Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26476 del 19/10/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/10/2018, (ud. 21/03/2018, dep. 19/10/2018), n.26476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8125/2013 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO DEI

LOMBARDI 4, presso lo studio degli avvocati PAOLO PASCAZI, ANGELO

CASILE, GREGORIO ARENA che lo rappresentano e difendono, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA,

alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– controricorrente –

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 16 aprile 2012 la Corte d’appello di Roma respinge l’appello proposto da A.A. – già dipendente della Cassa per il Mezzogiorno (CASMEZ), dal 20 maggio 1970, poi trasferito nei ruoli dell’apposita Gestione Commissariale dell’Agenzia per la promozione dello sviluppo per il Mezzogiorno (AGENSUD) e, infine, immesso nei ruoli del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con decorrenza 13 ottobre 1993 – avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 19082/2007, di rigetto della domanda dell’ A. volta ad ottenere, da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la corresponsione dell’indennità di amministrazione in misura piena, da ricomprendere nella base retributiva, anche in aggiunta all’assegno personale pensionabile di cui al D.Lgs. n. 96 del 1993, art. 14-bis;

che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) D.Lgs. n. n. 96 del 1993 cit., art. 14-bis, stabilisce in modo chiaro e inequivoco che ai dipendenti nelle condizioni dell’ A., in aggiunta alla retribuzione, è attribuito un assegno personale pensionabile, riassorbibile con qualsiasi successivo miglioramento, pari alla differenza tra la predetta retribuzione e lo stipendio già percepito presso la soppressa AGENSUD e comunque non superiore a Lire 1.500.000 lorde mensili, aggiungendo che “le altre indennità eventualmente spettanti presso l’Amministrazione di destinazione, diverse dall’indennità integrativa speciale, sono corrisposte solo nella misura eventualmente eccedente l’importo del predetto assegno personale”;

b) pertanto è indubbio che, in base alla norma, l’indennità di amministrazione che è un elemento fisso facente parte del trattamento economico principale e come tale totalmente pensionabile – viene inglobata fino al riassorbimento nell’assegno personale, da cui è esclusa soltanto l’indennità integrativa speciale;

c) tanto basta per respingere le censure del ricorrente,aggiungendosi che va esclusa qualsiasi violazione del principio di parità di trattamento, tanto più che in favore dei dipendenti ex AGENSUD viene considerata anche l’anzianità maturata presso l’Ente di provenienza, il che determina un trattamento complessivamente superiore di quello corrisposto alla generalità dei dipendenti del Comparto Ministeri;

d) infine, a fronte del chiaro dettato normativo, è ininfluente la mancata risposta della PA alle richieste di chiarimento in merito all’avvenuta corresponsione in favore dell’ A. dell’indennità di amministrazione in misura piena, da un certo momento in poi, tanto più che anche la controparte non ha offerto alcuna spiegazione al riguardo, pur essendone stata sollecitata, che avverso tale sentenza A.A. propone ricorso affidato a tre motivi, al quale oppone difese, con controricorso, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è articolato in tre motivi;

che con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 96 del 1993, art. 14-bis, dell’art. 32 dell’Accordo Integrativo del 16 maggio 2001, dell’art. 33 CCNL 1998-2001, comma 3, Comparto Ministeri, contestandosi l’interpretazione offerta dalla corte d’appello dell’art. 14-bis cit., e sottolineandosi che l’art. cit. stabilisce che: “al dipendente è attribuito lo stipendio iniziale della qualifica attribuitagli ai fini dell’inquadramento”, il che equivarrebbe al riconoscimento del diritto all’attribuzione piena dell’indennità di amministrazione, essendo l’assegno personale riassorbibile solo con i successivi miglioramenti retributivi derivanti dai rinnovi contrattuali;

che con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 436 c.p.c., per non avere la Corte d’appello preso nella dovuta considerazione – come fatti rivelatori della fondatezza della pretesa – la avvenuta corresponsione, dopo la sentenza di primo grado, dell’emolumento richiesto e la mancata risposta alle reiterate richieste di chiarimento sul tale comportamento, da considerare come mancata contestazione in giudizio di un fatto principale attestante l’adozione di un comportamento conforme alle pretese del ricorrente; che con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, perchè l’omesso riconoscimento integrale dell’indennità di amministrazione in favore del ricorrente sarebbe discriminatorio, rispetto al trattamento corrisposto alla generalità dei dipendenti del Comparto Ministeri, per i quali la suddetta indennità ha carattere fisso e continuativo e rientra nella base retributiva;

che il ricorso non è da accogliere;

che il primo motivo va respinto, in quanto come afferma correttamente la Corte d’appello, il D.Lgs. n. n. 96 del 1993 cit., art. 14-bis stabilisce in modo chiaro e inequivoco che ai dipendenti nelle condizioni dell’ A., in aggiunta alla retribuzione, è attribuito un assegno personale pensionabile, riassorbibile con qualsiasi successivo miglioramento, aggiungendo che tutte “le altre indennità eventualmente spettanti presso l’Amministrazione di destinazione” sono corrisposte solo nella misura eventualmente eccedente l’importo del predetto assegno personale, ad eccezione della indennità integrativa speciale;

che, quindi, “per tabulas”, è da escludere nella base retributiva del ricorrente possa essere inclusa l’indennità di amministrazione in misura piena, “anche in aggiunta” all’assegno personale pensionabile di cui al D.Lgs. n. 96 del 1993, art. 14-bis;

che, questa essendo la situazione normativa – diversamente da quel che si sostiene nel secondo motivo – non assume alcun valore giuridico, in contrario, il pagamento sopravvenuto da parte della PA, insieme con l’assegno personale, della suddetta indennità in una misura variabile sulla base di un rapporto tra le due voci che la Corte territoriale definisce “assolutamente incomprensibile”;

che tale pagamento è soltanto un elemento di fatto, rimasto privo di qualsivoglia spiegazione anche da parte dell’ A., come si sottolinea nella sentenza impugnata, senza che nel presente ricorso tale questione sia affrontata;

che il terzo motivo è inammissibile, perchè nella specie il principio di parità di trattamento di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 45, non è invocabile, in quanto, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, tale principio, secondo cui le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell’ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive, come tali, della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato, di regola sufficiente, salva l’applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete (tra le tante: Cass. 20 gennaio 2014, n. 1037; Cass. 31 luglio 2017, n. 19043);

che, in sintesi, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4000,00 (quattromila/00) oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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