Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26471 del 21/12/2016


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Cassazione civile, sez. lav., 21/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep.21/12/2016),  n. 26471

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8920-2014 proposto da:

L.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA RABIRIO 1, presso lo studio dell’avvocato DE GREGORIO GIULIO

MARIA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

TRASPORTI INTERNAZIONALI AGENZIA MARITTIMA SAVINO DEL BENE S.P.A.

C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo

studio dell’avvocato GIUSEPPE FONTANA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANDREA DEL RE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza definitiva n. 203/2013 del TRIBUNALE di FIRENZE,

depositata il 21/02/2013 R.G.N. 12/2010;

avverso l’ordinanza definitiva della CORTE DI APPELLO di FIRENZE,

depositata il 30/01/2014 R.G.N. 841/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. MANNA ANTONIO;

udito l’Avvocato DE GREGORIO GIULIO MARIA;

udito l’Avvocato FABIO per delega verbale Avvocato FONTANA GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO GIANFRANCO che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso in subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 203/13 il Tribunale di Firenze rigettava la domanda di L.R. intesa ad ottenere il riconoscimento d’un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di Trasporti Internazionali Agenzia Marittima Savino Del Bene S.p.A. tra il 2005 e il 2009, nonchè la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli e la condanna della società al pagamento di importi vari a titolo retributivo.

Con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., la Corte d’appello di Firenze dichiarava inammissibile l’appello proposto da L.R., che oggi ricorre per la cassazione della sentenza del Tribunale affidandosi a sette motivi.

Trasporti Internazionali Agenzia Marittima Savino Del Bene S.p.A. resiste con controricorso.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Preliminarmente mette conto evidenziare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della società, il ricorso – letto nella sua interezza e considerato l’interesse ad agire che ne è a monte – deve intendersi (malgrado l’inesatta indicazione del canale di accesso al giudizio di legittimità) non già come proposto per saltum ai sensi del dell’art. 360 c.p.c., comma 3, ma come sostanzialmente presentato ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in combinato disposto con l’art. 348 ter c.p.c., comma 3.

2.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2104, 1375, 2497, 2497 bis, 2359, 2359 quinquies, 2203, 2209, 2697, 2730 e 2735 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha negato l’esistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato fra le parti. Si sostiene in ricorso che dal materiale di causa (documentale e testimoniale) e dalle stesse ammissioni della controricorrente emerge che L.R. era stato contattato, istruito e destinato a svolgere attività lavorativa in India dalla Savino Del Bene S.p.A., società a sua volta posta al vertice del gruppo comprendente anche SDB India o SDB Luxembourg. La stessa controricorrente – prosegue il ricorso – aveva adottato ogni decisione in merito alla continuazione e, poi, alla cessazione del rapporto di lavoro. Ciò dimostra conclude il motivo – sia l’esercizio del potere direttivo datoriale e l’utilizzo del dipendente direttamente da parte della società capogruppo e nel suo interesse, sia la mera simulazione del contratto di consulenza originariamente stipulato inter partes.

2.2. Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. e degli artt. 2497, 2497 bis e degli artt. da 2359 a 2359 quinquies c.c., oltre che degli artt. 1180 e 2094 c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto che il (peraltro simulato) contratto di consulenza fosse stato stipulato con SDB International Luxembourg SA (che aveva incorporato SDB Finanziaria SA) anzichè con la controricorrente, come invece desumibile dal fatto che tale contratto era stato firmato da N.P., all’epoca presidente e maggior azionista della società. Quest’ultima – prosegue il motivo – si era poi direttamente interessata a che venissero pagate le spettanze del ricorrente, sebbene l’adempimento fosse stato formalmente eseguito da un terzo (SDB Luxembourg o India).

2.3. Il terzo motivo deduce violazione degli artt. 2094, 2104, 1375, 2203, 2209, 2730, 2733, 2735 e 2697 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 2094 c.c., per avere la sentenza erroneamente valutato i rapporti tra il L. e il B.; questi, in India, aveva esercitato sul ricorrente un vero e proprio potere gerarchico concretizzatosi in direttive operative e decisioni o comunicazioni relative al formale contratto di collaborazione e al rapporto con SDB India (di cui il B. era poi divenuto presidente). Si lamenta ancora che l’essere la società controricorrente al vertice del gruppo non esclude la titolarità del rapporto lavorativo de quo, da essa gestito direttamente (quanto a costituzione, svolgimento e cessazione).

2.4. Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 2697, 2497, 2359 e ss. c.c. e art. 115 c.p.c., nella parte in cui la gravata pronuncia ha malamente valutato le dichiarazioni del teste P., diretto superiore del ricorrente, la cui generica deposizione è stata peraltro contraddetta da quella del teste B.: in tal modo – si lamenta – la sentenza è giunta all’erronea conclusione secondo cui L.R. avrebbe lavorato non nell’interesse della società capogruppo, ma per il gruppo o per una qualsiasi delle sue società.

2.5. Il quinto motivo denuncia violazione della L. n. 604 del 1966 e della L. n. 300 del 1970, art. 18, relativamente al mancato accoglimento della domanda volta a far dichiarare illegittimo il licenziamento del ricorrente, con le conseguenze previste dalla norma statutaria.

2.6. Il sesto motivo censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2094 e 1180 c.c., nella parte in cui ha asserito che il ricorrente avrebbe dovuto preliminarmente proporre domanda di accertamento della simulazione dei rapporti intercorsi con le società straniere del gruppo SDB.

2.7. Il settimo motivo denuncia violazione della L. n. 27 del 2012, art. 9, comma 2 e del D.M. n. 140 del 2012, art. 9, comma 2 del Ministro della Giustizia, in relazione al quantum delle spese di lite poste a carico del ricorrente, determinato nella misura massima in base al valore indeterminabile della controversia, senza considerarne l’oggetto e la complessità che, nonostante le apparenze, non richiedevano la disamina di questioni particolarmente complicate. Pertanto – conclude il ricorso – il Tribunale avrebbe potuto condannare L.R. a spese superiori al valore medio aumentato del 50% e, quindi, a non più di Euro 6.750,00.

3.1. I primi quattro motivi, ad onta dei richiami normativi in essi contenuti, sostanzialmente sollecitano una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze istruttorie affinchè se ne fornisca un diverso apprezzamento.

Si tratta di operazione inammissibile in sede di legittimità, ancor più ove si consideri che in tal modo il ricorso finisce con il riprodurre sostanziali censure ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 a monte non consentite nel caso di specie dall’art. 348 ter c.p.c., comma 4, essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme di merito basata sulle medesime ragioni di fatto.

3.2. L’inammissibilità del quinto motivo deriva da quella dei precedenti, non potendosi neppure parlare di esistenza o meno d’un licenziamento e d’una sua illegittimità a fronte della mancanza di prova – in questa sede non censurabile, alla stregua di quanto precede sub 3.1. – della dedotta subordinazione.

3.3. Il sesto motivo è irrilevante perchè potenzialmente idoneo ad inficiare solo una delle rationes decidendi della sentenza impugnata (l’altra risiede nella mancanza di prova della subordinazione, affermazione – si ribadisce – non censurabile nella presente sede).

3.4. Il settimo motivo è inammissibile perchè sollecita un non consentito sindacato di questa Corte sull’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito relativo alla liquidazione delle spese. Nè il ricorso evidenzia una violazione dei limiti tariffari.

4.1. In conclusione, il ricorso è da dichiararsi inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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