Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26475 del 21/12/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. lav., 21/12/2016, (ud. 11/10/2016, dep.21/12/2016),  n. 26475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 338/2014 proposto da:

C.B.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO

VACIRCA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

VINCENZO PAOLILLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

IRCCS – AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITA’ SAN MARTINO ISTITUTO

NAZIONALE PER LA RICERCA SUL CANCRO C.E. (OMISSIS);

– intimato –

Nonchè da:

IRCCS – AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITA’ SAN MARTINO ISTITUTO

NAZIONALE PER LA RICERCA SUL CANCRO C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI SANTA COSTANZA 46, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

MANCINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MASSIMILIANO ALOI, giusta delega e memoria di costituzione in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.B.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO

VACIRCA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

VINCENZO PAOLILLO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 356/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 21/06/2013 R.G.N. 304/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;

udito l’Avvocato ALOI MASSIMILIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito il ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Corte di Appello di Genova, riformando la sentenza del locale Tribunale che aveva accolto il ricorso, ha respinto tutte le domande proposte nei confronti della Azienda Ospedaliera Universitaria “San Martino – IST” da C.B.M., il quale aveva agito in giudizio contestando la legittimità della risoluzione del rapporto di lavoro disposta dalla resistente il 16 maggio 2011 ai sensi della L. 3 agosto 2009, n. 102, art. 17, comma 35 novies, a seguito del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni.

2 – La Corte territoriale ha evidenziato che il potere di recesso era stato correttamente esercitato in quanto l’Azienda, al fine di razionalizzare e contenere la spesa, aveva realizzato un unico polo cardiologico e si era fatta anche carico della esigenza di salvaguardare la funzionalità del servizio, attraverso una complessiva riorganizzazione che aveva sopperito al venire meno dell’apporto professionale dato dall’appellato.

Il giudice di appello ha escluso l’asserito carattere discriminatorio della risoluzione anticipata del rapporto, sia perchè la norma che l’aveva consentita faceva riferimento alla anzianità contributiva e non all’età, sia in quanto la disposizione rispondeva ad una precisa finalità di interesse generale perseguita dal legislatore. Infine la Corte territoriale ha ritenuto che il provvedimento di recesso non dovesse essere motivato, essendo sufficiente il richiamo alla norma della quale la Azienda si era avvalsa.

3 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.B.M. sulla base di due motivi. L’Azienda Ospedaliera ha resistito con tempestivo controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato al quale a sua volta il C. ha replicato con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo il ricorrente denuncia “omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti; nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 132 c.p.c.; conseguente falsa applicazione della L. n. 102 del 2009, art. 17, comma 35, e del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 2, comma 1, e art. 5, anche con riferimento a quanto previsto in generale dall’art. 2697 c.c.”. Sostiene, in sintesi, il C. che la Corte territoriale, nel ritenere che la facoltà di recesso fosse stata esercitata non arbitrariamente bensì in relazione alle esigenze di contenimento della spesa perseguite attraverso la riorganizzazione del polo cardiologico, avrebbe prestato acritica adesione alla tesi dell’appellante, errando nella valutazione del materiale probatorio acquisito. Richiama la motivazione della sentenza di primo grado per sostenere che, in realtà, il recesso aveva determinato “gravi sofferenze di organico a scapito della efficienza del servizio” e fa leva sulle deposizioni testimoniali e sulla documentazione prodotta a suo avviso idonee a dimostrare che nessuna riorganizzazione era stata attuata presso l’unità operativa di cardiochirurgia alla quale il C. era addetto. Ribadisce, infine, che la Azienda non aveva adottato, come sarebbe stato suo onere, criteri generali che tenessero conto delle peculiari competenze e delle specifiche professionalità dei dirigenti medici.

1.2 – La seconda censura denuncia ” violazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 15, comma 1 nonies, come modificato dall’art. 22 della legge 4 novembre 2010 n. 183; falsa applicazione della L. 3 agosto 2009, n. 109, art. 17, comma 35 novies, che ha modificato il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11″. Asserisce il ricorrente che la facoltà concessa ai dirigenti medici di differire il collocamento a riposo sino al “maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo”, in quanto diritto potestativo perfetto, ove esercitata impedirebbe al datore di lavoro di recedere dal rapporto facendo leva sul raggiungimento della massima anzianità contributiva. Aggiunge che la modifica del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, è successiva all’entrata in vigore dell’art. 72, come modificato dalla legge n. 109/2009, e che la norma speciale non può non essere prevalente rispetto a quella generale.

2.1 – Il ricorso incidentale condizionato denuncia, con la prima censura, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale era stata reiterata l’eccezione di decadenza dalla impugnazione del licenziamento, erroneamente respinta dal Tribunale. La Azienda Ospedaliera evidenzia che la Corte territoriale aveva dato atto, nello storico di lite, del motivo di impugnazione ma aveva poi accolto nel merito l’appello, senza affrontare la questione, logicamente preliminare, della tempestività della impugnazione stragiudiziale.

