Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26466 del 26/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 26466 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 16991-2012 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZI 8018440587) in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope
legis;

– ricorrente contro
GUARINO GIANLUCA, nella qualità di erede di Guarirlo Vincenzo, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 71, presso lo studio dell’avvocato ACETO
ANTONIO, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del
controricorso;

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controricorrente

Data pubblicazione: 26/11/2013

avverso il decreto n. 1813/2008 R.G. A.D. della CORTE D’APPELLO di ROMA del
31/05/2010, depositato 11 24/05/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2013 dal
Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN GIORGIO;
è presente il P.G. in persona del Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per

RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Roma, con decreto depositato il 24 maggio 2011, in accoglimento,
per quanto di ragione, del ricorso proposto da Guarino Gianluca nella qualità di erede di
Guarino Vincenzo, ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento, a titolo di
equa riparazione del danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo, della
somma complessiva di euro 2833,00 in favore dello stesso, con gli interessi legali dalla
domanda, oltre al rimborso delle spese del giudizio.
La Corte di merito, premesso che il giudizio presupposto era iniziato con ricorso del 9
agosto 1999 innanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Roma, ed era stato
definito con sentenza depositata il 7 dicembre 2006, ha rilevato che il processo avrebbe
dovuto avere la durata di tre anni, sicchè la protrazione del giudizio per ulteriori 2 anni e
10 mesi — non potendosi computare il periodo intercorrente tra il 17 luglio 2002 ed 11 24
dicembre 2003, durante il quale si era verificata la vacaiio legú conseguente alla sentenza
della Corte costituzionale in materia di collegi giudicanti del TRAP — dava luogo a diritto
all’equa riparazione ex legge n. 89 del 2001, da liquidare nella misura di euro 1000,00 per
ogni anno di ritardo, e, perciò, nella misura di euro 2833,00, oltre agli interessi legali.
Per la cassazione di tale decreto ricorre il Ministero della Giustizia sulla base di quattro
motivi. Resiste con controricorso il Guarino, che ha anche depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza.

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raccoglimento del ricorso.

Deve preliminarmente essere esaminata la eccezione, sollevata dal controricorrente, di
inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366, n. 2, cod.proc.civ. per la omessa
indicazione degli estremi di riferimento del provvedimento impugnato.
La eccezione è immeritevole di accoglimento, in quanto il ricorso reca la precisa
menzione del decreto della Corte d’appello di Roma, corredata della data e della parte cui

Infondata è altresì la ulteriore eccezione di inammissibilità, improponibilità ed
improcedibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente con riferimento alla mancata
ricostruzione della vicenda processuale ed alla tecnica dell’assemblaggio seguita nel
ricorso, che si limita ad introdurre nel corpo del ricorso il testo degli atti del giudizio,
rendendo difficoltosa la individuazione della materia del contendere.
Anche tale eccezione è infondata.
Il disposto dall’art. 366 n. 3 cod. proc. civ., secondo cui il ricorso per cassazione deve
contenere a pena d’inammissibilità l’esposizione sommaria dei fatti di causa, può ritenersi
osservato quando in esso sia stata trascritta la sentenza impugnata (ovvero gli altri atti del
giudizio), purchè se ne possa ricavare — come nella specie – la cognizione dell’origine e
dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte
dalle parti, senza necessità di ricorrere ad altre fonti (v. Cass., sentt. n. 4782 del 2012, n.
5836 del 2011).
Con il primo motivo di ricorso si denuncia omessa motivazione su di un punto decisivo
della controversia, consistente nella mancata individuazione da parte della Corte di
merito del dies ad quem del titolo azionato, che, avendo il Guarino agito iure hereditatis, non
poteva che essere quello della morte del de cuius.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112
cod.proc.civ. Avendo il ricorrente agito esclusivamente quale erede, la Corte di merito
avrebbe dovuto limitare ogni indagine e statuizione alla frazione temporale in cui il de
cuius era ancora in vita, anziché estendere l’accertamento sull’intero arco temporale di
durata del procedimento presupposto.
Con la terza censura si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75 cod.proc.civ.
La Corte avrebbe pretermesso l’esame circa la persistenza, sotto il profilo temporale, del
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esso si riferisce.

titolo legittimante la richiesta indennitaria pur dopo il decesso del de cuius. Ne
conseguirebbe altresì l’errore nella liquidazione dell’indennizzo per l’intero, anziché pro
quota, nei confronti dell’erede. Né, con riferimento ad una eventuale — ma non proposta
— azione indennitaria iure proprio del ricorrente, questi potrebbe risultare fornito di
legittimazione attiva, non essendo lo stesso intervenuto in giudizio.
I motivi, che, stante la evidente connessione logico-giuridica, possono essere esaminati

Questa Corte ha già chiarito che, in tema di violazione del termine di durata ragionevole
del processo, nel caso in cui gli eredi agiscano in tale esclusiva qualità (e non anche in
proprio) per ottenere l’equa riparazione del pregiudizio derivante dall’irragionevole
durata del giudizio iniziato dal de cuius, il complessivo indennizzo deve essere liquidato in
ragione della quota ereditaria spettante a ciascuno di essi e per il periodo decorrente dalla
fine del periodo di durata ragionevole alla data di decesso del de cuius (v., per tutte, Cass.,
sent. n. 20155 del 2011). L’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo iure proprio
soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal
momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte.
Non assume, infatti, alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale
rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema
sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla legge n. 89 del
2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla
somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto
danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al
concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla
sua rapida conclusione (v., fra le altre, Cass., sent. n. 13803 del 2011).
Resta assorbito dall’accoglimento dei primi tre motivi l’esame del quarto, proposto in via
subordinata, e concernente il riconoscimento di ufficio degli interressi legali dalla
domanda anziché dalla data del decreto.
Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto. Il decreto impugnato deve essere
cassato, e la causa rinviata ad altro giudice — che viene individuato nella Corte d’appello

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congiuntamente, sono fondati.

di Roma in diversa composizione, cui è demandato altresì il regolamento delle spese del
giudizio — che riesaminerà la controversia alla luce dei principi di diritto enunciati.
P. Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del
presente giudizio, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Seconda, il 12 marzo 2013.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, Sottosezione

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