Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2646 del 04/02/2010

Cassazione civile sez. I, 04/02/2010, (ud. 10/11/2009, dep. 04/02/2010), n.2646

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.L., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza del

Popolo 18, presso l’avv. FRISANI Pietro L., che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Milano, rep. n. 1587/07,

del 13 giugno 2007, nella causa iscritta al n. 208/07 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10 novembre 2009 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

udito per la ricorrente l’avv. Pietro L. Frisani, che, nel prendere

atto che la relazione notificata si riferisce a diverso procedimento,

non si oppone alla trattazione della causa e si riporta alle difese

in atti;

alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, Dott.ssa CARESTIA Antonietta, che ha concluso

chiedendo l’accoglimento del ricorso, come da relazione in atti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata agli avvocati delle parti:

“il consigliere relatore, letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. M.L. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, avverso il decreto in data 13 giugno 2007, con il quale la Corte di Appello di Milano ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore della menzionata ricorrente della somma di Euro 6.500,00 a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo instaurato davanti alla Corte dei Conti per richiesta di riscatto a fine pensionistico di un corso di studi, promosso il 19 marzo 1989 e definito con sentenza del 25 gennaio 2006;

1.1. ha resistito con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze;

OSSERVA:

2. La Corte di appello di Milano, determinata in tredici anni il periodo eccedente la durata ragionevole del processo, ha accolto la domanda nella misura complessiva di Euro 6.500,00, pari ad Euro 500,00 ad anno, in quanto la parte interessata non ha posto in essere alcun atto di impulso processuale, così dimostrando indifferenza per le sorti del processo, con conseguente sua contenuta sofferenza per la durata del processo;

3. la ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo tre motivi di ricorso, con i quali lamenta la liquidazione dell’indennizzo in misura inferiore ai criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, con erronea attribuzione di rilevanza, ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale, alla mancata presentazione di istanze di impulso processuale, nonchè la parziale compensazione delle spese processuali;

4. i primi due motivi di ricorso, esaminati congiuntamente, appaiono manifestamente fondati, in quanto, la determinazione dell’indennizzo nella misura di Euro 6.500,00, per un importo di Euro 500,00 ad anno e avuto riguardo al termine ragionevole di durata stabilito nella specie, sembra configurarsi irragionevolmente in misura inferiore a quella che risulterebbe dall’applicazione dei parametri stabiliti dalla CEDU, anche tenuto conto che nella specie la ricorrente ha proposto istanza di prosecuzione del giudizio; la doglianza relativa alla parziale compensazione delle spese processuali resta invece assorbita, dovendosi comunque procedere alla riliquidazione delle spese del giudizio di merito in ragione dell’accoglimento del ricorso sotto i profili in precedenza rilevati;

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulati al punto 4, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in Camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione;

B1) ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, il decreto impugnato deve essere annullato con riferimento alle censure accolte e che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1;

B2) considerato in particolare che, determinato, secondo il non censurato accertamento del giudice del merito, in tredici anni il periodo di durata non ragionevole, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; che, secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; ritenuto che tali principi vanno confermati in questa sede, e che nella specie l’indennizzo deve essere determinato nella misura minima di Euro 750,00 ad anno, tenuto comunque conto della ridotta entità del disagio morale provato dalla M. per il prolungarsi del processo, ridotta entità desumibile dal comportamento omissivo della stessa ricorrente, la quale non ha provveduto, come accertato dal giudice del merito, a indicare nel ricorso la propria residenza, così causando la necessità di ricerche anagrafiche che hanno inciso sul prolungarsi della durata del giudizio; che di conseguenza si deve riconoscere alla ricorrente l’indennizzo di Euro 9.750,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente;

B3) considerato altresì che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di M.L. della somma di Euro 9.750,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.

Condanna inoltre il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.300,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 100,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 1.000,00, di cui Euro 900,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2010

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