Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26478 del 29/09/2021

Cassazione civile sez. III, 29/09/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 29/09/2021), n.26478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

D.A., (codice fiscale (OMISSIS)), rappresentato e

difeso, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso,

dall’Avvocata Mariagrazia Marelli, del Foro di Alessandria, presso

il cui studio è elettivamente domiciliato in Alessandria, Corso

Crimea n. 57;

– ricorrente –

contro

IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi

n. 12;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano n. 7133/2019, pubblicato

il 6/9/2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 aprile

2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

– che il signor D., nato in (OMISSIS), ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo ha rigettato con decreto reso in data 6 settembre 2019;

– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente, di etnia (OMISSIS) e di religione (OMISSIS), aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese a 16 anni – dopo aver raggiunto il padre a (OMISSIS) quando aveva 12 anni, avendo vissuto sino ad allora nel villaggio nativo di (OMISSIS), nel circondario di (OMISSIS) – a causa della guerra, dopo che i ribelli ne avevano ucciso il padre;

– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;

– che il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, alla luce: 1) della sostanziale inattendibilità del suo racconto, ritenuto non credibile e contraddittorio alla luce di 9 circostanze di fatto (puntualmente elencate al quarto folio del decreto, peraltro privo di numerazione, e contrassegnate dalla lett. a) alla lett. i), da intendersi qui per riportate integralmente) ritenute gravemente illogiche e contraddittorie; 2) della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento tanto dello status di rifugiato, quanto della protezione sussidiaria in ciascuna delle tre forme di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 14, in conseguenza tanto del giudizio di non credibilità del ricorrente (lett. a e b), quanto dell’inesistenza di un conflitto armato nella specifica zona del Paese di provenienza del ricorrente (lett. c); 3) dell’impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità del richiedente asilo idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;

– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di 4 motivi di censura;

– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

1. Col primo motivo, si censura il decreto impugnato per violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 (omessa audizione del ricorrente).

1.1. Il motivo non può essere accolto, alla luce dei principi costantemente affermati, in passato, dalla giurisprudenza di questa Corte – a mente dei quali la fissazione (obbligatoria) dell’udienza per la comparizione delle parti (D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, comma 10 e 11) ha valore strettamente tecnico-processuale e non si riferisce necessariamente alla presenza personale delle parti né all’obbligo di audizione del ricorrente (per tutte, Cass. 17717/2018 e successive conformi) – pur alla luce della necessaria (e condivisibile) precisazione, operata più di recente da questo stesso giudice di legittimità, secondo cui “l’audizione personale in sede giudiziale diviene – proprio alla luce della peculiare articolazione del rito previsto per l’esame delle domande di protezione internazionale – la modalità più semplice per supplire all’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa, assicurando al richiedente l’effettiva esplicazione del diritto di difesa in un contraddittorio pieno, e ponendo il giudice di merito in condizione di poter decidere avendo completa contezza degli elementi di valutazione” (Cass. 9228/2020), e pur considerando, ancora, la ulteriore ed altrettanto opportuna specificazione a mente della quale “il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 22049/2020; 21584/2020; 25439/2020).

1.2. Nell’illustrazione del motivo in esame, difatti, non risultano in alcun modo evidenziate le circostanze che, nel caso di specie, avrebbero reso necessaria l’audizione del ricorrente in sede giurisdizionale, venendo, piuttosto, assai sinteticamente esposti (ff. 4-5 del ricorso) soltanto principi generali che quell’audizione avrebbero astrattamente imposto al Tribunale.

2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 4 e 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

2.1. Il motivo (che lamenta la erronea valutazione della credibilità del richiedente asilo da parte del Tribunale) non è fondato.

