Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26465 del 21/12/2016


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Cassazione civile, sez. lav., 21/12/2016, (ud. 14/09/2016, dep.21/12/2016),  n. 26465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26534-2013 proposto da:

M.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LEONELLO AZZARINI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONTE ZEBIO 32, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO

TAMBURRO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 53/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 29/05/2013 R.G.N. 142/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2016 dal Consigliere Dott. D’ANTONIO ENRICA;

udito l’Avvocato AZZARINI LEONELLO;

udito l’Avvocato GIUSTINI CHRISTIANO per delega Avvocato TAMBURRO

LUCIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Venezia in riforma della sentenza del Tribunale, ha respinto la domanda di M.M., dipendente Rete Ferroviaria Italiana con qualifica di responsabile del tronco lavori di Belluno, volta ad accertare l’illegittimità del licenziamento a lui intimato per giusta causa dal datore di lavoro.

Il lavoratore aveva esposto davanti al Tribunale che la società gli aveva contestato in data 21/7/2010, in riferimento alla vendita di materiale ferroso da smaltire avvenuta nel periodo dal 6 giugno 2005 al 28 febbraio 2007, di non aver presenziato alle operazioni di pesatura; di avere calcolato il peso netto basandosi esclusivamente sulle indicazioni dell’autista dell’automezzo senza controllare direttamente il peso della tara; di aver consentito la pesatura del mezzo in località incongrue rispetto al luogo di ritiro del materiale; di aver effettuato la pesatura in orari anomali rispetto a quelli del prelievo di materiali; di aver completato il formulario identificazione rifiuti con dati di carico rilevati successivamente alla data e ora di redazione e che tutto ciò avrebbe comportato una indebita e maggiore consegna di quantità di materiali per effetto di una tara dichiarata superiore a quella effettiva con violazione di disposizioni di servizio.

La Corte territoriale, riformando sul punto la decisione impugnata, ha escluso la tardività della contestazione. Ha rilevato che la vicenda nasceva da un’indagine della Procura della Repubblica di Belluno nell’ambito della quale era stato contestato al lavoratore il reato di peculato per sottrazioni indebite di materiale ferroso presso il tronco lavori di Belluno nel periodo 6 giugno 2005 – 28 febbraio 2007 e che solo a seguito delle perquisizioni e dei sequestri la società aveva acquisito consapevolezza dei fatti.

Quanto al merito ha rilevato che Rete Ferroviaria aveva contestato al lavoratore di aver violato norme regolamentari e regole di ordinaria prudenza e diligenza; che le norme regolamentari non prevedevano effettivamente una dettagliata e specifica indicazione di tutti i vari momenti di comportamento tant’è che subito dopo Rete Ferroviaria aveva emanato una nuova e assai più puntuale norma regolamentare per la vendita dei materiali ferrosi; che tuttavia la norma esistente già prevedeva che il verbale di consegna fosse redatto in contraddittorio con la controparte con la conseguenza che il funzionario non poteva rimanere all’esterno della pesa rimettendosi poi alle dichiarazioni del trasportatore in ordine alla tara del mezzo di trasporto e che pertanto il non aver presenziato e riscontrato costituiva violazione di una norma regolamentare nonchè di norme di ordinaria diligenza nell’esecuzione del lavoro. Sulla base di tali considerazioni la Corte è poi pervenuta ad affermare anche la proporzionalità tra condotta tenuta e sanzioni inflitta sottolineando che erano ben 35 le operazioni di pesatura che riportavano una tara superiore a quella effettiva; 14 i casi in cui le pesate erano state effettuate in località incongrue; 38 le circostanze in cui l’indicazione della tara risultava apposta a mano e non invece risultante da una specifica operazione di pesata; Euro 40.000 il danno economico arrecato a Rete Ferroviaria.

