Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26479 del 29/09/2021

Cassazione civile sez. III, 29/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 29/09/2021), n.26479

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

D.A., (codice fiscale (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocata Valentina

Nanula, del Foro di Milano, con studio in Milano, via Besana n. 2,

ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Stefania

Paravani, in Roma, Viale delle Milizie n. 38;

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi

n. 12;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di n. 7572/2019, pubblicato il

20/9/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 aprile

2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

– che il signor D., nato in (OMISSIS), nella regione del (OMISSIS), il (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo ha rigettato con decreto reso in data 20 settembre 2019;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese perché essere stato sempre più mal tollerato dallo zio materno – con il quale conviveva insieme alla madre – dopo la morte di quest’ultima, tanto da essere stato scacciato di casa e minacciato di morte se fosse tornato; di essere stato aiutato a fuggire da un’amica della madre, che gli aveva consigliato di recarsi in Europa, piuttosto che rivolgersi alla Polizia, poiché lo zio, capo villaggio, era una persona potente;

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, alla luce: 1) della sostanziale inattendibilità del suo racconto, ritenuto generico e sommario, non sufficientemente circostanziato e privo dei necessari elementi di dettaglio che conferissero il necessario crisma di attendibilità alle singole vicende narrate, oltre che viziato da importanti aspetti di implausibilità; 2) della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento tanto dello status di rifugiato (attesa l’impredicabilità di una condizione di persecuzione rilevante a tal fine), quanto della protezione sussidiaria in ciascuna delle tre forme di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 14, in conseguenza tanto del giudizio di non credibilità del ricorrente (lett. a e b), quanto dell’inesistenza di un conflitto armato nel Paese di respingimento (lett. c); 3) dell’impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità del richiedente asilo idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;

– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di 2 motivi di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

1. Col primo motivo, si censura il decreto impugnato per violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, per non avere il Tribunale assolto all’onere di cooperazione istruttoria.

1.1. Il motivo – che, nella sua parte espositiva, si articola in due sub-motivi non è fondato.

1.2. Quanto alla critica mossa alla sentenza impugnata in ordine alla pretesa violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria, osserva il collegio come, a fronte di una lunga e dettagliata elencazione, anche contenutistica, di numerose COI attendibili e aggiornate (ff.7-10 del decreto) – tra cui il Report dell’UNHCR (citato al folio 9 del provvedimento impugnato) che risale al luglio 2019, e precede di soli due mesi la data di deposito del decreto – dalle quali emergono sicure ed allarmanti criticità del Paese, al punto da imporre la proroga della missione ONU decisa dal Consiglio di sicurezza con la risoluzione del 25/4/2013 sino al giugno 2020 ((OMISSIS), 21 gennaio 2019, citato in nota 9 della p. 9 nel decreto impugnato), il motivo in esame si limiti, pur tuttavia, a riportare esclusivamente e ridondantemente il contenuto di una serie di provvedimenti giurisdizionali, di legittimità e di merito, senza contrapporre alcuna ulteriore ed efficace censura specifica (e senza allegare fonti diverse idonee a dimostrare in punto di fatto la fondatezza della censura stessa) alla motivazione del provvedimento nella parte in cui si afferma (a torto o a ragione) che:

– non si ravvisa un rischio di danno grave e individualizzato derivante da violenza indiscriminata e generalizzata in una situazione di conflitto armato interno o internazionale;

– in assenza della prospettazione di un rischio specifico per il ricorrente correlato alle situazioni di conflitto tra forze di governo e gruppi di ribelli, non può essere affermato in suo favore il diritto alla protezione sussidiaria.

1.3. Quanto alla censura mossa alla decisione del Tribunale in punto di ritenuta non credibilità del ricorrente (f. 6 del ricorso), va preliminarmente osservato come questa Corte abbia ripetutamente affermato che la relativa valutazione costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, ed è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti (così come formalmente descritti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5); la valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (ex multis, Cass. n. 3340 del 2019; 7546/2020); il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato determinante di singole circostanze, ritenute di per sé assorbenti rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purché di dette circostanze se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati. Rimane in ogni caso fermo il principio a mente del quale la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera, soggettivistica opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, tenendo poi conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente (art. 5, comma 3, lett. c) D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto, quando appare nel suo complesso vero o verosimile il fatto narrato nel suo complesso, sicché è compito dell’autorità amministrativa – e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale – svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (tra le molte conformi, Cass. n. 26921 de12017; n. 10 del 2021);

1.4. Nel caso di specie, in disparte l’oggettivo rilievo della congruità logica della valutazione di non credibilità del richiedente asilo – correttamente articolata attraverso un analitico e puntuale esame di una serie di circostanze di fatto specificamente indicate al folio 6 del decreto, ove non si manca di precisare, in premessa, “di tener conto della condizione di analfabetismo del ricorrente” – varrà considerare come la censura in esame abbia sostanzialmente omesso di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte del giudice del merito, di specifiche vicende di fatto asseritamente trascurate, e che avrebbero al contrario (e in ipotesi) condotto ad una diversa valutazione della narrazione dei fatti;

