Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2647 del 28/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2022, (ud. 10/12/2021, dep. 28/01/2022), n.2647

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32711-2019 proposto da:

AR.BA., A.A., A.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GREGORIO VII n. 466, presso lo studio

dell’avvocato MARINA FLOCCO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

SAGRANTINO ITALY SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, CERVED CREDIT MANAGEMENT SPA CON SOCIO UNICO, in persona

del procuratore speciale pro tempore, elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA ARCHIMEDE 44, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO

TARTAGLIA, che le rappresenta e difende;

– controricorrenti –

contro

LSF ITALIAN FINANCE COMPANY SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 6024/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 10/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA

NAZZICONE.

 

Fatto

RILEVATO

– che con sentenza del 27 settembre 2018, n. 6024, la Corte d’appello di Roma ha respinto l’impugnazione avverso la decisione del Tribunale della stessa città, la quale aveva, a sua volta, rigettato le domande proposte dalla parte mutuataria e dal terzo datore d’ipoteca contro la UCB Credicasa s.p.a., concernenti la nullità di due contratti di mutuo conclusi il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), per indeterminatezza delle clausole sugli interessi ed usurarietà degli stessi, nonché, in subordine, la risoluzione del primo contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta o la sua riduzione ad equità, oltre alla condanna della banca alla restituzioni ed al risarcimento del danno;

– che avverso questa sentenza i soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi;

– che si è costituita una delle intimate, depositando controricorso.

Diritto

RITENUTO

– che il ricorso propone quattro motivi d’impugnazione, che possono essere come di seguito riassunti:

1) omesso esame dei documenti relativi alla intervenuta cessione di crediti tra la LSF Italian Finance Company s.r.l. e l’odierna intimata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto gli atti da quest’ultima depositati in giudizio sono ben lungi dal costituire prova documentale idonea della propria legittimazione processuale, come dimostrano le considerazioni svolte dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Civitavecchia in un diverso giudizio, onde non sussiste nessun dubbio che la corte d’appello abbia mal valutato i documenti in atti;

2) omessa pronuncia oppure omesso esame della domanda relativa all’accertamento sull’esistenza della provvista in Ecu, con violazione degli artt. 1284 e 2697 c.c., e dell’art. 112 c.p.c., perché il tribunale non si era pronunciato al riguardo e la corte d’appello ha ritenuto la domanda non formulata, quando, invece, essa era implicita nelle conclusioni rassegnate in via istruttoria, in quanto tale accertamento era connesso alle domande di nullità del tasso di interesse pattuito; in tal modo, è violato l’art. 2697 c.c., perché la corte d’appello non ha rilevato la mancata prova di tale elemento, ed è violato l’art. 1284 c.c., perché in tal modo non vi era valida pattuizione del tasso ultralegale;

3) violazione degli artt. 1815 e 2697 c.c., della L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, avendo la sentenza impugnata ritenuto la disciplina antiusura inapplicabile al contratto concluso prima della sua entrata in vigore e non usurario il tasso del secondo contratto: ma ciò non è quanto risulta dai documenti in atti, non bene esaminati dal c.t.u., le cui conclusioni, in violazione dell’art. 2697 c.c., la corte d’appello ha omesso di valutare criticamente;

4) violazione dell’art. 1384 c.c., in quanto la corte territoriale ha respinto la domanda di riduzione della clausola penale per la pattuizione degli interessi moratori, affermando che essa sia stata assorbita in primo grado dal rigetto della domanda di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, su cui ormai si sarebbe formato il giudicato, mentre così non e’, perché le due domande sono diverse;

