Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26460 del 29/09/2021

Cassazione civile sez. lav., 29/09/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 29/09/2021), n.26460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3249-2020 proposto da:

J.S., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CARMELO PICCIOTTO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, – Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Palermo, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MESSINA, depositato il 18/12/2019

R.G.N. 2257/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/04/2021 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

J.S. cittadino del (OMISSIS), chiedeva alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale:

a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

b) in via subordinata, quello della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

la Commissione Territoriale rigettava l’istanza;

avverso tale provvedimento proponeva ricorso dinanzi al Tribunale di Messina, che ne disponeva il rigetto;

a fondamento della decisione assunta, il Collegio del merito evidenziava l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate; osservava in particolare che l’attenuazione dell’onere probatorio contemplata dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 non giovava al ricorrente, in quanto egli non aveva dato alcun oggettivo riscontro alle vicende narrate, prive di sufficienti dettagli e in larga parte poco verosimili;

non sussistevano poi le condizioni per il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria giacché l’allegato pregiudizio che sarebbe derivato dal ritorno in (OMISSIS) traeva origine da una vicenda sostanzialmente privata, né valeva osservare che i diritti umani non erano rispettati, come dedotto dal richiedente; dopo la fuga dal Paese, secondo i siti internet di organizzazioni internazionali, la situazione di instabilità politica registrata non era sfociata in un vero e proprio conflitto armato ed era in fase di ritorno alla normalità;

quanto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, non sussisteva alcuna condizione di vulnerabilità che ne giustificasse il rilascio;

la cassazione di tale decisione è domandata con ricorso fondato su due motivi;

il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 7, 8, art. 14, lett. a, b, c, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

si censura la pronuncia del Giudice di merito, in estrema sintesi, per aver erroneamente applicato i criteri ermeneutici relativi al particolare regime probatorio che connota il procedimento relativo al riconoscimento della protezione internazionale, con violazione del dovere di cooperazione istruttoria D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 8;

ci si duole che, con motivazione generica ed apparente, il Tribunale abbia asserito di aver effettuato le ricerche necessarie senza indicare le fonti alle quali aveva attinto, in tal modo venendo meno al dovere di cooperazione istruttoria su di esso gravante;

2. con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8,D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, lett. a, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

si stigmatizza la motivazione resa dal Collegio di merito in quanto apparente, essendo costellata di affermazioni apodittiche che non rendevano ragione del diniego di riconoscimento della protezione umanitaria; si rimarca la condizione di estrema vulnerabilità in cui versava il ricorrente, fuggito dal proprio Paese quando era ancora minorenne, sopravvissuto ai rigori delle prigioni libiche, lamentandosi che in relazione a tale condizione, non sia stata spesa alcuna motivazione;

3. i motivi, che possono congiuntamente trattarsi per connessione, sono fondati e meritevoli di accoglimento;

Il Giudice di merito, invero, con motivazione apparente, ha escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria, in base alle argomentazioni riportate nello storico di lite, omettendo di fare specifico riferimento alle fonti internazionali e tralasciando di considerare adeguatamente la situazione personale del richiedente, minorenne all’epoca dell’abbandono del Paese di origine;

in tal senso ha vulnerato i principi affermati da questa Corte in tema ed ai quali va data continuità;

deve infatti rimarcarsi che, secondo i consolidati dicta della giurisprudenza di legittimità, in tema di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c) e il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel Paese d’origine del richiedente, va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo che sia possibile verificarne anche l’aggiornamento;

rispetto alle ipotesi di pericolo integrante la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) e c) il giudice del merito è tenuto ad un aggiornamento informativo riferito alla situazione attuale al fine di verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente ed astrattamente sussumibile in entrambe le tipologie tipizzate di rischio, sia sussistente al momento della decisione (vedi in motivazione Cass. 16/7/2015 n. 14998);

e’ stato, poi, considerato, in linea generale, che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, in applicazione dei canoni di ragionevolezza e dei criteri generali di ordine presuntivo, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5);

e’ bene inoltre rimarcare che l’esercizio officioso del potere d’indagine riservato al giudice della protezione internazionale, non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (cfr.- Cass. 6/7/2020 n. 13940, Cass. 29/5/2020, n. 10286; Cass. 24/5/2019 n. 14283; Cass. 25/7/2018 n. 19716; Cass. 28/6/2018 n. 17069; Cass. 16/7/2015 n. 14998);

nello specifico, non risulta rispettato l’onere di cooperazione istruttoria definito dai richiamati ditta e gravante sul giudice del merito il quale, nel pervenire alla definizione del proprio convincimento, non ha attinto a fonti informative aggiornate ed autorevoli, limitandosi a fare generico riferimento a dati acquisiti da siti istituzionali, così incorrendo nello stigma della apparenza di motivazione, che consente lo scrutinio della loro attendibilità e fondatezza mediante l’esatta individuazione della fonte di conoscenza e il controllo sul contenuto delle informazioni acquisite;

le Sezioni unite di questa Corte (Cass. SS.UU. 7/4/2014 nn. 8053-8054) hanno in proposito osservato come l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integri un error in procedendo che comporta la nullità della sentenza nel caso di “motivazione apparente”; hanno ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016; v. pure Cass. SS.UU. n. 16599 del 2016); in ossequio si è affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. 7/4/2017 n. 9105, Cass. 5/8/2019 n. 20921), situazione, questa, verificatasi nella specie, per quanto sinora detto;