Avverso la sentenza ricorre il M. formulando tre motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.. Resiste Rete Ferroviaria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo in relazione alla tardività della contestazione. Osserva che la Corte aveva cristallizzato il momento dell’effettiva conoscenza dei fatti contestati e quindi della tempestività solo a seguito delle indagini penali che avevano indotto la società ad istituire una commissione per accertare la responsabilità del lavoratore. Ricostruite le varie fasi del procedimento per la vendita del materiale ha osservato che dalla documentazione a disposizione del reparto logistico e acquisti di Mestre era facilmente rilevabile: l’omessa pesatura dell’automezzo vuoto in quanto era riportata una sola pesata e non due; l’incongruenza tra il luogo di ritiro e la località in cui era avvenuta la pesa; l’orario dei prelievi dei materiali e l’orario delle pesature; il completamento del modulo in merito ai dati di carico in un momento successivo rispetto alla data di emissione del documento stesso. Da ciò derivava secondo il ricorrente che la società resistente era pienamente a conoscenza dell’operato sin dagli anni 2005/ 2007e la conoscibilità dei fatti contestati al lavoratore doveva farsi coincidere con il momento in cui il lavoratore aveva inviato la documentazione irregolare al reparto approvvigionamenti e logistica della direzione di Venezia.

Il motivo è infondato.

Il M. lamenta che la Corte non ha esaminato le singole circostanze dallo stesso elencate da cui Rete Ferroviaria avrebbe potuto desumere il comportamento negligente o addirittura fraudolento del lavoratore ben prima dell’indagine penale.

La valutazione della Corte in fatto non è censurabile,nè il motivo risponde alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che richiede omessa esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Anche prima della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, costituiva consolidato insegnamento che fosse sempre vietato invocare in sede di legittimità un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè non ha la Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo la valutazione degli elementi probatori attività istituzionalmente riservata al giudice di merito (tra le molte, v. Cass. 17 novembre 2005, n. 23286; Cass. 18 maggio 2006, n. 11670;Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162;Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. sez. un., 21 dicembre 2009, n. 26825; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288;Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197).

Nel sistema, l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto. Con esso si è invero avuta (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

In questo contesto, il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Tanto comporta (Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881) che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; mentre in ogni caso, la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.

Ne consegue che la ricostruzione del fatto operata dai giudici del merito è ormai sindacabile in sede di legittimità soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, oppure se sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi, oppure obiettivamente incomprensibili; mentre non si configura un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ove quest’ultimo sia stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel particolare fatto storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi appena detti.

Nella fattispecie, una ricostruzione del fatto pienamente sussiste, e la decisione non è affetta dai vizi appena indicati come soli ormai rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’attuale formulazione. Le circostanze in fatto indicate dal ricorrente non assumono carattere decisivo la cui valutazione avrebbe portato, senza ombra di dubbio, ad una diversa decisione della Corte non costituendo le circostanze evidenziate necessariamente manifestazioni inequivoche di intento fraudolento o espressione di scarsa diligenza nell’esecuzione dell’incarico. La Corte ha, invece, spiegato chela vicenda nasceva da un’indagine della Procura della Repubblica di Belluno nell’ambito della quale era stato contestato al M. il reato di peculato per indebite sottrazioni di materiale ferroso; che l’indagine era frutto di una verifica incrociata tra i dati desumibili dalla Motorizzazione civile relativi alle tare di omologazione dei mezzi di trasporto del materiale ferroso e le tare quali risultanti dalle indicazione dei verbali di consegna dei materiali e dei formulari nonchè dall’analisi delle discordanze riscontrate tra quanto riportato nei documenti aziendali RFI e quanto invece consegnato dalla società concessionaria dell’attività di smaltimento rifiuti ad altre società alle quali essa poi rivendeva il materiale avuto da RFI per lo smaltimento. La Corte territoriale ha evidenziato, altresì, che secondo l’ipotesi accusatoria vi era la connivente partecipazione di taluni dipendenti RFI deputati al controllo delle operazioni di smaltimento e che la società aveva avuto conoscenza del meccanismo fraudolento, diffuso in più parti del territorio, solo all’esito della consapevolezza di dati e situazioni che solo i poteri di investigazione penale avevano potuto accertar. La sentenza impugnata appare adeguatamente motivata, priva di difetti logici o contraddizioni, oltre che immune da errori di diritto, circa l’affermata esclusione della tardività denunciata.

