Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26456 del 17/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 17/10/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 17/10/2019), n.26456

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15892-2014 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

C.D., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA RIDOLFINO VENUTI 30, presso lo studio dell’avvocato SILVIA

CRETELLA, rappresentati e difesi dagli avvocati MARIO CRETELLA,

MARIA TERESA SALVATORE, DOMENICO SAVIO GUARRACINO;

– controricorrenti –

e contro

A.M., S.M., SP.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1578/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/03/2014 R.G.N. 1341/2006.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’appello di Roma respingeva il gravame proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri avverso la decisione del Tribunale capitolino che aveva condannato quest’ultima al pagamento, in favore di ciascuno degli appellati, della somma di Euro 16.813,41 per ogni anno di corso frequentato, oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza, a titolo di risarcimento del danno per inadempimento degli obblighi di attuazione delle direttive comunitarie 363/75 e 76/1982, per essere stati gli attori tutti iscritti ai corsi successivamente al termine fissato per l’attuazione delle direttive;

2. quanto all’eccezione di prescrizione del diritto azionato, la Corte osservava che la Presidenza del Consiglio dei Ministri era rimasta contumace in primo grado e che pertanto la stessa era tardiva;

3. alla stregua dell’orientamento consolidatosi con SS.UU 9147/2009, riteneva l’azione qualificabile come risarcitoria e non come retributiva, con applicabilità, ai fini della determinazione del quantum, del criterio di cui alla L. n. 370 del 1999, art. 11 e riconducibilità allo schema della responsabilità contrattuale per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato e conseguente esenzione da responsabilità di Università e Ministeri;

4. riteneva corretta la accertata giurisdizione dell’AGO, sia per l’ipotesi di configurazione del rapporto di lavoro come parasubordinato, sia ove l’azione fosse prospettata come di natura contrattuale o quale illecito aquiliano;

5. di tale decisione domanda la cassazione la Presidenza del Consiglio dei Ministri, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resistono, con controricorso, tutti gli appellati, ad eccezione di A.M., S.M. e Sp.An..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo, sono dedotte violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. direttive CEE 82-76, 75-362, 75-363, 93-16, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991 e della L. 370 del 1999, art. 11 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevandosi che alcuni dei medici erano stati immatricolati in data anteriore al 31.12.1982, e cioè prima della data prevista per il recepimento della normativa comunitaria nell’ordinamento statuale, e se ne indicano i nominativi, evidenziandosi che per altri medici constava l’iscrizione in corsi di specializzazione post universitari non rientranti tra quelli contemplati nella direttiva 362/75 CEE riconosciuti a livello Europeo; si rimarca pertanto la fondatezza delle censure articolate in secondo grado a carico della sentenza di primo grado in ordine alla assoluta insussistenza delle condizioni per liquidare, in favore dei medici suddetti, le somme da questi richieste, per essere i corsi dagli stessi frequentati estranei all’ordinamento comunitario;

2. con il secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 2043 c.c., della L. n. 370 del 1999, art. 11, del D.Lgs. n. 257 del 1991, sostenendosi che la Corte d’appello abbia confermato la sentenza di primo grado ai soli fini della determinazione del quantum, ma poi si sia posta in contrasto con il criterio di legge, atteso che la quantificazione della condanna a carico dell’Erario, derivante dalla conferma della decisione del primo giudice, non corrispondeva affatto al predetto criterio, che conduceva ad una quantificazione di circa 6700,00 Euro annui non rivalutabili, ma maggiorabili dei soli interessi legali dalla messa in mora, laddove, per effetto della conferma della sentenza di primo grado, la condanna ammontava ad una cifra di ben tre volte superiore a quella determinata ai sensi della L. n. 370 del 1999;

3. con riguardo al primo motivo, per quanto si riproduca il contenuto dell’atto di appello, non vi è alcun accenno alla immatricolazione di alcuni medici anteriormente al 1982 ed anche per i corsi di specializzazione asseritamente non riconosciuti nell’ordinamento comunitario non vi sono precise allegazioni che consentano di ritenere che la presente censura sia conforme alle prescrizioni in tema di specificità del ricorso per cassazione, non deducendosi neanche che la questione dovesse essere esaminata dal giudice del gravame nei termini in cui questo era stato proposto e che tale giudice non si sia pronunciato sulla stessa;

4. il motivo è pertanto inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dal momento che l’amministrazione ricorrente non ha precisato nel proprio ricorso se, quando ed in che termini l’eccezione di non corrispondenza tra la specializzazione conseguita e le materie previste dalle direttive comunitarie fu sollevata nei gradi di merito e perchè quel che rileva ai fini dell’attribuzione del diritto all’indennizzo non è la esatta corrispondenza nominale tra la specializzazione conseguita in Italia e quella comune a tutti od almeno due Paesi dell’unione; rileva invece l’equipollenza di contenuto sostanziale tra la specializzazione conseguita in Italia e quelle elencate negli artt. 5 e 7 della direttiva; tuttavia, lo stabilire se vi sia o non vi sia tale equipollenza è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, sicchè l’averla ritenuta sussistente od insussistente non è questione censurabile in sede di legittimità, come già ritenuto più volte da questa Corte (Cass. 17.1.2019 n 1054; Cass. 14.2.2017 n. 3833; Cass. 11.1.2016 n. 191; Cass. 13.10.2015 n. 20502); tali decisioni hanno ritenuto “nuova”, e perciò inammissibile, la questione della equipollenza tra specializzazioni, sollevata per la prima volta in sede di legittimità;

5. da ultimo, le stesse Sezioni Unite di questa Corte, affrontando il problema, hanno stabilito che l’eccezione concernente la non conformità ai requisiti previsti dalla normativa comunitaria dei corsi frequentati dai medici specializzati in Italia deve essere “tempestivamente svolta in sede di merito, e presuppone anche accertamenti di fatto non consentiti in questo giudizio di legittimità”: così Sez. U, Sentenza n. 19107 del 18.7.2018;

6. per le ragioni in tali precedenti indicate, non può condividersi quanto sostenuto dalla difesa erariale nei propri scritti, nè può ritenersi che la questione della non corrispondenza tra la specializzazione conseguita in Italia e quelle previste dalla direttiva sia rilevabile anche d’ufficio “in ogni stato e grado”;

7. anche il secondo motivo è inammissibile perchè si censura solo nella presente sede il criterio di quantificazione degli importi riconosciuti, senza indicare in che termini analoga doglianza fosse stata prospettata in sede di gravame e senza riportarne, nel presente ricorso di legittimità, i termini di relativa deduzione, in conformità al principio più volte affermato secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio;

8. il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito” (Cass. 2140 del 31/01/2006 e ss. 3.3.2009n. 5070, Cass. 22.4.2016 n. 8206);

9. alle svolte considerazioni consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso;

10. le spese del giudizio di legittimità vanno compensate, avuto riguardo alla complessa stratificazione del quadro normativo delineatosi in ordine alle borse di studio dei medici iscritti alle scuole di specializzazione ed alla natura della ulteriore questione dibattuta;

11. non essendo dovuto dall’amministrazione pubblica ricorrente il contributo unificato, deve darsi atto della insussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, primo periodo, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, ai fini del raddoppio del contributo per i casi di impugnazione respinta sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. 1778/2016 con richiami a precedenti sul tema).

P.Q.M.

la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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