2.2. Questa Corte, in tema di credibilità del richiedente asilo, ha ripetutamente affermato che la relativa valutazione costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, ed è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti (così come formalmente descritti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5); la valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (ex multis, Cass. n. 3340 del 2019; 7546/2020); il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato determinante di singole circostanze, ritenute di per sé assorbenti rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purché di dette circostanze se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati. Rimane in ogni caso fermo il principio a mente del quale la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera, soggettivistica opinione del giudice, ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, , tenendo poi conto della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente (art. 5, comma 3, lett. c) D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto, quando appare nel suo complesso vero o verosimile il fatto narrato nel suo complesso, sicché è compito dell’autorità amministrativa – e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale – svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (tra le molte conformi, Cass. n. 26921 del 2017; n. 10 del 2021);

2.3. Nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo, correttamente articolato, attraverso un analitico e puntuale esame di una congerie di circostanze di fatto (come già evidenziato in narrativa), nel provvedimento impugnato, varrà considerare come la difesa del ricorrente abbia propriamente omesso di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte del giudice del merito, di specifiche vicende di fatto asseritamente trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto ad una diversa risoluzione dell’odierna controversia;

2.3.1. Attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetta se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in una dimensione solo astrattamente critica, come tale inammissibilmente rappresentata in questa sede di legittimità, dovendo per converso ritenersi che la motivazione adottata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne il percorso logico, che si dipana in termini lineari e logicamente coerenti, in conformità con i parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di sufficiente ragionevolezza ed accettabile congruità logica;

3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g), art. 14, lett. b) e del medesimo articolo, lett. c) in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

3.1. Il motivo non è fondato.

3.1.1. Quanto alla doglianza di cui alla prima parte della censura, relativa alla mancata concessione della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. b), deve ritenersi consolidato l’orientamento di questa Corte a mente del quale il difetto di credibilità del richiedente asilo ne impedisce ipso facto l’esame.

3.1.2. Quanto al mancato riconoscimento della diversa forma di protezione di cui all’art. 14, lett. c), il Tribunale, dopo aver compiuto un’ampia ed approfondita disamina della situazione generale del (OMISSIS) (dal sesto al nono foglio del decreto impugnato), procedendo ad una sistematica analisi (e riportandone correttamente il contenuto rilevante in parte qua) di numerose COI, alcune aggiornate all’anno 2019, ha concluso, con accertamento di fatto non censurabile in questa sede, che, nella specifica zona di provenienza del sig. D., da indicarsi in quella di (OMISSIS) e non di (OMISSIS), difettassero gli elementi necessari per il riconoscimento dell’esistenza di un conflitto a diffusa e generalizzata violenza, presupposto necessario per il riconoscimento della forma di protezione invocata.

3.2. La decisione non risulta efficacemente censurata dalla difesa del ricorrente, che, oltre ad elencare una serie di provvedimenti di merito di segno contrario rispetto a quello oggi impugnato, si limita ad affermare che “le stesse fonti indicati dal Tribunale indicano che la situazione di violenza sussistente nelle regioni settentrionali si stia estendendo al centro e al sud del (OMISSIS), coinvolgendo la popolazione e causando numerose vittime tra i civili”, senza, peraltro, offrire efficace dimostrazione che tale estensione integri gli estremi del conflitto armato a diffusa e generalizzata violenza nella specifica zona di provenienza del richiedente asilo.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

4.1. In sintesi, lamenta il ricorrente:

– La violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria posto a carico dell’organo giudicante, che avrebbe impropriamente trascurato il valore delle circostanze di fatto specificamente richiamate in ricorso ai fini della concessione della protezione umanitaria;

– La violazione dell’obbligo di comparazione, ai fini del riconoscimento della detta forma di protezione, tra la situazione del Paese di origine (e la mancata tutela dei diritti umani) e il livello di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente asilo.