2.2 – Il secondo ed il terzo motivo, che la ricorrente incidentale formula per contrastare una eventuale pronuncia implicita di rigetto sulla fondatezza della eccezione, denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., e L. n. 604 del 1966, art. 6, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1. La Azienda Ospedaliera sostiene, in sintesi, di avere fornito la prova della ricezione, da parte del C., della missiva di licenziamento in data 18 maggio 2011 e di avere egualmente dimostrato, attraverso la produzione documentale, che la lettera, con la quale il recesso era stato impugnato, recava il timbro di protocollo apposto il 18 luglio 2011, quando già era spirato il termine di sessanta giorni previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 6. Era, pertanto, onere del ricorrente dimostrare, a fronte della eccezione sollevata nella memoria ex art. 416 c.p.c., la tempestività della iniziativa stragiudiziale e, quindi, la data di spedizione della missiva. Erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che l’onere probatorio gravasse sul datore di lavoro.

3 – Ragioni di priorità logica impongono di esaminare innanzitutto il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente contesta in radice la possibilità per l’Azienda di avvalersi del recesso previsto dal D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, come modificato dalla L. n. 102 del 2009, art. 17, comma 35 nonies, sul rilievo che per i dirigenti medici la normativa sarebbe stata derogata dalla modifica apportata al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 nonies, dalla L. n. 183 del 2010, art. 22, comma 1.

Il motivo è infondato.

La disposizione che il ricorrente invoca prevede che “il limite massimo di età per il collocamento a riposo dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i responsabili di struttura complessa, è stabilito al compimento del sessantacinquesimo anno di età, ovvero, su istanza dell’interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo. In ogni caso il limite massimo di permanenza non può superare il settantesimo anno di età e la permanenza in servizio non può dar luogo ad un aumento del numero dei dirigenti”.

La norma, come reso evidente già dal titolo, fissa il limite insuperabile di permanenza in servizio del dirigente medico e non interferisce con la facoltà, concessa a tutte le pubbliche amministrazioni, di recedere dal rapporto con il personale che abbia raggiunto la massima anzianità contributiva di 40 anni di servizio e sia, quindi, in possesso dei requisiti per accedere alle prestazioni pensionistiche.

Come osservato dalla Corte territoriale le due disposizioni non sono incompatibili fra loro, perchè operano su piani distinti, essendo l’una destinata a fissare i limiti massimi della permanenza in servizio, l’altra a consentire il recesso anticipato, rispetto a detti limiti massimi, qualora sussistano le ulteriori condizioni delle quali si dirà in prosieguo.

4 – E’, invece, fondato il primo motivo nella parte in cui assume l’errata interpretazione ed applicazione della L. n. 102 del 2009, art. 17, comma 35.

La facoltà della Pubblica Amministrazione di risolvere unilateralmente il rapporto di impiego al raggiungimento della massima anzianità contributiva è stata prevista dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, primo e secondo periodo, poi convertito dalla L. 6 agosto 2008, n. 112, che, nel testo originario prevedeva: “Nel caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi. Con appositi decreti” (…) “sono definiti gli specifici criteri e le modalità applicative dei principi della disposizione di cui al presente comma relativamente al personale dei comparti sicurezza e difesa (n.d.r., a cui, in sede di conversione, si aggiungeva quello “affari esteri”), tenendo conto delle rispettive peculiarietà ordinamentali”.

L’art. 72, comma 11, veniva successivamente novellato dalla L. 4 marzo 2009, n. 15, art. 6, comma 3, che ne modificava il testo, sostituendo il requisito del compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni, con il requisito del “compimento dell’anzianità massima di servizio di 40 anni”.

Entrambe le formulazioni della norma, succedutesi in breve arco temporale, si limitavano a richiedere il requisito, in un caso della massima anzianità contributiva, nell’altro della massima anzianità di servizio, senza imporre ulteriori condizioni, quanto alla formazione della volontà negoziale dell’Amministrazione, e senza richiedere in modo espresso il rispetto dell’obbligo motivazionale. La determinazione di specifiche modalità applicative era, infatti, espressamente prevista solo per il personale dei comparti sicurezza, difesa ed affari esteri, in ragione delle peculiarietà dei rispettivi ordinamenti.

Successivamente, il D.L. 10 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 35 novies, convertito dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, applicabile alla fattispecie ratione temporis, sostituiva l’art. 72, comma 11. Si faceva riferimento (anni 2009, 2010, 2011) al requisito della massima anzianità contributiva; si confermava il preavviso; si precisava la unilateralità del recesso collegandolo all’esercizio del potere di organizzazione esercitato ai sensi dell’art. 5, comma 2, del T.U., con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro; si prevedeva l’applicabilità della disciplina anche per il personale dirigenziale. L’adozione di specifici criteri e modalità applicative continuava ad essere prevista solo per i comparti sicurezza, difesa e affari esteri.