– che la corte territoriale, per quanto ancora rileva: a) ha disatteso l’eccezione di carenza di legittimazione processuale della Sagrantino Italy s.r.l., sulla scorta della cessione di credito avvenuta, risultante dagli atti di causa, in relazione ad una cessione in blocco dei crediti dell’originaria dante causa; b) ha condiviso il giudizio di primo grado, con riguardo al fatto che non sussista la dedotta indeterminatezza dei tassi di interesse dei due contratti di mutuo, ampiamente argomentando le conclusioni sulla base dei documenti in atti e della c.t.u. espletata in primo grado; c) ha escluso qualsiasi omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della provvista in Ecu, che secondo gli appellanti sarebbe stata essenziale per la determinatezza del contratto, in quanto nessuna domanda in tal senso è mai stata formulata in primo grado, come ammesso del resto dagli stessi appellanti; d) ha confermato, altresì, l’irrilevanza di un eventuale superamento dei tassi usurari per il primo contratto del 1993, osservando come, comunque, il c.t.u. abbia escluso che, pur dopo l’entrata in vigore della L. 7 marzo 1996, n. 108, il calcolo degli interessi applicati abbia cagionato il superamento del tasso soglia; mentre, quanto al contratto del 1998, condivisibilmente il c.t.u., nella sua completa relazione, ha escluso qualsiasi usurarietà degli interessi applicati; e) non vi è omessa pronuncia, da parte del primo giudice, sulla domanda di riduzione della penale ex art. 1384 c.c., formulata sulla base del dedotto incremento del tasso di cambio Lira-Ecu: infatti, il Tribunale ha escluso ogni eccessiva onerosità degli interessi in relazione alla domanda subordinata di risoluzione per eccessiva onerosità, non essendovi nessuna prova dell’assoluta straordinarietà dell’aumento del tasso, in ciò implicitamente disattendendo anche la domanda di riduzione della penale divenuta eccessiva: e, nell’atto di appello, gli appellanti non hanno impugnato la statuizione del primo giudice in merito alla domanda di risoluzione detta, onde la questione relativa alla esistenza, o no, di una eccessiva onerosità sopravvenuta per l’incremento del tasso di cambio è coperta dal giudicato, che attiene al dedotto ed al deducibile;

– che, ciò posto, il primo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., non avendo parte ricorrente indicato o riportato i documenti afferenti la contestata legittimazione processuale della controparte: noto essendo che (e multis, Cass. 13 marzo 2018, n. 6014; Cass. 20 luglio 2012, n. 12664) “(a)nche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, in relazione ai quali la corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali”;

– che, al riguardo, non sussiste neppure l’omesso esame denunziato, posto che la corte del merito ha affermato di avere, appunto, deciso dopo avere esaminato i documenti prodotti, né le sue conclusioni possono essere vanificate dalla mera deduzione di un diverso opinamento da parte del giudice di un differente giudizio (al riguardo, si noti come, negli stralci dei procedimento innanzi al g.e. riportati nel motivo, si affermi come sia ivi “non leggibile” l’estratto della G.U. prodotto e come non possa valere la “documentazione in atti non visibile nel presente fascicolo”);

– che il secondo motivo è inammissibile, in quanto confonde le nozioni di omessa pronuncia e di omesso esame di fatto decisivo: come si è da tempo chiarito, la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c., e l’omesso esame di fatto decisivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consiste nella circostanza che nella prima l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, mentre, nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione (e multis, Cass. 16 marzo 2017, n. 6835; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23930; Cass. 22 gennaio 2018, n. 1539);

– che ulteriore ragione di inammissibilità del motivo consiste nella violazione del principio di autosufficienza del ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., posto che i ricorrenti, nel dolersi della mancata considerazione di una domanda di parte, la indicano come “implicita” nelle “conclusioni rassegnate in via istruttoria”: senza, tuttavia, neppure riportarle, in modo da permettere alla Corte, sulla base del mero esame del motivo, di valutare la censura qui proposta;

– che la censura di violazione dell’art. 2697 c.c., è del pari inammissibile, posto che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (e multis, Cass. 20 aprile 2020, n. 7919; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107);

– che il terzo motivo è inammissibile, essendo volto, pur sotto l’egida del vizio di violazione di legge, ad una completa riproposizione del giudizio di fatto, dovendo inoltre ripetersi quanto appena esposto in relazione alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c.;

– che il quarto motivo non coglie nel segno, non percependo i ricorrenti l’esatta ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale si fonda sull’ormai maturato giudicato interno circa la circostanza relativa all’insussistenza di una eccessiva onerosità della clausola sugli interessi moratori: in luogo, tuttavia, che censurare tale ritenuto giudicato interno, il motivo si limita a dolersi della violazione dell’art. 1384 c.c., norma la cui interpretazione o applicazione esula dalla pronuncia impugnata; né, quanto alla negazione della formazione di un giudicato al riguardo, pur contenuta nel motivo, esso è autosufficiente ex art. 366 c.p.c., posto che non riporta o indica nessuno dei passaggi degli atti di parte, da cui sia possibile procedere alla valutazione della censura;

– che, in definitiva, il ricorso è complessivamente inammissibile;

– che le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate in Euro 6.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2022

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