4. la pronuncia impugnata si palesa, poi, non conforme a diritto in riferimento ai principi affermati da questa Corte alla stregua dei quali in tema di protezione internazionale, gli atti di violenza domestica (ai quali il richiedente ha fatto riferimento specifico nel proprio narrato con riferimento alla condotta violenta della propria matrigna), così come intesi dall’art. 3 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 quali limitazioni al godimento dei diritti umani fondamentali, possono integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. b), in termini di rischio effettivo di “danno grave” per “trattamento inumano o degradante”, qualora risulti che le autorità statuali non contrastino tali condotte o non forniscano protezione contro di esse, essendo frutto di regole consuetudinarie locali. (vedi Cass. 21/10/2020 n. 23017);

si è altresì avuto modo di considerare (vedi Cass. 10/9/2020 n. 18803), con riferimento alla violenza di genere, che, al pari di quella contro l’infanzia, non può essere ricondotta alla categoria del “fatto meramente privato”, poiché essa costituisce una delle fattispecie espressamente previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, comma 2 ai fini del riconoscimento dello “status” di rifugiato, sia con riferimento agli “atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale” (cfr. lett. a), che con riguardo, in generale, agli “atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l’infanzia”(cfr. lett. f);

e’ bene rammentare che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 11, lett. h-bis) (come modificato ad opera dal D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, art. 25, comma 1, lett. b, n. 1) definisce le “persone vulnerabili” includendovi, oltre ai minori, ai minori non accompagnati, ai disabili, agli anziani, alle donne in stato di gravidanza, ai genitori singoli con figli minori, alle vittime della tratta di esseri umani, alle persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, alle vittime di mutilazioni genitali, anche le “persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali” (Cass. 10/7/2019, n. 18541);

si tratta di una situazione di vulnerabilità normativamente tipizzata, rilevante anche ai fini della protezione di carattere umanitario;

in proposito, è stato precisato che l’elencazione dei soggetti vulnerabili contenuta nel D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 2, comma 1, lett. h-bis), non esaurisce l’ambito delle condizioni di vulnerabilità rilevanti ai fini del riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma esprime soltanto la tipizzazione di alcune tra le più rilevanti condizioni cui va, per esplicita clausola di legge, riconnessa la predetta condizione di vulnerabilità;

la norma, dunque, va “letta” in combinato disposto con il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, non essendo possibile ipotizzare una relazione di alternatività tra le due disposizioni, in vista della tutela a “compasso largo” della protezione umanitaria descritta dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. S.U. Sentenza n. 29459 del 13/11/2019; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020);

ciò comporta che l’elenco delle condizioni soggettive “tipizzate” dal richiamato D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 2, comma 1, lett. h -bis), non esaurisce l’ambito della vulnerabilità che può rilevare ai fini del riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari; il giudice di merito, quindi, anche laddove non si configuri una delle ipotesi previste dal richiamato art. 2, è comunque tenuto alla verifica, in concreto, della sussistenza di profili di vulnerabilità, tanto individuali che riferibili all’intero nucleo familiare, che siano idonei a giustificare la tutela umanitaria (cfr. Cass. 29/3/2021 n. 8713);

da ultimo, non può tralasciarsi di considerare che, secondo la L. 7 aprile 2017, n. 47, i minori stranieri non accompagnati sono titolari dei diritti in materia di protezione dei minori a parità di trattamento con i minori di cittadinanza italiana o dell’Unione Europea (arti.) e che, in ragione della loro condizione di maggiore vulnerabilità, ad essi si applicano le disposizioni della legge predetta (art. 2);

5. orbene, nello specifico, il Collegio del merito non si è conformato ai summenzionati principi, essendo mancata una adeguata, approfondita considerazione, ai fini delle richieste di protezione attivate dal ricorrente, sia della storia dei maltrattamenti subiti, che della condizione personale di minorenne non accompagnato all’ingresso in Italia, al fine dello scrutinio circa la sussistenza dei presupposti di legge per la concessione delle tutele invocate;

alla stregua delle superiori considerazioni, il ricorso va accolto e la causa rinviata al giudice designato in dispositivo il quale provvederà a scrutinare la fattispecie alla luce dei principi innanzi enunciati, provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la pronuncia impugnata e rinvia al Tribunale di Messina in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

 

 

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