Il comma 35 decies, stabiliva, inoltre, che “Restano ferme tutte le cessazioni dal servizio per effetto della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro a causa del compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni, decise dalle amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, in applicazione del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore della L. 4 marzo 2009, n. 15, nonchè i preavvisi che le amministrazioni hanno disposto prima della medesima data in ragione del compimento dell’anzianità massima contributiva di quaranta anni e le conseguenti cessazioni dal servizio che ne derivano”.

Le condizioni richieste per il recesso sono rimaste immutate anche nelle successive novelle, fino all’intervento del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 1, comma 5, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114, in ragione del quale il vigente art. 72, comma 11, primo periodo, prevede che “Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l’accesso al pensionamento” (…) “risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un’età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale” (…).

La ricostruzione della disciplina va completata con il richiamo al D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 16, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, che, ha stabilito: “In tema di risoluzione del rapporto di lavoro l’esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 72, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l’amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo”.

3 – Le disposizioni sopra citate sono già state interpretate da questa Corte con la sentenza n. 21626 del 23.10.2015, che ha affermato il carattere innovativo e non interpretativo del D.L. n. 98 del 2011, art. 16, e con la sentenza n. 11595 del 6 giugno 2016 con la quale, ribadito il principio, si è precisato che ” se è chiaro che il requisito della adozione dell’atto generale organizzativo (sostitutivo dell’ulteriore motivazione) è frutto di scelta innovativa (come detto dalla citata pronunzia del 2015), altrettanto chiaro e condiviso è che l’obbligo motivazionale solo de futuro sostituito dall’atto generale – sussisteva già a regolare l’originaria risoluzione di cui al D.L. del 2008, art. 72, comma 11″.

A dette conclusioni la Corte è pervenuta dopo avere sottolineato la necessità di interpretare la normativa che qui viene in rilievo, non solo alla luce dei principi costituzionali consacrati nell’art. 97 Cost., ma anche e soprattutto della direttiva 2000/78 CE, perchè il compimento della massima anzianità contributiva necessariamente si correla all’età del lavoratore, con la conseguenza di rendere applicabile la richiamata direttiva nella parte in cui prevede che disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscono discriminazione solo qualora “siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari”.

E’ stato, quindi, affermato che “La facoltà attribuita dal D.L. n. 112 del 2008, art. 72, comma 11, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, alle Pubbliche amministrazioni di poter risolvere il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi, nei caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, deve essere esercitata, anche in difetto di adozione di un formale atto organizzativo, avendo riguardo alle complessive esigenze dell’Amministrazione, considerandone la struttura e la dimensione, in ragione dei principi di buona fede e correttezza, imparzialità e buon andamento, che caratterizzano anche gli atti di natura negoziale posti in essere nell’ambito del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato. L’esercizio della facoltà richiede, quindi, idonea motivazione, poichè in tal modo è salvaguardato il controllo di legalità sulla appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata, rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguite nell’ambito di politiche del lavoro. Tale motivazione, si aggiunge, si rende ancor più necessaria in mancanza di un atto generale di organizzazione perchè costituisce il solo strumento di conoscenza e verifica delle ragioni organizzative che inducono l’Amministrazione ad adottare atti di risoluzione contrattuale. In mancanza, la risoluzione unilaterale dei rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato viola le norme imperative che richiedono la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2), l’applicazione dei criteri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), e i principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nonchè l’art. 6, comma 1, della direttiva 78/2000/CE.”.

4 – La sentenza impugnata, nella parte in cui afferma la non necessità della motivazione e la non pertinenza del richiamo alla direttiva 2000/78/CE non è conforme a detti principi di diritto, ribaditi da Cass. 14.9.2016 n. 18099 e da Cass. 23.9.2016 n. 18723, ai quali il Collegio intende dare continuità, sicchè si impone l’accoglimento in parte qua del ricorso.

5 – Parimenti fondato è il ricorso incidentale condizionato, perchè la Corte territoriale, pur dando atto del motivo di appello proposto avverso il capo della sentenza che aveva respinto l’eccezione di tardività della impugnativa stragiudiziale, non ha pronunciato al riguardo.

La fondatezza del primo motivo di gravame incidentale è assorbente, nè può questa Corte evitare sul punto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito, giacchè la questione non è di mero diritto ma richiede ulteriori accertamenti di fatto, inerenti alla valutazione della prova documentale offerta dalle parti ed alla tempestività della produzione.

6 – In conclusione vanno accolti il primo motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello indicata in dispositivo che, in considerazione del carattere preliminare della questione di decadenza, procederà innanzitutto all’esame del motivo di appello in relazione al quale la pronuncia è stata omessa e, in caso di mancato accoglimento della censura, ad una nuova valutazione della legittimità del recesso, da compiersi sulla base del principio di diritto enunciato al punto 3.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e rigetta il secondo motivo; accoglie il primo motivo di ricorso incidentale e dichiara assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Genova, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA