Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26468 del 26/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 26468 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 20138-2012 proposto da:
SCHIFONE STEFANO CHSFN59TO4H501K) in proprio e nella qualità di socio
accomandatario della SAS TECNOCONSULT, TRALICCI CINZIA
TRLCNZ60M57H501B) elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 20,
presso lo studio dell’avvocato STANISCIA NICOLA, che li rappresenta e difende giusta

Data pubblicazione: 26/11/2013

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZ 8018440587) in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope
legis;
1

.224g

4

- controricorrente –

avverso il decreto n. 813/2012 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA del
19/03/2012, depositato il 04/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2013 dal
Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;

raccoglimento del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
La Corte d’appello di Roma, con decreto depositato il 4 giugno 2012, in accoglimento
del ricorso proposto da Schifone Stefano e Tralicci Cinzia, ha condannato il Ministero
della Giustizia al pagamento, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale da
irragionevole durata del processo, della somma di euro 4150,00 in favore di ciascuno dei
ricorrenti, oltre agli interessi legali dalla domanda.
La Corte di merito ha rilevato che il giudizio presupposto era iniziato innanzi al
Tribunale di Roma, con atto di citazione del 2 gennaio 1997 ed era stato definito in
primo grado con sentenza depositata il 5 luglio 1999, e, in secondo grado (instaurato
innanzi alla Corte d’appello di Roma con citazione notificata il 5 marzo 2001) con
sentenza depositata il 18 ottobre 2004. Infine era stato depositato ricorso per cassazione
il 2 dicembre 2005, ed il relativo giudizio si era concluso con sentenza depositata 1’11
giugno 2010. Ha concluso la Corte di merito che complessivamente detto processo
aveva avuto una durata di dieci anni e sette mesi, a fronte di quella ragionevole di sei

è presente il P.G. in persona del Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per

anni, e dunque una esorbitanza rispetto al periodo di durata ragionevole pari a quattro
anni e sette mesi. Il relativo danno per ciascun ricorrente è stato stimato in euro 750,00
ad anno per i primi tre anni ed in euro 1200,00 per ognuno degli anni successivi.
Per la cassazione di tale decreto ricorrono lo Schifone, in proprio e nella qualità di socio
accomandatario della s.a.s. Tecnoconsult, e la Tralicci sulla base di tre motivi. Resiste con
controricorso il Ministero della Giustizia.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2

LI

Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza.
Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116
cod.proc.civ. e 2697 cod.civ. nonché della legge n. 89 del 2001. Avrebbe errato la Corte
di merito nel detrarre dal periodo di durata complessiva del processo – 13 anni e 4 mesi
— il termine per impugnare le sentenze di primo e di secondo grado, pari a 27 mesi e 7

La doglianza è fondata nei termini di seguito precisati.
La Corte di merito ha detratto dal termine complessivo della durata del procedimento,
ritenendolo imputabile alle parti, un periodo di due anni e dieci mesi, corrispondente al
periodo intercorrente tra il deposito della sentenza di primo grado e di quella di appello
e la notifica dei rispettivi atti di gravame.
Essa ha, in tal, modo, ignorato l’onere di verificare i tempi di comunicazione della
sentenza alle parti, dovendosi escludere che possa in alcun modo essere imputabile alle
parti il lasso di tempo occorrente per la comunicazione della sentenza da parte
dell’ufficio dopo il deposito della stessa; così come non può essere addebitato alle parti
tutto il lasso di tempo intercorso tra detto momento e la proposizione della
impugnazione, giacché una simile operazione si risolverebbe nell’addebitare alla parte il
tempo occorrente per l’esercizio del diritto di difesa. È quindi compito del giudice
dell’equa riparazione verificare di volta in volta, tenuto conto delle circostanze delle
singole vicende processuali, quale sia in concreto stato il comportamento della parte che
chiede l’equa riparazione tra un grado e l’altro, e scomputare dalla durata complessiva del
giudizio solo il lasso di tempo non riconducibile, secondo il suo prudente
apprezzamento, all’esercizio del diritto di difesa. E’ evidente che, ove una parte, per
perseguire un proprio interesse, non si avvalga di una facoltà, come ad esempio quella
della notificazione della sentenza a sè favorevole a fini sollecitatori, e lasci quindi
decorrere tutto intero il termine lungo per la proposizione dell’impugnazione, non può
pretendere che il termine decorso venga tutto intero addebitato alla organizzazione
giudiziaria, dovendo al contrario, come detto, il giudice dell’equa riparazione apprezzare

3

giorni, determinandola in soli anni 10 e 7 mesi.

in concreto il comportamento della parte stessa anche in relazione al mancato esercizio
di detta facoltà.
Ne consegue che, escluso che possa imputarsi alla parte tutto il lasso di tempo intercorso
tra un grado di giudizio e l’altro, spetta al giudice dell’equa riparazione apprezzare nelle
singole situazioni concrete quanta parte del tempo occorso per la instaurazione del
giudizio di impugnazione sia riferibile ad esercizio del diritto di difesa, come tale non

la facoltà sollecitatoria di cui si è detto, con la conseguenza che il relativo lasso temporale
andrà riferito al comportamento processuale della parte (cfr., sul punto, Cass., sentt. n.
10632 e n. 5212 del 2007).
Nella specie, la Corte di merito ha computato la durata complessiva del processo
presupposto in dieci anni e sette mesi (anziché in tredici anni e cinque mesi), pervenendo
a tale conclusione attraverso la detrazione dalla stessa — in difformità dal principio di
diritto appena enunciato — dell’intero periodo compreso tra il deposito della sentenza di
primo grado e la notifica dell’impugnazione, ed allo stesso modo ha proceduto con
riferimento alla sentenza di secondo grado, anziché detrarre il periodo corrispondente al
termine previsto per le due impugnazioni ed apprezzare la condotta tenuta dalle parti in
ordine alla notifica della sentenza.
Resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso l’esame degli altri due
motivi, attinenti alla regolamentazione delle spese del giudizio di merito, cui il giudice di
rinvio dovrà nuovamente provvedere.
Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione. Il decreto
impugnato va cassato e la causa rinviata ad altro giudice — che viene individuato nella
Corte d’appello di Perugia in diversa composizione, cui è demandato altresì il
regolamento delle spese del presente giudizio – che riesaminerà la domanda dei ricorrenti
alla stregua del principio di diritto enunciato e tenendo conto delle circostanze la cui
decisività ai fini della statuizione richiesta è stata dianzi evidenziata.
P. Q.M.

4

addebitabile alla parte, e quanta, invece, alla scelta processuale delle parti di non utilizzare

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa il decreto impugnato e rinvia,
anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Perugia in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta — Sottosezione

Seconda, della Corte di Cassazione, il 12 marzo 2013.

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