1.4.1. Attraverso le odierne censure, in sostanza, il ricorrente altro non prospetta se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in una dimensione solo astrattamente critica, come tale inammissibilmente rappresentata in questa sede di legittimità, dovendo per converso ritenersi che la motivazione adottata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne il percorso logico, che si dipana in termini lineari e logicamente coerenti, in conformità con i parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di sufficiente ragionevolezza ed accettabile congruità espositiva;

2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 5, comma 6 e art. 19 TUI per non avere il Tribunale riconosciuto al richiedente la protezione internazionale per motivi umanitari;

2.1. In sintesi, lamenta il ricorrente:

la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria posto a carico dell’organo giudicante sotto il diverso profilo dell’accertamento della situazione del Paese quanto alla tutela dei diritti umani;

la violazione dell’obbligo di comparazione, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, tra la situazione del Paese di origine (e la mancata tutela dei diritti umani) ed il livello di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente asilo.

2.1.1. Il motivo è fondato.

2.2. Correttamente la difesa del ricorrente lamenta, oltre che l’omesso esame di fatti decisivi (costituiti dalla complessiva situazione esistente in (OMISSIS), così come ben rappresentata dallo stesso Tribunale in sede di esame della domanda di protezione sussidiaria attraverso l’acquisizione di numerose COI), anche l’illegittima omissione di qualsivoglia giudizio comparativo tra la situazione del richiedente asilo in Italia e la situazione oggettiva del Paese di origine, in contrasto ai principi più volte affermati da questa Corte regolatrice in tema di protezione umanitaria, a mente dei quali, se, per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b) del deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, con il conseguente il riconoscimento della natura di diritto costituzionalmente garantito della situazione giuridica dei richiedenti asilo e quindi di “concreta e materiale esigibilità in via giurisdizionale” del relativo diritto soggettivo (un diritto, dunque, perfetto in quanto il suo fondamento necessario e sufficiente, nonché la sua causa di giustificazione risiedono entrambi nella sola Costituzione).

2.3. Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, pertanto, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza e della comparazione degli indicati presupposti (per tutte, Cass. 8819/2020; Cass. 19337/2021), che non sono condizionati dalla eventuale valutazione negativa di credibilità del ricorrente – o, comunque, dal contenuto della sua narrazione, ove pur ritenuta credibile ma non rilevante ai fini della concessione della misura di protezione invocata.

2.3.1. Il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, estensivamente interpretato, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale (Cass. n. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016), in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazione sub specie del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c)) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile – di cui pure il provvedimento impugnato sembra indirettamente dare atto nel riportare il contenuto dello COI utilizzate per escludere l’esistenza di un conflitto armato.

2.3.2. Nella specie, la motivazione adottata dal giudice di merito per respingere la domanda di protezione umanitaria risulta così concepita (f. 11):

– In sostanza, la situazione oggettiva del Paese di origine, la condizione soggettiva del richiedente in quel contesto alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale e il grado di integrazione sociale raggiunto in Italia rappresentano i parametri essenziali per l’accertamento di eventuali situazioni di vulnerabilità correlate alla violazione dei diritti umani fondamentali nel Paese di origine;

– Nel caso di specie, per quanto concerne il paese di origine e le ragioni della fuga, si richiama quanto sopra detto;

– Anche ai fini della valutazione comparativa tra l’integrazione sociale raggiunta in Italia e la situazione del suo Paese, la domanda risulta carente di allegazioni. Le esperienze anche lavorative maturate nell’ambito dell’accoglienza sono irrilevanti. Il ricorrente lavora da appena due mesi come magazziniere presso la ditta DSL su chiamata, in forza di contratti a termine di breve durata e part-time per 10 ore a settimana per una società che ha in appalto la raccolta di rifiuti a (OMISSIS), in forza di un contratto che scade il 13.10.2019.

2.4. La motivazione, alla luce dei criteri poc’anzi indicati, non è conforme a diritto.

2.4.1. Difatti, sul piano della comparazione:

– in punto di valutazione della integrazione del richiedente asilo, dopo una puntuale ed accurata elencazione della documentazione allegata, appare illogica la svalutazione tout court della rilevanza dell’attività lavorativa svolta dal richiedente asilo, volta che lo stesso Tribunale da correttamente atto del suo totale analfabetismo;

– in punto di valutazione della situazione del Paese di origine sotto il profilo della tutela dei diritti umani, è lo stesso Tribunale ad evidenziare (f. 9, in testo e in nota) la necessità di una missione ONU finalizzata alla promozione dei diritti umani nel Paese, ove lo stato di emergenza risulta continuamente prorogato, senza poi trarre da tali, significative circostanze, le necessarie conseguenze in punto di diritto, avendo (erroneamente) limitato la propria analisi all’individuazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

4.5. Va pertanto riaffermato il principio di diritto, cui il giudice di rinvio si atterrà nel riesaminare la domanda di protezione umanitaria, alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare la valutazione comparativa della situazione oggettiva (oltre che eventualmente soggettiva, in caso di ritenuta credibilità) del richiedente asilo con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione dei diritti fondamentali della persona, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza – pur senza che abbia rilievo esclusivo l’esame del livello di integrazione, se isolatamente ed astrattamente considerato.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia il procedimento al Tribunale di Milano, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

 

 

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