Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26478 del 13/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/11/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 13/11/2019), n.29478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2787-2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANNIBALE CONFORTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5389/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAVALLARO

LUIGI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 12.7.2017, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato improponibile, per intervenuta decadenza triennale, la domanda di M.M. volta a conseguire l’indennizzo ex L. n. 210 del 1992;

che avverso tale pronuncia M.M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;

che il Ministero della Salute ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 210 del 1992, art. 3, per non avere la Corte di merito accertato la data in cui egli aveva acquisito consapevolezza della etiologia post-trasfusionale della malattia da cui è affetto;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione della L. n. 210 del 1992, artt. 3 e 4, cit., per avere la Corte territoriale conseguentemente errato circa il momento di decorrenza del termine di decadenza;

che i due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle censure svolte;

che, al riguardo, è consolidato il principio secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 24155 del 2017, 3340 del 2019);

che, nella specie, i motivi di censura incorrono precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulati con riguardo ad una presunta violazione delle disposizioni di legge indicate nella rubrica di ciascuno di essi, pretendono di criticare l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito circa il dies a quo del termine di decadenza, che la Corte territoriale ha esattamente riportato alla “data della conoscenza o possibilità di conoscenza del nesso eziologico esistente tra la patologia contratta e la trasfusione” (così la sentenza impugnata, pag. 3), da intendersi logicamente come conoscenza (o possibilità di conoscenza) di tutti gli elementi propri della fattispecie normativa, che sono appunto la malattia, intesa quale affezione patologica dell’organismo che abbia causato un danno giuridicamente rilevante, e la sua derivazione causale da una trasfusione (cfr. tra le tante Cass. n. 17800 del 2016);

che, anche volendo riqualificare i motivi di ricorso in termini di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (cfr. su tale possibilità Cass. nn. 4036 del 2014 e 23940 del 2017), le censure sarebbero comunque inammissibili, dal momento che, indipendentemente dal fatto che il ricorrente non ha nemmeno allegato in quale diverso e successivo momento avrebbe acquisito la consapevolezza utile a far decorrere il termine di decadenza (cfr. al riguardo pag. 6 del ricorso per cassazione), si tratta in specie di doppia conforme in punto di accertamento di fatto ed il ricorso per cassazione non può essere proposto per il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (art. 348-ter c.p.c., u.c.);

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro, 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019

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