c.; e comporta, a seconda della concreta delega, la partecipazione ad una attività di gestione, l’espletamento di una attività di impulso e di rappresentanza che è rivolta ad eseguire il contratto di società assicurando il funzionamento dell’organismo sociale e sotto certi aspetti la sua stessa esistenza; laddove l’attività lavorativa è rivolta alla concreta realizzazione dello scopo sociale, al suo raggiungimento operativo, attraverso il concorso dell’opera prestata a favore della società dai soci, e dagli altri lavoratori subordinati o autonomi;

pertanto, in conclusione, nel caso in esame, la sentenza impugnata si sottrae alle censure rivolte contro di essa; sicchè il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza come in dispositivo. sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte respinge ricorso e condanna l’INPS al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3200 di cui Euro 3000 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali ed oneri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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