2) Con il secondo motivo il M. denuncia insufficiente e omessa motivazione circa l’accertamento della violazione di norme regolamentari e di ordinaria prudenza e diligenza. La Corte d’appello, pur riconoscendo che la procedura regolamentare esistente all’epoca dei fatti non prevedeva una dettagliata e specifica indicazione di tutti i passaggi, ha ritenuto che il lavoratore avesse contravvenuto a norme regolamentari e a norme di ordinaria diligenza e ciò in quanto nella norma regolamentare vi era un richiamo alla necessità che il verbale fosse redatto in contraddittorio, perchè vi erano pesatura in località incongrue e anche perchè il pubblico ministero aveva ritenuto di non chiedere l’archiviazione. Osserva che la Corte territoriale non aveva considerato che solo nella norma regolamentare emanata nel 2009 vi era una specifica procedura da seguire nelle operazioni di pesa che prevedeva chiaramente il contraddittorio in tutte le fasi di pesatura. Circa la pesatura e in località incongrue la Corte d’appello non aveva valutato la possibilità riconosciuta dalla stessa società resistente di poter effettuare la pesa a destinazione e dunque in tutti questi casi la pesatura avveniva in località incongrue rispetto al sito di ritiro. Osserva infine che la decisione era fortemente influenzata dall’esistenza di un procedimento penale che allo stato attuale risultava archiviato.

Anche tale motivo è infondato. Devono evidenziarsi da un lato profili di inammissibilità per non avere il ricorrente depositato i documenti richiamati o averne trascritto il loro contenuto essenziale in violazione del duplice onere previsto dall’art. 366, comma 1, n. 6 (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (a pena di improcedibilità) nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il giudice di legittimità in condizioni di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (cfr Cass SSUU n. 5698/2012, SSUU n. 22726/2011, ed inoltre fra le tante n. 15952/2007, n. 12362/2006). Il ricorrente ha omesso di depositare il regolamento applicabile all’epoca dei fatti e quello successivo nonchè lo stesso provvedimento di archiviazione che si assume intervenuto sui fatti di causa.

Il motivo è, comunque, infondato. La Corte d’appello ha spiegato adeguatamente sotto ogni profilo che il comportamento del M. costituiva sia violazione di norma regolamentare,sia violazione delle regole di diligenza che devono presiedere nell’esecuzione del lavoro. Non sussistono i profili di censura denunciati. Si deve richiamare a riguardo anche quanto prima detto circa le regole desumibili dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, dovendosi sottolineare che risulta evidente che, nella fattispecie,sussiste una ricostruzione del fatto e che la decisione non è affetta dai vizi appena indicati come soli ormai rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’attuale formulazione.

3) Con il terzo motivo denuncia insufficiente omessa motivazione circa il giudizio di proporzionalità del licenziamento inflitto. Osserva che in primo luogo il ricorrente oltre a occuparsi dello smaltimento del materiale ferroso svolgeva numerose ed importanti funzioni e che lo smaltimento del materiale ferroso rappresentava solo una delle tante funzioni; che inoltre il lavoratore non aveva mai subito sanzioni; che inoltre le anomalie riscontrate si erano verificati anche in altri impianti della società ai quali tuttavia non aveva fatto seguito alcun procedimento disciplinare e i procedimenti penali erano stati archiviati.

Richiama infine l’art. 59 CCNL che prevede il licenziamento senza preavviso per fattispecie caratterizzate da atteggiamento doloso, o da connivente tolleranza rispetto ad abusi commessi da dipendenti o da terzi.

Anche tale motivo presenta profili di inammissibilità con riferimento alla mancata produzione del CCNL o alla mancata riproduzione del suo contenuto, quantomeno nei suoi aspetti maggiormente rilevanti. Il motivo non risponde alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, denunciando vizio di motivazione in relazione a fatti non decisivi. Il motivo è, comunque, infondato.

Invero, con accertamento di fatto congruamente svolto e con adeguata motivazione immune da rilievi di carattere logico – giuridico, la Corte d’appello è pervenuta alla decisione di conferma della legittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro – dandone atto, come si è detto, con congrua motivazione – attraverso un’attenta valutazione da un lato della gravita dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali erano stati commessi, alla loro reiterazione ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro della proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta considerata la immediata ed irreversibile lesione del rapporto fiduciario.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve esser rigettato con condanna del ricorrente a pagare le spese processuali.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre il 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2016

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