4.2. Il motivo è fondato.

4.2.1. Correttamente il ricorrente lamenta, oltre che l’omesso esame di fatti decisivi (costituiti dalla complessiva situazione esistente in (OMISSIS), così come rappresentata dallo stesso Tribunale in sede di esame della domanda di protezione sussidiaria), anche l’illegittima omissione di qualsivoglia giudizio comparativo tra la situazione del richiedente asilo in Italia e la situazione oggettiva del Paese di origine, in spregio ai principi più volte affermati da questa Corte regolatrice in tema di protezione umanitaria, a mente dei quali, se, per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b) deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10 comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, con il conseguente il riconoscimento della natura di diritto costituzionalmente garantito della situazione giuridica dei richiedenti asilo e quindi di “concreta e materiale esigibilità in via giurisdizionale” del relativo diritto soggettivo (un diritto, dunque, perfetto in quanto il suo fondamento necessario e sufficiente, nonché la sua causa di giustificazione risiedono entrambi nella sola Costituzione).

4.3. Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, pertanto, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza e della comparazione degli indicati presupposti (per tutte, Cass. 8819/2020; Cass. 19337/2021), che non sono condizionati dalla eventuale valutazione negativa di credibilità del ricorrente – o, comunque, dal contenuto della sua narrazione, ove pur ritenuta credibile ma non rilevante ai fini della concessione della misura di protezione invocata.

4.3.1. Il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, estensivamente interpretato, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale (Cass. n. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016), in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazione sub specie del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c)) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile – di cui pure il provvedimento impugnato sembra indirettamente dare atto nel riportare il contenuto dello COI utilizzate per escludere l’esistenza di un conflitto armato.

4.3.2. Nella specie, la motivazione adottata dal giudice di merito per respingere la domanda di protezione umanitaria risulta così concepita (decimo foglio):

– per accedere alla protezione umanitaria, occorre che il richiedente si trovi in una particolare condizione di vulnerabilità personale, dovuta a cause diverse e ulteriori rispetto a quelle già valutate ai fini del riconoscimento delle forme di protezione maggiore;

– “gli elementi di instabilità riscontrati nel Paese di provenienza sono stati già considerati ai fini della protezione internazionale”;

– Deve ritenersi escluso, altresì, il rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

4.4. La motivazione, alla luce dei criteri poc’anzi indicati, non è conforme a diritto.

4.4.1. Difatti, sul piano della comparazione:

– in punto di valutazione della integrazione del richiedente asilo, dopo una puntuale ed accurata elencazione della documentazione allegata – dalla quale risulta: 1) attestato di frequenza ad un corso di manutentore del verde; 2) attestato di frequenza ad un corso di muratore e piastrellista; 3) attestato di apprendimento della lingua italiana; 4) vari ed ulteriori attestati di formazione professionale, con particolare riferimento all’arte muraria; 5) attestato di partecipazione a corsi di alfabetizzazione; 6) ulteriore certificato, del 21.6.2018, di competenza nella lingua italiana nessuna considerazione viene spesa dal Tribunale in ordine alla rilevanza (che pur risulterebbe ictu oculi non impredicabile) di tali circostanze;

– in punto di valutazione della situazione del Paese di origine sotto il profilo della tutela dei diritti umani, è lo stesso Tribunale ad affermare (settimo foglio, terzo capoverso) che “le diverse parti in conflitto sono responsabili di gravissime violazioni dei diritti umani (US Department of State, marzo 2019)”, senza poi trarre da tale decisiva circostanza le necessarie conseguenze, avendo (erroneamente) limitato la propria analisi all’individuazione dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

4.5. Va pertanto riaffermato il principio di diritto, cui il giudice di rinvio si atterrà nel riesaminare la domanda di protezione umanitaria, alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare la valutazione comparativa della situazione oggettiva (oltre che eventualmente soggettiva, in caso di ritenuta credibilità) del richiedente asilo con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione dei diritti fondamentali della persona, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza – pur senza che abbia rilievo esclusivo l’esame del livello di integrazione, se isolatamente ed astrattamente considerato.

PQM

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia il procedimento al Tribunale di Milano, che, in diversa composizione, farà applicazione dei principi di diritto suesposti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dlla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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